Mezzo secolo di vita a Rimini: dagli anni del Serpieri, nel ’68 mitico e fasullo, al 2000

Mezzo secolo di vita a Rimini: dagli anni del Serpieri, nel ’68 mitico e fasullo, al 2000

"Ero stato 'gettato' senza preparazione, come tutti gli insegnanti, in un'aula del liceo scientifico più vecchio di Rimini, il Liceo Scientifico Alessandro Serpieri, all'inizio degli anni '70, in piena apparente 'rivoluzione del '68". Comincia così il racconto del prof. Rimondini. Un viaggio a ritroso nel tempo durante il quale si accendono fari che illuminano ben più che vicende scolastiche.

PSICOANALISTI A RIMINI E A NEW YORK
Qualche tempo fa nella libreria Feltrinelli ho assistito a un incontro tra tre insegnanti e tre analiste lacaniane. A Rimini c’è un centro analitico lacaniano, che si rifà al grande psicanalista francese Jacques Lacan (1901-1981). Quando venni a Rimini mezzo secolo fa non ricordo ci fossero psicoanalisti. Tuttavia l’opinione pubblica colta e politicamente impegnata conosceva la psicoanalisi e partecipava alla politicizzazione dei problemi della salute mentale. All’inizio di quest’anno purtroppo è morto Angelo Battistini, psichiatra e psicoanalista nato a Bologna nel 1943, che abitava ed esercitava la professione a Rimini, cofondatore nel 2020 del Centro Adriatico di psicoanalisi. Battistini nel 1975 aveva collaborato alla istituzione dei “gruppi-appartamenti per degenti deistituzionalizzati del manicomio di Imola” della provincia di Forlì. La legge 180, per la chiusura dei manicomi, sarebbe stata varata nel 1978, in seguito all’azione e alle teorie dello psichiatra veneziano Franco Basaglia (1924-1980). Prima di venire a Rimini avevo iniziato un’analisi con il giovane psicoanalista Sergio Levi Minzi, del gruppo di psicoanalisi bolognese di Glauco Carloni, su posizioni innovative decisamente eretiche, che poi scomparve da Bologna, esercitò come dentista a Trieste, si disse, ed è riapparso on line a New York dove ha fondato un megacentro psicoanalitico.

I MIEI PRIMI ANNI A RIMINI CON UNA CATTEDRA DI STORIA E FILOSOFIA AL LICEO “ALESSANDRO SERPIERI”
Ero stato ‘gettato’ senza preparazione, come tutti gli insegnanti, in un’aula del liceo scientifico più vecchio di Rimini, il Liceo Scientifico “Alessandro Serpieri” all’inizio degli anni ’70, in piena apparente ‘rivoluzione’ del ’68. Politicamente ero schierato. Mi avevano eletto e nominato per il partito socialista di Nenni assessore alla scuola e alla cultura nel comune del mio paese d’origine, Medicina in provincia di Bologna – il nome viene da Taberna medicina, così i Romani individuavano quella che a Rimini hanno chiamato Domus del chirurgo – . La posizione del mio partito era piuttosto ambigua, in regione amministravamo con i comunisti e a Roma nel primo centro sinistra eravamo alleati con i democristiani. Tempo di sperimentazioni e di riforme; il governo aveva riformato la scuola e resa più numerosa la popolazione scolastica. Avendo fatto le mie domande nella provincia di Forlì, potevo scegliere tra una decina di cattedre di storia, filosofia, pedagogia e psicologia; avevo scelto Rimini, innamorato del mare e del Tempio Malatestiano. Il primo anno insegnai nell’istituto magistrale e dal secondo in poi nel liceo Alessandro Serpieri.
Mi era toccato il corso A. Nella mia V c’erano i capetti del liceo della futura Comunione e Liberazione e del Manifesto, che avevano deciso che il “socialtraditore” non avrebbe parlato.

FREUD MI SALVA DA UNA CONGIURA DI CAPETTI ‘RIVOLUZIONARI’
Per parlare parlavo, ma nessuno mi stava ad ascoltare. Il preside non voleva intervenire, mi arrangiassi. I ragazzi impegnati di sinistra avevano una loro cultura, di tutta la tradizione filosofica rispettavano solo due autori, semplificati nei libri del filosofo tedesco Herbert Marcuse (1898-1979), che erano Karl Marx (1818-1883), liberatore sociale e politico, e Sigmund Freud (1856-1939), liberatore della psiche. Del primo non avrei dovuto parlare – ancora negli anni seguenti quando affrontavo in sintesi il Manifesto un ragazzo di Lotta Continua attaccava alla cattedra l’invito ai compagni di non ascoltare, ma Freud, non propriamente un filosofo, era sconosciuto e io qualcosa delle sue opere conoscevo. Così, leggendo qualche brano della Psicologia della vita quotidiana, ero riuscito a catturare l’attenzione della classe.

Vai con la dimenticanza di Freud del nome del pittore Signorelli, che riscuote l’attenzione della classe, e subito dopo la dimenticanza, da parte di un giovane suo amico, del termine latino aliquis nel verso virgiliano, ultime parole della regina Didone nell’Eneide: exoriar(e) aliquis nostris ex ossibus ultor. Abbandonata da Enea, Didone si augura che dalle sue ossa – dal suo sangue – nasca un vendicatore. Il discorso che Freud ascolta dopo avere chiesto al giovane di fare delle libere associazioni, parte da liquis liquido, e poi nomina le reliquie, i padri della Chiesa, San Gennaro, il miracolo del sangue.
A questo punto al giovane viene in mente una cosa: “ho pensato ad una signora dalla quale facilmente potrei ricevere una notizia che sarebbe assai sgradevole per entrambi…”. A questo punto mi sono rivolto alla classe:
– Ragazzi, ditelo voi, quale poteva essere questa notizia?
Subito Valentino dice:
– Che non ha avuto le mestruazioni.
Rimango sorpreso, è quello che aveva scritto Freud.
Con Valentino siamo diventati subito “amici”. E oggi sconsiglierei insegnanti e genitori di cercare l’amicizia dei giovani, ma allora eravamo o meglio credevamo di essere, in un clima ‘rivoluzionario’ e comunque l’amicizia con Valentino, che era il capo occulto della classe, perché le ragazze seguivano quello che lui voleva, mi salvò dal progetto di espulsione dei capetti.
Si creò un clima di lavoro straordinario, tutti, anche i capetti vennero coinvolti a partire dalla decisione dei programmi. Studiavamo in gruppo mattina e pomeriggio, Nelle mie materie la classe era diventata un affiatato gruppo di lavoro. Ogni studente preparava un argomento che lo interessava per essere poi esaminato sull’argomento scelto.

Giovanni Rimondini.

IL PROFESSORE CHE INTERPRETA I SOGNI DEI SUOI STUDENTI
Così Freud era stato scelto tra gli autori da portare all’esame; insieme a Marx. E Marx si poteva capire senza Hegel? E Hegel senza Schelling e Fichte? E questi senza Kant? E Freud senza Nietzsche? E Nietzsche senza Schopenhauer? Il nucleo dei filosofi da portare all’esame era stato deciso. Venni scelto dalla classe come membro interno; il presidente della commissione era un noto uomo di destra di Padova, venuto, si disse, per fare una strage nel Liceo ‘rivoluzionario’, ma tutti i miei studenti furono promossi.
Così Freud era entrato tra i miei argomenti scolastici preferiti. La lettura dell’Interpretazione dei sogni era diventata in quinta una costante dei miei programmi. Ma non solo in quinta.
Ho avuto anche seminaristi tra i miei studenti, evidentemente il rettore del seminario non mi riteneva pericoloso.

Passarono quegli anni aurorali; a Cesena fu istituita la cattedra universitaria di psicologia. Una insegnante di psicologia di una facoltà universitaria, mi venne detto, che aveva avuto dei miei ex studenti tra i suoi uditori, mi usava quale esempio negativo del perché e di come non si devono interpretare i sogni degli altri. Avrebbe detto:
– Non fate come quel professore di Rimini, che interpreta i sogni dei suoi alunni.
È risaputo che per Freud ad interpretare il sogno dev’essere il sognatore. Io interpretavo i sogni dei miei alunni? Sì, li interpretavo. Ma se la professoressa mi avesse telefonato per sapere cosa succedeva veramente in classe, allora avrebbe capito e non mi avrebbe censurato e deriso. I ragazzi e soprattutto le ragazze mi chiedevano di interpretare i loro sogni. Spiegavo quello che Freud aveva detto sul sognatore unico interprete del proprio sogno; ma non c’era verso, mi raccontavano pubblicamente i loro sogni e volevano che li interpretassi.
Per la verità Freud stesso aveva parlato anche di “sogni tipici” facilmente interpretabili da tutti, uno dei quali “il sogno dell’esame di maturità”, aveva attinenza con la scuola. Le ragazze soprattutto avevano degli incubi tipici del sesso e dell’età: sognavano di essere inseguite da figure aggressive maschili armate di revolver, pugnali, spade e simili innocui simboli fallici. La mettevamo in ridere.
Soprattutto avevo notato che mentre cercavo di spiegare i sogni personali complessi – come se li avessi fatti io – mi accorgevo che a un certo punto il ragazzo o la ragazza ‘staccavano’ l’attenzione e si mettevano a pensare. Ecco, questo ‘pensare’ mi sembrava importante, capivo che nello studente “si apriva una finestra”, come avrei imparato da Vincenzo Muccioli, al tempo del processo, e si manifestava al ragazzo il suo mondo personale sconosciuto, che io non volevo esplorare; non volevo assolutamente violare la privacy del sognatore, non volevo fare lo psicoanalista della mutua. La ragazza o il ragazzo facevano i conti con se stessi. Mi sembrava importante questa operazione mentale tanto da tollerare il rito della falsa spiegazione.

IL MODUS OPERANDI DI VINCENZO MUCCIOLI
Per il settimanale “Settepiù” diretto da Luciano Nigro, seguii il processo a Vincenzo Muccioli nel 1984. Ero grato a Vincenzo perché aveva tirato fuori dalla droga un mio studente, che un maledetto giorno aveva detto a me e agli altri insegnanti che l’indomani avrebbe cominciato a bucarsi. Irrideva i nostri tentativi di fargli cambiare idea e in seguito ci fece vedere i buchi delle iniezioni sulle braccia.
Era un ragazzo molto intelligente: finì l’anno senza problemi scolastici. La V la fece perché i suoi compagni, guidati dall’insegnante di tedesco, la cara Liliana Mazzoli, gli volevano bene e andavano a prenderlo a casa ogni mattina. Agli esami ce la fece senza aiuto, come mi assicurò il severo presidente del primo anno che era ritornato. Dopo anni rividi il mio studente a San Patrignano, dove ero andato con Luciano Nigro ad intervistare Vincenzo.
Mi disse che sua madre disperata l’aveva infine portato da Vincenzo, e lì lui aveva cercato di fare il furbo per avere il permesso di uscita con una scusa, ricevendo da Vincenzo uno schiaffo.
– Professore ci crede? mi disse. In quel preciso momento io cambiavo da così a così, e mi mostrò prima il palmo e poi il dorso della mano.
In seguito il ragazzo intraprese una carriera di prim’ordine.

“SI APRE UNA FINESTRA”
Cercava un padre, pensai, un padre severo ma giusto, non un amico… Vincenzo ci spiegò che aspettava, e anche cercava di provocare, di fare in modo che “si aprisse una finestra” nella psiche della ragazza o del ragazzo, una disposizione all’ascolto e alla reazione, e allora il giovane era pronto per ascoltare le cose e adottare la strategia che gli permetteva di uscire dall’inferno della droga e di riconquistare le sue capacità di studio e lavoro normali. Apertasi la finestra, Vincenzo pronunciava una frase positiva che doveva orientare positivamente la ragazza o il ragazzo.
Questa operazione, l’ars magna di Vincenzo, aveva un certo rapporto con la psicologia della suggestione e dell’ipnosi. Materie di difficile comprensione, più applicate che teorizzate, certamente legate alla figura ‘paterna’ e di potere dell’ipnotista, nient’affatto facile da capire.

RIMINI CITTÀ SPIRITISTA
Eravamo alla ricerca di notizie sulla formazione e sul metodo di Vincenzo. La cosa ben strana per me che venne fuori fu la prassi da medium che Vincenzo aveva esercitato prima di aprire San Patrignano. Luciano Nigro mi procurò dei ciclostilati con la trascrizione delle trance di Vincenzo. Altre “trascrizioni degli incontri medianici” sono pubblicate in “Vincenzo il Santo e il Peccatore” di Luigina Da Cortà, 1995.
Vincenzo aveva una preparazione da “spiritista”, aveva diretto a Rimini un Cenacolo di persone che si erano legate a lui e che poi avevano deciso di seguirlo nell’impresa di San Patrignano. Imparai che Rimini è una città spiritista nota agli interessati quasi, si diceva, fin dal tempo della diffusione dello spiritismo negli States – sorelle Fox Hydesville 1848 – e in Europa, con famosi medium. Argomento storico certamente molto interessante e, che io sappia, del tutto inedito. Trovai che lo spiritismo come ideologia aveva componenti teoriche cristiane e buddiste.
Dal buddismo veniva a Vincenzo la capacità di aspettativa positiva illimitata nei confronti della ragazza o del ragazzo caduti nel pozzo della droga. Io invece, dopo avere sofferto anche per la mia impotenza di giovare al mio studente, mi ero, come dire? rassegnato e mi aspettavo una fine drammatica. Da qualche parte trovai una sorta di parabola: il Budda, trasformato in un essere divino, fa scendere un filo di seta dentro il pozzo e poi, se l’anima caduta si aggrappa, il filo di seta diventa una corda di canapa e poi una catena di ferro mentre il caduto risale…

UN FAMOSO MEDIUM DI RIMINI E SUA MOGLIE
Sto semplificando alla grande. Vincenzo aveva anche altri aspetti oltre a quelli salvifici, ma a me interessavano principalmente gli aspetti positivi, magari per ottenere un metodo praticabile da tutti.
Presi contatti con il Cenacolo di Milano dove si diceva che Vincenzo si fosse formato. Mi dettero appuntamento di notte, alle 21, in una cantina di un quartiere che forse raggiunsi in taxi. C’era una nebbia da tagliare col coltello. Nella cantina, una porta con la indicazione del Cenacolo; bussai ma nessuno mi risposte. Allora scrissi su un foglio quello che avrei voluto sapere, cioè se volevano dirmi quando e come Vincenzo si era formato da loro.
Mi arrivò una lettera – datata 23 XII 1984 – nella quale non si parlava di Vincenzo, ma delle rivelazioni di un “Entele”, uno spirito venerato anche da Vincenzo, che faceva rivelazioni utili all’umanità. E poi c’era questa frase:

“Luciano e la moglie sono fratelli che chi scrive ha personalmente conosciuto molti anni fa; sono fratelli e compagni sulla strada evolutiva concessa ad ogni umano.”

Qualcuno mi disse che si trattava di due medium riminesi, maestri di scuola famosi nell’ambiente spiritista.
Non sono particolarmente interessato alla parapsicologia e allo spiritismo, ma solo all’aspetto storico di questi fenomeni e certamente all’utilizzo dei concetti spiritisti nella cura della tossicodipendenza.

METODI POLIMORFI DI VINCENZO MUCCIOLI
Un amico autorevole, che di persona ha vissuto a S. Patrignano molte vicende di Vincenzo Muccioli, mi ha raccontato un episodio di violenza e di politica del “terrore” in alternativa ai metodi che ho sopra ricordato. Un ragazzo che aveva avuto una relazione proibita con una ragazza, fu punito con un potente schiaffone in faccia – di quelli che lasciano il segno – pubblicamente, davanti alle persone di quel settore della comunità riunita e impaurita in cui il ragazzo lavorava.
Altre voci terrifiche tratteggiano la personalità polimorfa di Muccioli. Certamente per avere una visione concreta e precisa vanno tutte verificate. Il mio giudizio positivo potrebbe modificarsi. La mia esperienza si era verificata nei primi tempi quando la comunità non era numerosa e non c’era bisogno di tenerla con la violenza.

LA “MITOLOGIA DEI NOSTRI TEMPI”
Il mio interesse per la psicoanalisi è rimasto sempre dominante; mi interessa anche la psicologia della suggestione, l’ipnosi, che certamente non voglio né so praticare. È utile conoscerla per evitare che gli esperti, in molti modi, che ho visto, la pratichino su di noi. Tutti saperi che oggi sono fortemente in crisi e come passati di moda. Le nuove tendenze nell’ambito psicologico sono le “neuroscienze” quasi sempre critiche verso la psicoanalisi.
Tuttavia qualche scienziato delle “neuroscienze” parte da queste ‘psicologie dell’inconscio’ per collegarsi con l’anatomia del cervello, e diventa come Mauro Mancia (1929-2007), neuroscienziato e psicoanalista.
Le letture delle opere dello psicoanalista francese Jacques Lacan, devo confessare, sono state piuttosto limitate e insufficienti. Non ho capito Gli scritti e quasi tutto di certe parti dei Semìnari che ho letto. È necessaria per leggere Lacan una cultura linguistica e poi, per l’ultimo Lacan, una cultura matematica superiore, saperi che a me fanno difetto. Le volgarizzazioni dei sistemi analitici lacaniani di Miller e di Recalcati aiutano certamente a capirlo. Devo dire di essere stato affascinato dalle numerose metafore di storia dell’architettura in termini analitici specialmente il libro VII dei Seminari.

INSEGNARE A STUDIARE: LE TRE MEMORIE
Verso la fine del secolo e della mia carriera scolastica cercavo di trasmettere ai ragazzi, soprattutto a quelli che non provenivano da famiglie acculturate, qualche elemento di metodo di studio; insomma sentivo il bisogno di insegnare a studiare. A partire dalla conoscenza e dal buon uso della memoria.
Negli anni ’80 avevamo assistito ad una mutazione antropologica dei ragazzi. Le nuove generazioni avevano perduto l’interesse per la politica, la sociologia e nei casi peggiori persino per l’etica. Cominciavano ad apparire i ‘sintomi’ di personalità fortemente narcisistiche, centrate su se stesse o identificate sul cane capobranco, fondamentalmente edonisti, senza interessi culturali. Appariva la cultura edonistica che uno di loro, destinato alla pubblica amministrazione, avrebbe imposto alla città. Al Serpieri però mantenemmo a lungo il sistema delle assemblee – ricordo l’ultima a cui partecipai sull’omosessualità. Un prete aveva esposto la tesi del “disordine oggettivo”, io avevo sostenuto la teoria dello psicoanalista svizzero Fritz Morgenthaler (1919- 1984), che definiva l’omosessualità una variante naturale della sessualità non solo umana. Il liceo era gestito con una sorta di governo collegiale, un compromesso virtuoso ogni anno discusso con gli studenti e in collegio, finché una collega diventata preside riuscì a ripristinare uno stile di direzione non più collegiale. Il “centralismo democratico” comunista – buono per un esercito rivoluzionario –, giunti al governo della scuola, si stava frantumando in una serie di dispotismi personali.
Concentrai i miei interessi scolastici sulle metodologie del lavoro scolastico, ovvio in aggiunta alla programmazione prevista dal sistema scolastico. Avevo sempre avuto un certo interesse per la memoria.

Ancora negli anni ’90 i ragazzi di Rimini, che studiavano all’università medicina, dovevano affrontare il terribile esame di anatomia, conoscere a memoria tutto il contenuto di un librone della stazza di un volume dell’Enciclopedia Italiana. E i ragazzi che studiavano giurisprudenza l’altrettanto terribile esame dei codici giuridici da sapere a memoria.
Si organizzavano un metodo di studio e utilizzavano le tre memorie che fino a quel momento non avevano conosciuto. Li vedevo nei corridoi della Gambalunga con i libroni fittamente segnati con pennarelli colorati – stimoli per la memoria visiva –, che leggevano e ripetevano senza sosta – attivazione della memoria uditiva – e non stavano fermi, ma andavano avanti e indietro – uso della memoria a me fino a quel momento ignota, la memoria cinetica.
Questa memoria cinetica è conosciuta dalle antiche civiltà, tutti credo abbiamo visto in tv i giovani, che si formano come rabbini o come imam, che seduti davanti al librone delle Scritture ripetevano i versetti muovendo la testa avanti e indietro.

MEMORIA MINUITUR NISI EAM EXERCEAS, la memoria diminuisce se non la eserciti.
Alla mia età la memoria comincia a mancare alla grande; quando parlo non mi viene, o non mi viene subito una parola, che poi dopo un poco di tempo si presenta. Il discorso di un vecchio somiglia a una fetta di formaggio coi buchi.
Una certa diminuzione del tempo di apparizione della parola dimenticata l’ho ottenuto seguendo un consiglio di Cicerone: la memoria diminuisce se non la eserciti.
Così ho re-imparato a memoria una poesia del Pascoli, O Valentino vestito si nuovo, che avevo imparato a scuola e mi ricordavo solo i primi versi. Adesso quando mi dimentico una parola recito l’intera poesia e la parola mi viene in mente…bè, non sempre. Comunque sia, coetanei, provateci.

LA S/VOGLIA DI STUDIARE
Nel 1993 era ministro della pubblica istruzione il comunista Luigi Berlinguer; vi erano state delle novità: un insegnante poteva essere distaccato dall’insegnamento per attività didattiche speciali decise dal collegio.
La preside mi propose di occuparmi di un progetto per affrontare la dispersione scolastica. Preparai un progetto dal titolo vagamente lacaniano a partire dal concetto popolare di voglia di studiare: S barrato VOGLIA: S/VOGLIA. La barra significava che la voglia di studiare, la curiosità umana, che tutti gli esseri umani possiedono è stata bloccata da una qualche ‘proibizione’, da una qualche ragione che una volta conosciuta sblocca la mente bloccata dei ragazzi e ripristina la curiosità umana originaria.
In che modo? Facendo parlare il ragazzo e cercando di individuare la causa. Non si trattava di ‘psicanalisi della mutua’, avevo ragione di credere che si poteva riprodurre l’aspettativa di Vincenzo che si aprisse la finestra e che i discorsi dovevano essere principalmente di tipo cognitivo e non erotico e nemmeno troppo profondo.
Certamente la eventuale profondità dei problemi mi spaventava e comunque non ero attrezzato né autorizzato per affrontarli. A scuola cominciavano ad apparire ragazze anoressiche e più tardi si diffondevano le automutilazioni. Casi per i quali erano necessari i terapeuti specialisti.
Se l’esperimento della s/voglia fosse riuscito, nella direzione dell’insegnamento a studiare, allora gli insegnanti e gli psicologi della scuola, potevano utilizzare in classe un qualche strumento sperimentato e utile.

TRE ANNI DI DISTACCO DALL’INSEGNAMENTO
Il Collegio del Serpieri mi autorizzò a tentare l’esperimento della S/VOGLIA, tre anni di seguito.
Ma una funzionaria del Provveditorato di orientamento comunista all’inizio della mia attività mi convocò e venni a sapere che quello che aveva deciso il Collegio non contava niente, avrei dovuto allinearmi ad una diversa attività collettiva. Non ricordo più l’argomento. Non mi interessava e preferii cercare di sperimentare quanto era stato deciso in Collegio. Naturalmente venni isolato e ignorato, malgrado compilassi diversi resoconti delle problematiche affrontate.

FACCIA D’ANGELO
Venni messo in condominio in un’aula e poi sloggiato e mandato in succursale dove c’erano le prime classi abbastanza abbandonate persino dai bidelli. Mi occupai di diversi problemi urgenti, ascoltare e ascoltare alcune ragazze anoressiche, non per curarle ma per cercare di persuaderle che non abbandonassero la scuola come minacciavano di fare. Avete capito? Erano discorsi del tutto normali di buon senso, ripetuti all’infinito per trattenerle a scuola, non tentativi di affrontare delle patologie. Lo stesso fine di evitare che abbandonassero la scuola, avevano i lunghi discorsi con i ragazzi depressi.
In succursale incontrai dei problemi seri di sociopatologia. Infieriva sulla succursale una banda di delinquentini su motorino, capeggiati con grinta da un ragazzino quattordicenne dal faccino d’angelo. Figlio d’arte, aveva il padre ai Casetti e, si diceva, per imporsi nella banda aveva tagliato con un coltello qualche natica. Non credo spacciassero droghe, almeno io non me ne accorsi, ma gestivano un vivace giro di furti di motorini o di parti di motorini. Avevano stabilito relazioni di amicizia con le ragazze e i ragazzi con problemi scolastici, i miei potenziali clienti. Uno lo trovai che era entrato in una classe e abbracciava una ragazza sotto gli occhi di una giovane professoressa che fingeva di non vederlo. Una mattina vidi l’intera banda dentro il recinto della succursale che stava smontando un motorio. I delinquentini stavano smontando un motorino. Li invitai ad andarsene, ma loro mi risposero che avevano il diritto di rubare agli studenti che avevano rubato i loro motorini. Chiamai la polizia. La banda aveva un sistema di sorveglianza dell’area dove stavano agendo, per cui quando arrivò la polizia se ne erano andati, per tornare quando la polizia si era allontanata. Faccia d’angelo mi raggiunse sul suo motorino davanti alla rete del recinto. Puntò il dito e disse: “La p-prossima volta che chiami la p-polizia ti taglio la gola…”

IL RAGAZZONE A RISCHIO
Un ragazzone del secondo anno, che andava male a scuola, un mio potenziale cliente, ogni mattina si assentava per un’ora circa e nessuno sapeva dove andava e cosa faceva. Finché una giovane supplente che lo trattava con amicizia si fece dire dove passava quell’ora e cosa faceva. Lui le disse che la banda di Faccia d’angelo utilizzava le sue capacità di smanettone per smontare i motorini e rubare i pezzi nei piazzali delle altre scuole. La supplente venne a dirmelo e insieme andammo a informare la preside.
La preside fece chiamare il padre e il ragazzone. Quest’ultimo arrivò con il suo zaino militare che appoggiò sul pavimento davanti alla cattedra della preside. Come sentì che il padre stava arrivando se la diede a gambe.
Arrivò il padre che ascoltò una relazione di quello che era successo e il mio consiglio di valorizzare le capacità manuali del figlio, unite all’uso facile del computer. Tali doni potevano essere meglio impiegati, per esempio nelle scuole professionali dell’Enaip Acli che avevano aperto un corso di alto profilo professionale per operatori meccanici capaci di mettere le mani nelle nuove automobili computerizzate. Erano assicurati guadagni di tutto rispetto, certamente superiori ai nostri di insegnanti.
– Mio figlio deve fare un liceo, ci disse con voce maestosa. Se la prese poi con me per le calunnie che avevo osato riportare sul comportamento del figlio.
Poi, con solennità teatrale si dispose ad uscire e afferrò lo zaino del figlio. Lo zaino preso dal fondo si aprì e con un forte rumore metallico si sparse sul pavimento un set di tutti gli strumenti per un giovane scassinatore.

UN SOLO SUCCESSO REGISTRATO: LA FIGLIA DI GIOVANNA
Ma la s/voglia che fine aveva fatto? Devo pur dire che i colleghi, salvo Alessandro un insegnante di lettere mio amico, non mi aiutavano. Poi certi ragazzi cercavano di venire da me per evitare interrogazioni disastrose, insomma mi ricordo solo poche decine di casi relativi alla s/voglia senza risultati da utilizzare secondo i fini del distacco alla dispersione. Ma un caso di successo indubitabile l’ho avuto.
Incontro una vecchia amica, Giovanna. Mi chiede cosa sto facendo di bello e io le racconto l’attività del mio distacco.
Deve avere detto qualcosa come: è il cielo che ti manda. Mi spiega che ha un cattivissimo rapporto con la figlia studentessa. Ogni giorno un tormentone, e gli insegnanti che le dicono che la figlia è intelligente ma non ha voglia di studiare, e lei che ogni giorno si scontra con la figlia per farla studiare, un inferno. Cosa deve fare?
Un po’ sul serio, un po’ per scherzo, fingo di avere la ricetta e le dico: chiama da parte tua figlia e dille:
– Cara figlia da oggi non ti dirò più di studiare. Prendi nelle tue mani il tuo destino. Ma in casa nostra o si studia o si lavora. Pensaci bene, se non vuoi più studiare ti cerchiamo o ti cerchi un lavoro. Dille anche “una frase famosa” come quelle che usava Muccioli:
– Tu sarai sempre nostra figlia, qualsiasi scelta tu faccia, ma basta col tormentone.

Passa un anno. Vedo Giovanna che s’illumina con un grande sorriso:
– Gianni come ti posso ringraziare? Ho fatto tutto come mi avevi detto. Lei dapprima è rimasta sorpresa – s’era aperta una finestra, pensai -. Ci ha pensato e poi poco alla volta ha rimediato i suoi voti nelle materie dove era insufficiente e alla fine dell’anno è stata promossa.
Un unico successo senza vedere la ragazza, mi convinsi che forse sarebbe stato meglio convocare e parlare con i genitori dei ragazzi s/vogliati…
Intanto mi occupavo di studiare e cercare di salvare i nostri Beni Culturali, nelle mani di Vandali, Barbari, Riministi, con varie vicende felici e infelici che mi hanno portato in Portogallo, nel periodo più bello della mia vita, dove ho lavorato con studiosi portoghesi ai livelli culturali alti e sono stato nominato Accademico della Academia national de Belas Artes di Lisbona. Una botta di narcisismo, me la perdonate?

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