Volano le pugnalate, tutte politiche s'intende, all'interno del Pd: il potere assoluto dell'imperatore uscente incontra la congiura di quanti vogliono liberarsi di lui e dei suoi eredi. Ma Rimini è soprattuto teatro di una sorta di riedizione delle "idi di marzo". Gli interventi di Aries, Umberto Farneti e dell'Istituto storico per la resistenza. Ma Rimini è o no la città dei tre imperatori?
L’estate 2021 sarà ricordata per il doppio cesaricidio di Rimini. Quello elettorale-politico, che ha a che fare con la congiura tutta interna al Pd locale per la scelta del nuovo imperatore della città? Anche, certo. Pure lì le pugnalate non si contano. Ma soprattutto va in scena l’assassinio del Cesare bronzeo da parte di una sinistra che ormai si scopre rossa di fede e di rabbia solo sulle battaglie ideologiche inutili.
Prima l’Anpi ha alzato il pugno chiuso davanti a Cesare, ma soprattutto al faccione di Benito Mussolini che in veste di capo del governo donò la statua alla città. Poi l’Istituto per la storia della Resistenza e dell’Italia contemporanea della Provincia di Rimini, presieduto da Oriana Maroni.
Ai primi si rivolge il segretario di Aries, Gaetano Domenico Rossi, con una pacata ma ferma replica, eccola: «Per favore, non trasformiamo il rientro della statua di Giulio Cesare entro le mura cittadine in una questione di livello nazionale, strumentalizzandola a fini ideologici o politici, in primo luogo perché in questo momento ci sono ben altri problemi cui dedicare tanta attenzione, ed in secondo luogo perché i cittadini riminesi, cui la statua appartiene, hanno tutto il diritto e la libertà – che non deve esser loro impedita – di chiedere e rivendicare il ritorno di quella Statua nella piazza in cui era fin dall’origine collocata. Non si tratta della battaglia personale dell’Avvocato Rossi, come sembra voler far intendere l’ANPI e certi articoli di stampa, ma della battaglia dell’Associazione ARIES (Associazione Ricerche Iconografiche e Storiche), iniziata sotto la presidenza del compianto Ammiraglio Aleardo Cingolani, condivisa spontaneamente da tanti cittadini riminesi, moltissimi dei quali appartenenti al mondo culturale, delle più diverse estrazioni politiche, accomunati da un intento che nulla ha di politico ma si ispira esclusivamente ad un sentimento civico, intriso di cultura, amore per le tradizioni e la Storia, assolutamente scevro da condizionamenti. Del resto, a suo tempo lo stesso sindaco Walter Ceccaroni, esponente di spicco del P.C. riminese, ne aveva vanamente richiesta la restituzione per collocarla a fianco dell’Arco d’Augusto e, successivamente, la stessa Amministrazione comunale appena due anni or sono, prefigurava il rientro della Statua in piazza, come reso noto da un articolo del Resto del Carlino del 14 aprile del 2019 che così titolava: “Riporteremo Giulio Cesare in Piazza”, e così riportava: “E’ nostra intenzione -assicurano da Palazzi Garampi- riappropriarci una volta per tutte della statua per ricollocarla in piazza”.
E’ comunque fuor di ogni dubbio che la Piazza è e rimarrà dedicata ai Tre Martiri che sacrificarono la loro vita per la libertà, ARIES non lo ha mai messo in dubbio; ma al tempo stesso Rimini non può e non deve dimenticare le sue radici e la sua Storia, strettamente legata alla figura di Giulio Cesare che proprio in questa Piazza, e non altrove, arringò la sua XIII Legione. E quella incolpevole statua di pregevole fattura, uscita dalla prestigiosa fonderia Laganà, ne è una preziosa e non sostituibile testimonianza che non deve, non può e non vuole offendere nessuno, come d’altronde compreso e condiviso da gran parte del mondo culturale riminese e da tantissimi cittadini delle più diverse estrazioni politiche».
Risponde ad Anpi anche Umberto Farneti, un nome che non passa inosservato anche per alcuni ruoli pubblici ricoperti, e che si definisce «amante della sua città e rispettoso delle sue istituzioni, e che condivide gli ideali di libertà e di democrazia propugnati dalla Resistenza».
Scrive Farneti: «A modesto avviso del sottoscritto occorre, innanzitutto, fare chiarezza sul fatto che, anche se certamente sappiamo tutti che esistono tutt’ora dei nostalgici del Duce e di quel periodo, nessuno di coloro che ora chiedono che si arrivi finalmente a restituire alla città questa statua dopo 70 anni, caduti e definitivamente il fascismo ed il comunismo, nessuno ripeto intende minimamente toccare o riferirsi alla storia ed alla tragedia dei Tre giovani Martiri cui la piazza è ora intitolata, che restano certamente, in ogni caso, una delle pagine più dolorose e gloriose della nostra storia.
La piazza infatti, ovviamente, dovrà restare intitolata ai Tre Martiri e si tratterà semplicemente di restituire finalmente alla città quel bell’esemplare di statua in bronzo, importante e, forse l’unica, di cui la città dispone e che di fatto è comunque un pezzo della sua storia, e di collocarla in bella vista per il legittimo orgoglio ed il piacere di poterla ammirare, dei riminesi e di tutti i turisti che visiteranno la città.
Affermato quindi e sottolineato con forza che la richiesta che ora si avanza non può e non deve essere, assolutamente, fraintesa ed erroneamente assimilata agli scontri ideologici, del resto ormai definitivamente superati dagli eventi e dalla storia, si deve in particolare riconoscere e ritenere come effettivamente del tutto assurda ed infondata la pretesa di non volere riconoscere un fatto elementare e cioè che la consegna avvenuta a suo tempo di questa statua è stata e deve essere intesa non come un dono personale di Mussolini fatto ai fascisti riminesi ma, correttamente, quale è stata e non poteva essere diversamente, un atto pubblico, ufficiale, una concessione del Governo dello Stato italiano di allora alla intera città di Rimini.
Penso altresì che anche chi non ha vissuto personalmente i momenti tragici di una guerra civile, ma ne ha avuto notizia dalla testimonianza diretta di chi le ha vissute in prima persona, non possa comunque cadere nell’abbaglio di considerare un fatto così elementare e banale quale è questo del recupero di una semplice statua, anche se pervenuta alla città in quei tempi ed in quel modo particolare, tale ed in condizione di potere addirittura essere contrapposto ed avere un significato solo lontanamente paragonabile alle vicende drammatiche e tragiche di una guerra civile, ed inoltre in grado di potere ferire il ricordo della testimonianza eroica offerta con il sacrificio della propria vita dai nostri tre giovani martiri, che ripeto costituiscono una delle pagine più dolorose e gloriose della nostra storia cittadina.
Ritengo, infine, che occorra tenere presente e considerare, inoltre, che mentre la Resistenza è patrimonio di tutti gli italiani e non solo della sinistra, volere considerare la richiesta del recupero di questo bene alla città come una offesa fatta alla memoria dei Tre giovani Martiri e quindi implicitamente, incredibilmente, a tutta la Resistenza, si finirebbe davvero per arrivare all’assurdo giacchè, addirittura, sarebbe come ritenere la gran parte della cittadinanza riminese che ora dissente come “fascista”, attribuendo così anche, tra l’altro, alla ridotta schiera dei nostalgici il merito di essere gli unici ad avere a cuore il patrimonio storico della città».
C’è poi da segnalare la nota dell’Istituto per la storia della Resistenza e dell’Italia contemporanea della Provincia di Rimini, che «per ragioni storiche e culturali considera inopportuna la proposta, avanzata da alcuni cittadini, di ricollocare la Statua di Giulio Cesare, donata da Benito Mussolini alla città di Rimini nel 1933, nella piazza che la prima Giunta comunale della città liberata, il 9 ottobre 1944 dedicò ai Tre Martiri della guerra di liberazione dall’occupazione straniera e dal regime fascista». E prosegue: «Ripristinare in tale piazza il monumento donato a scopi propagandistici dal regime fascista, per affermare l’identità di Mussolini con Giulio Cesare, equiparare la marcia del 1922, “fondativa” del fascismo, con quella storica di Cesare, in assenza peraltro di un elevato valore artistico della statua, copia di quella collocata ai Fori imperiali, assume il carattere di una intenzionale lettura astorica del monumento, con l’obiettivo non secondario di decontestualizzare uno dei luoghi cittadini a più alto contenuto simbolico.
La capacità della storia di riappropriarsi del passato si fonda sull’esame e l’interpretazione dei documenti. Per dare il giusto valore ai “segni”, alle testimonianze, è necessario evitare che la storia sia piegata in funzione del presente e usata per creare miti.
Occorre non isolare ed estrapolare le vicende della statua, ma ricostruirne l’intera storia. Né si possono ignorare le vicende che hanno avuto luogo nella piazza, che fu sì l’antico Forum, ma oltre a testimoniare “l’antichità di una tradizione” che qui colloca l’allocuzione di Giulio Cesare, è un luogo che ci aiuta a ricordare che la Resistenza è stata una guerra contro lo straniero oppressore e una guerra civile contro un regime totalitario. Tutto fa parte della nostra storia, ma ogni società sceglie il patrimonio di valori di cui farsi erede».
Anche per l’Istituto, insomma, la piazza deve essere “ripulita” del suo passato che precede (e che viene letto in contrapposizione) la liberazione.
Sostiene oggi Carlo Cavriani, capocronista delle pagine riminesi del Carlino, rispondendo ad un lettore: «Qualunque fosse la carica simbolica che aveva la statua di Giulio Cesare, il tempo l’ha depotenziata. Oggi il significato di certi simboli non è più compreso. Eppure c’è ancora chi si accanisce «contro la statua», o meglio contro chi l’ha regalata: ovvero Benito Mussolini. L’elemento centrale che innesca questa polemica è proprio la percezione di questo legame, vale a dire il significato che a quel simbolo viene attribuito. Bisognerebbe concentrarsi solo sulla statua che, come opera, è pensata per essere collocata in luoghi visibili e importanti, è fatta per essere vista da tutti. Rimini è o no la città dei tre imperatori? Perché il povero Giulio Cesare deve essere discriminato rispetto a Tiberio e Augusto? Le statue non sono fatte per stare in un museo. Il monumento in questione può stare in una piazza dedicata ai Tre Martiri, senza per questo offendere la memoria di chi ha combattuto il regime fascista perdendo la vita. Nascondere la statua significherebbe rinunciare a studiarla. Ricollocare quel monumento in piazza Tre Martiri, invece renderebbe ancor di più la nostra città un grande museo a cielo aperto, in grado di mostrare apertamente la capacità della nostra società di evolversi in modo dinamico e riflettere criticamente e collettivamente sul proprio passato».
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