La storia dell'abbeveratoio quattrocentesco che si trovava in piazza Cavour l'abbiamo già raccontata. Rimaneva da risolvere il giallo delle due colonne che lo affiancano da tempo nella nuova collocazione di Santarcangelo. Anche queste provengono da Rimini, magari dall'ex Chiesa di San Francesco? Fuochino. Ci sono sempre di mezzo dei frati.
Santarcangelo. Una chiesa francescana demolita. Anche a Rimini, un convento francescano. E un chiostro. Entrambi distrutti dalla guerra. Qual è il filo rosso che dal Colle di Giove conduce all’Adriatico?
Quando abbiamo acquisito documenti, dati, voci di paese e testimonianze sull’albio scomparso da piazza Cavour nella prima metà del ‘900, qualche riminese ci ha riferito come l’abbeveratoio quattrocentesco fosse stato trafugato durante il primo dopoguerra da un manipolo di ragazzotti santarcangiolesi. Più di uno ha sostenuto che anche le due colonne poste ai lati dell’antico reperto forse provenissero da un colpo di mano: “lesta”. Per quanto riguarda la vasca di marmo, crediamo di essere arrivati alla serena convinzione, suffragata da alcuni documenti, che l’albio sia stato effettivamente prestato dal Comune di Rimini (che ne è tuttora proprietario, sia scritto in grassetto) a quello di Santarcangelo. Posto che non è mai utile parlare per “sentito dire” e tantomeno scriverne, abbiamo cercato, pur con i limiti che onestamente non sfuggono alla nostra percezione, di verificare se veramente due colonne scampate al bombardamento del convento di San Francesco a Rimini, fossero davvero “rimbalzate” fino in via della Costa a Santarcangelo di Romagna.
Come prima mossa, interroghiamo gli indigeni. Qualcuno, tra l’offeso e lo sdegnato, rigurgita uno “tzk” da fumetto, un tale che interpelliamo per strada, rimane interdetto, come se non capisse la domanda, pesta sul pedale della bici e rotola via di furia. Ammissione di colpa? Altri, più disponibili e avveduti, assicurano che le antiche colonne provengono dalla chiesa di San Francesco, smantellata per costruire la scuola elementare intitolata alla maestra-scrittrice Maria Pascucci. Ora, sebbene la nostra attenzione sia focalizzata sulle due colonne, non si può sottacere la storia della chiesa trecentesca di Santarcangelo. Bisogna necessariamente spendere qualche riga per rapidi cenni storici.
Siamo nell’ampia piazza Ganganelli a cui si accede idealmente dall’omonimo arco trionfale eretto tra il 1769 e il 1777 in onore dell’illustre concittadino Pontefice (Papa Clemente XIV; 1705-1774). La chiesa di San Francesco, nel corso dei secoli conosce alterne fortune, come leggiamo in un numero datato 1983 della rivista quadrimestrale di cultura “Romagna Arte e Storia” a firma di Roberto Gallavotti. Nell’incipit, l’autore rileva: ”Di questa notevole chiesa gotica, demolita intorno al 1886, non ci sono rimasti che pochi documenti d’archivio, due fotografie dell’esterno scattate prima della distruzione, alcuni dipinti in essa custoditi, primo fra tutti per importanza il polittico di Jacobello di Bonomo (pittore veneziano attivo tra l’ottavo e il nono decennio del XIV secolo la cui unica opera firmata e datata 1385, è il dipinto santarcangiolese; ndr), alcune lapidi e qualche arredo sacro. Eccezione fatta per il capolavoro di Jacobello, assai noto alla critica d’arte, ogni altra testimonianza relativa a questa chiesa e all’attiguo convento è rimasta inedita”.
Gallavotti, grazie a minuziose ricerche, nella ricostruzione storica da cui deprediamo poco più di qualche sparuta datazione, colloca la nascita della chiesa dei frati Minori Conventuali di Santarcangelo tra il 1331 e il 1336. Nel corso dei secoli l’edificio religioso vede l’aggiunta di nuove cappelle che ne modificano la fisionomia, nel tempo vive il flagello della peste, subisce carestie e saccheggi, ma anche ricostruzioni e abbellimenti finché, nel 1769 un frate dei Conventuali Minori, Giovanni Vincenzo Antonio Ganganelli (46 anni prima aveva assunto in religione il nome di Lorenzo), diventa Papa con il nome di Clemente XIV. I concittadini gli dedicano l’arco trionfale su disegno dell’imolese Cosimo Morelli (1732-1812). Lo stesso artista è incaricato di concepire una nuova disposizione urbanistica dello spiazzo tra la chiesa e i vecchi borghi. Il progetto prevede la ristrutturazione della chiesa trecentesca per raccordare stilisticamente la chiesa-convento con l’arco e i porticati della piazza. Proprio nel momento di massimo (potenziale) fulgore, Papa Ganganelli muore dopo soli cinque anni di pontificato. Alla sventurata sorte di Clemente XIV segue l’occupazione francese della Romagna. Sogni di gloria e progetti vengono repentinamente delusi. Saranno spazzati via in modo definitivo dall’editto che sopprime gli ordini religiosi.
E’ il 1805. Napoleone riceve dagli uomini, ma a suo “modesto” dire anche da Dio, la corona di Re d’Italia (molte opere d’arte italiane, nell’euforia dei festeggiamenti, fanno un viaggio di sola andata verso la Francia; ndr). Nel 1815 il Padreterno si distrae un attimo, l’esercito inglese del Duca di Wellington e quello prussiano del generale von Blücher spengono gli ardori e i deliri di onnipotenza del Buonaparte. Waterloo assurge a sinonimo di solenne sconfitta. Naturalmente, vive la France, parbleu! Pio VII torna a Roma, avviene la seconda Restaurazione. Gli assetti politici sono in continua evoluzione. I frati riprendono possesso del convento solo nel 1824, ma 38 anni più tardi, causa l’annessione della regione al Regno del Piemonte, nel 1862 viene adibito a caserma e addirittura ampliato per farne un deposito militare. Dalle ostie alle munizioni: il contrasto è piuttosto stridente.
Dopo il 1873, il fumo dei cannoni passa a quello delle pipe. L’ex chiesa/convento, poi ex caserma-deposito, diventa una fabbrica di pipe. Tra il 1885 e il 1886 l’ultimo rintocco di campana sancisce la completa demolizione del luogo di culto francescano. La singolare carriera dello storico edificio piega verso la definitiva destinazione socio-didattica, tuttora in essere: scuola primaria. Questa, in succinta e dunque frammentaria sintesi, la vicenda della chiesa conventuale francescana di piazza Ganganelli.
Le ultime foto interne scattate prima del decisivo smantellamento del chiostro provengono dal fondo fotografico conservato presso l’archivio dei Musei Comunali di Santarcangelo a cui siamo grati per la gentile concessione alla pubblicazione delle immagini. Si vedono chiaramente alcune colonne praticamente intatte. Due di queste sono forse le stesse che fino a pochi mesi fa scortavano l’albio in via della Costa? Ora, causa lavori di ristrutturazione dell’edificio a cui stavano davanti, sono state temporaneamente rimosse. Come accennato a inizio articolo, per fugare i dubbi di alcuni riminesi, telefoniamo al professor Pier Giorgio Pasini che con la consueta pazienza, dopo avere ascoltato il quesito postogli, ci risponde che non sa se “quelle famose colonne” siano state asportate dal convento di San Francesco, attiguo al Tempio Malatestiano di Rimini.
“Tuttavia c’è una semplice prova da fare per risolvere la controversa vicenda”, suggerisce lo studioso: “Molti anni fa, l’allora parroco della chiesa di Santa Maria Annunziata della Colonnella mi disse che le colonne infisse nel giardino difronte alla chiesa provenivano dal chiostro del convento di San Francesco bombardato nel ’44. Non so perché il sacerdote ne fosse venuto a conoscenza, peraltro non aveva nessun motivo per dire una cosa non vera. Basterebbe dunque misurare le colonne santarcangiolesi e compararle con quelle della Colonnella. Se fossero uguali, la cosa potrebbe essere sospetta e meritevole di approfondimento, altrimenti si dovrebbe archiviare la vicenda come favola metropolitana“.
Pochi giorni dopo il colloquio con il professore, grazie alla disponibilità del funzionario responsabile dell’Ufficio Tecnico di Santarcangelo, veniamo accompagnati nel deposito dove sono parcheggiate le colonne. Prendiamo le misure, capitelli e piedistalli compresi: 219 centimetri circa per un diametro massimo che ne denuncia circa 83. E quelle di Rimini? Quelle davanti alla chiesa della Colonnella, mancanti dei capitelli e dei piedistalli, si estendono per circa 210 centimetri con una circonferenza di circa 97. In proiezione, sono quindi decisamente più alte e più larghe. Facendo due rapidi calcoli “a spanna”, se le colonne fossero intatte avrebbero un’altezza di circa 275/280 centimetri. E anche i 97 centimetri di circonferenza non corrispondono a quelli rilevati durante il sopralluogo al deposito comunale santarcangiolese. Fine.
Possiamo quindi archiviare sospetti e polemiche. Senza ombra di dubbio, le colonne che stavano vicino all’abbeveratoio quattrocentesco provengono dalla chiesa di San Francesco in piazza Ganganelli.
Sul Colle di Giove si dirà che la cosa era ovvia fin dall’inizio, ma nella vita è meglio non dare mai nulla per scontato. A proposito: le due colonne torneranno nuovamente a fare da sentinelle al nostro albio?
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