Marco Bongiovanni: la compagnia, la famiglia e una grande passione imprenditoriale

Marco Bongiovanni: la compagnia, la famiglia e una grande passione imprenditoriale

Semplicemente "Bongio" per i tantissimi che gli hanno voluto bene e che hanno condiviso con lui l'amicizia e il lavoro. Anzi, la ricerca della bellezza. Ritratto a più voci di un riminese mosso da "desideri grandi", che in Sardegna ha costruito una realtà turistica strabiliante.

Proprio come nel testo della canzone scritta da Mogol per ricordare Battisti, se n’è andato all’improvviso senza aver avuto neanche il tempo di salutare, a 57 anni per un infarto. Marco Bongiovanni, imprenditore turistico riminese a tutto tondo è morto nella notte tra martedì e mercoledì 24 gennaio a Baja Sardinia in quella che era diventata per lui una sorta di seconda casa, per non dire la prima, anche se qui a Rimini veniva spesso. A settembre dell’anno scorso s’era trasferito nel borgo San Giuliano con la famiglia. Lascia la moglie Luigia e quattro adorati figli: Maria Chiara, Sofia, Lisa e Davide (il più giovane) che studia a Roma alla facoltà di scienze politiche. Ma di loro diremo poi, così come dell’enorme stima ed affetto testimoniata dalla marea di volti commossi presenti, prima nella chiesa di Baja Sardinia (giovedì 25 gennaio), poi nella stracolma chiesa di Sant’Agostino a Rimini sabato 27.

La famiglia. Marco con la moglie Luigia e i figli.

Marco Bongiovanni è nato a Rimini il 25 giugno 1966, laureato in economia all’università di Bologna dove ha incontrato gli amici del Clu che lo legheranno al movimento fondato da don Luigi Giussani per tutta la vita; nelle superiori a Rimini aveva avuto come insegnante don Giancarlo Ugolini. Ma è stato nel periodo universitario che stringerà stretti legami di amicizia che dureranno una vita: tra questi Enzo Piccinini, don Carlo Grillini, Davide Rondoni. Il 23 maggio 1993 ha sposato Luigia e dopo alcuni anni di lavoro a Bologna in una società di revisioni di bilancio ha deciso di prendere le redini delle strutture d’accoglienza che il babbo Renzo, insieme a mamma Eliana Testoni, aveva acquisito a Baja Sardinia. Qui è nata la sua grande storia d’amore con la Sardegna fino a diventare un protagonista di rilievo per il settore turistico alberghiero della Costa Smeralda per non dire dell’intera isola.

Era amministratore delegato di Baja Hotels e presidente di Baja Hotel Travel Management. Aveva da poco fondato “Sardinia 360” e in occasione dell’inaugurazione ha concesso a un giornale online sardo un’intervista in cui rivelava il suo amore per il turismo “non invadente ma rispettoso” della cultura, storia e natura dei luoghi. Aveva aperto un resort a Is Arenas in un territorio che voleva vivesse tutto l’anno: «I ristoranti e i negozi qui presenti – aveva detto – non chiudono in inverno, come accade in altre parti della Sardegna, perché sono ad uso anche dei locali e quindi agli ospiti che vorranno scoprire l’anima vera dell’isola nel suo complesso».
L’idea di “Bongio”, come veniva chiamato generalmente, era quella di offrire all’intero territorio sardo una chance di sviluppo, creando occupazione e portando un tipo di turismo che certo non sarebbe mai stato di massa e “omologato”. Nel suo gruppo lavorano oggi oltre 400 dipendenti, alcuni dei quali sono stati assunti in età giovanile e sono oggi in pensione. Non è un caso se, recentemente, stesse realizzando per la Regione un progetto per promuovere il turismo della Sardegna in Europa. Sosteneva finanziariamente l’Arzachena calcio, conosceva quattro o cinque lingue straniere e coi locali parlava il dialetto sardo gallurese. Amava prendere il traghetto per i suoi trasferimenti perché la partenza era praticamente al tramonto e l’arrivo sull’isola all’alba quando il granito della costiera si colorava di rosa.

Marco col padre Renzo.

Il rapporto professionale che il padre Renzo aveva coi collaboratori e i clienti era lo stesso di Bongio, che tuttavia di suo aveva aggiunto l’attenzione all’altro nel suo bisogno di riposo e di accoglienza. In tanti, più che clienti diventavano ospiti, talvolta amici. Teneva contatti con le scuole alberghiere dell’isola e accoglieva spesso stagisti nelle sue strutture, pagandoli regolarmente e adeguatamente. E anche per questo s’è guadagnato la stima e l’affetto dei sardi che, com’è noto soprattutto a chi frequenta questa terra aspra e bellissima, non me ne vogliano i miei amici sardi, non concedono facilmente la loro fiducia a quelli del Continente. Nei confronti di Marco è nato un forte legame. «Era un visionario sempre stupito e ricercatore mai quieto, aveva uno sguardo profondo verso gli altri e in particolare verso i collaboratori dei quali coglieva e valorizzava i talenti. Capitava così che la libraia diventasse un’esperta di contabilità, l’apprendista uno chef stellato, il marinaio un capo cantiere. Sono tante le persone e le storie che incontrandolo hanno cambiato vita, riscoprendosi nel proprio io più vero. Sono quelli che hanno affollato la chiesa in Sardegna e sono andati in processione ad omaggiarlo e a dargli l’ultimo saluto in casa sua», come scrive sua sorella Laura. Mutatis mutandis, per Bongio è successo qualcosa di simile, e più o meno negli stessi giorni, a quel che è capitato per Gigi Riva, l’uomo e il giocatore venuto dal Continente a Cagliari quand’era ancora giovane e che vi restò poi per tutta la vita. Per amore di quella terra rifiutò persino le lusinghe e la richiesta di passare alla Juve, che gli offriva una vagonata di soldi.

Come ha detto don Claudio Parma che insieme alla famiglia e ad alcuni amici è andato in Sardegna per una messa e riportare il feretro a Rimini, ai numerosi presenti che stipavano la pur piccola chiesa e il sagrato di Baja Sardinia, «molti di voi hanno conosciuto il piccolo Marco di pochi anni e l’hanno visto crescere come persona, amico e imprenditore. Avete conosciuto un uomo che aveva sempre cercato e ancora cercava la bellezza. Perché se non c’è bellezza la vita non si “riposa” ma si avviluppa nell’angoscia e nella voglia di “evasione”. Marco cercava la bellezza ovunque, non solo nella natura particolarmente fiorente da queste parti, nella solidità del granito e nel vento impetuoso, nella natura aspra e selvaggia, nel verde smeraldo del mare e nell’azzurro del cielo. La cercava anche nei rapporti coi suoi familiari, amici, collaboratori e ospiti tutti. Il bello nasceva per lui da una “costruzione comune”, per cui si fanno anche sacrifici perché la bellezza ha il suo costo. Forse qualcuno di voi ha dovuto affrontare questioni e stringere i denti per risolvere i problemi che man mano si presentavano. Marco ora è stato chiamato a vedere e godere una bellezza per noi inimmaginabile: quella del volto del suo Signore. Adesso è tra le braccia di Gesù. La sua vita si è compiuta e così lascia a tutti noi una consegna: quella di custodire questa bellezza perché questa possa diventare patrimonio di tanti».

«Il mio caro tesoro e marito, è tra le braccia del Mistero».

Ma ora un accenno finale all’incontro dolcissimo e commovente con la moglie Luigia, che l’amico Davide Rondoni ha soprannominato la “moglie del marinaio”, e ai suoi quattro figli: Maria Chiara, Sofia, Lisa e Davide. Le prime due sono in attesa di un baby che renderà nonno Marco, anche se lui potrà vederli solo da lassù. Luigia dice: «I primi anni eravamo sempre là perché l’uomo di casa era in Sardegna. Era un uomo buono, certo e caldo, un vero tesoro, di cui mi sono subito innamorata, con la passione per la vita che gli aveva trasmesso il caro amico Enzo Piccinini. Insieme ci siamo incamminati in questa avventura che ci ha presi e che ci ha portato a sposarci e, con una certa spavalderia, a mettere al mondo i nostri quattro figli. Li abbiamo cresciuti ed educati, insieme a don Bubi, ad avere desideri grandi perché è questo che ci muoveva, “desideri grandi”, e li ho tirati su, con lui spesso lontano, non avevamo paura di niente perché Qualcuno ci ha promesso e ci ha dato il centuplo. Ma noi abbiamo ricevuto anche di più. L’idea della “moglie del marinaio”, che l’amico poeta Davide mi aveva affibbiato, non mi convinceva granché e mi faceva fare fatica. Invece adesso l’accetto ma mi è chiesto di più. Siamo andati in Sardegna per portarlo a casa. Con me c’erano i figli, giunti da Londra, Milano, Roma e da un’isoletta del Pacifico; e c’erano anche altri cari amici e don Claudio, a cui due delle mie figlie hanno chiesto di venire con noi e don Claudio ha prontamente detto e ripetuto tante volte con convinzione “Io ci sono, sto con voi”. Ora so che lui, il mio caro tesoro e marito, è tra le braccia del Mistero. In questi giorni di immenso dolore, abbiamo ricevuto una tenerezza meravigliosa da tantissimi amici».

Anche i figli parlano del babbo volentieri e ripetono più d’una volta che, nonostante la improvvisa dipartita, non hanno recriminazioni e rimpianti per quello che gli avrebbero potuto dire o fare. Fra l’altro le due più grandi, sono incinte e avevano già annunciato a lui l’evento atteso. Dopo i primi anni in cui stavano sempre insieme in Sardegna, una volta iniziata la scuola il babbo era spesso fuori casa ma era comunque “presentissimo”. Per loro, non mancava mai di rispondere al cellulare, neppure nelle riunioni di lavoro più impegnative. Quando si riusciva a ritrovarsi a tavola a Rimini, i colloqui non erano mai banali o scontati. I figli fanno una faccia interrogativa come di chi non sa rispondere, quando chiedo loro: «e adesso che porterà avanti l’impresa del babbo?». Tuttavia il nonno Renzo (88 anni), insieme a nonna Eliana, sono già tornati in Sardegna dopo il funerale e dopo la sepoltura di Marco nel cimitero di San Martino Montelabbate e hanno già scritto una mail ai “carissimi nipoti”: «Noi siamo qua e vi aspettiamo».

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