Palazzo Lettimi è ancora un rudere: una brutta storia che ha radici lontane

Palazzo Lettimi è ancora un rudere: una brutta storia che ha radici lontane

Poco è cambiato dai tempi della solitaria battaglia dell'allora Ispettore onorario della Soprintendenza, Mario Zuffa, che arrivò a minacciare le dimissioni per protestare contro il mancato stanziamento dei fondi ministeriali destinati ai monumenti italiani. Accadeva 65 anni fa.

Di Palazzo Lettimi Maschi, altra vera vergogna della città e specchio della sensibilità istituzionale dimostrata verso i beni storici cittadini, se ne conosce la storia, le famiglie nobili che vi dimorarono nel contesto dei loro tempi, fino alla distruzione durante il secondo conflitto mondiale, ed anche successivamente nel 1965 per motivi di pubblica incolumità, si diceva; allora era più semplice demolire, piuttosto che mettere in sicurezza (sic!).
La vicenda rimanda ad un bellissimo film in cui Totò e Peppino De Filippo, cercavano di vendere la Fontana di Trevi agli ignari turisti? Beh, in questo caso non è così ma quasi; non si conosce bene il motivo per cui occorra cedere ad altri soggetti un bene così prezioso, e perché in caso contrario debba rimanere un ignobile rudere, avvilito dalle ingiurie dell’uomo e del tempo.
Dapprima doveva essere acquisito dall’Università di Bologna per la realizzazione di un complesso integrato di alloggi e servizi allo studio. Progetto a cui però non si è potuto dare seguito a fronte del parere non favorevole del ministero per i Beni e le attività culturali.
In seguito proposto all’Agenzia delle Dogane al recupero dell’immobile individuato quale nuova sede dell’ente, oggetto di un accordo di collaborazione a cui però l’agenzia non ha più dato seguito. Tentativi tutti volti inspiegabilmente a sottrarlo alla fruizione della cittadinanza, frutto di fantasiose invenzioni di improprie destinazioni d’uso. Abbandonato da tutti, soggetto anch’esso ad una sorta di “damnatio”.
Ma in passato ci fu chi si spese tanto affinché il prezioso monumento ritornasse a risorgere, e le testimonianze sono custodite presso la Biblioteca Gambalunga, negli atti del protocollo relativi agli anni che vedremo.

L’INIZIO DELLA VICENDA
In data 11 Giugno 1959 con una missiva che trasudava delusione, sconforto ed amarezza, il direttore dei Servizi culturali del Comune di Rimini, nonché Ispettore onorario della Soprintendenza, scriveva al Soprintendente di Ravenna per rassegnare le proprie dimissioni da quell’incarico onorifico.
Tra i motivi, vi era quello relativo al fatto che il Palazzo Lettimi non era stato compreso in quello stanziamento di fondi che il ministero competente aveva destinato per ricostruire i monumenti italiani. Nella sua comunicazione Mario Zuffa riportava delle “…quotidiane lotte contro coloro che vorrebbero ridurre la nostra Italia ad una serie di squallidi agglomerati cementizi…” e “…le amarezze patite nel vedere scomparire giorno per giorno un angolo caratteristico della città, un bel parco alberato, un interessante edificio; nel vedere deturpati i monumenti da impossibili vicinanze o da arbitrarie modifiche e nel constatare come contro i moderni Vandali ben poco possono le armi legali in nostro possesso”. In sostanza una penosa fotografia della Rimini di allora, sebbene poi in seguito non sia proprio andata meglio.

Evidentemente le dimissioni furono respinte e fu convinto a non lasciare quell’incarico, perché in seguito si batté tenacemente – ma invano – per raggiungere quel fine, come per tanti altri casi analoghi seguiti con passione.

LO STRENUO TENTATIVO DI RICOSTRUZIONE
La storia è abbastanza complessa e ricca di rapporti epistolari, a volte ripetitivi; ma per comprenderla ci avvarremo di un promemoria cronologico redatto da Mario Zuffa e fatto proprio dal Comune di Rimini, poi inoltrato al ministro della Pubblica Istruzione Giuseppe Medici il 20 luglio 1959, in cui, dopo una preliminare descrizione del bene, peraltro ormai nota, se ne sintetizzano i passi. Oltre ad altri documenti principali.

«Nel febbraio dl 1948, in occasione della visita dell’On. Sottosegretario ai LL.PP, l’Amministrazione Comunale presentava un pro-memoria (n.1047 in data 13.2.1948) con l’elenco intitolato: “Opere pubbliche comunali urgenti ed indifferibili per le quali non si è ancora ottenuto il finanziamento e che occorre eseguire nell’anno corrente” ove la ricostruzione del Palazzo Lettimi figurava per uno stralcio di L. 20.000.000».
«Figurò, poi, per uno stralcio di L. 14.000.000 nel “Programma delle opere pubbliche indilazionabili” proposte per il finanziamento coi fondi dell’esercizio 1948-49 (n.3005 del 21.5.48)».
«Venne successivamente inserito nell’elenco delle opere a pagamento differito dipendenti da danni di guerra, limitatamente ad uno stralcio di 50 milioni (data 6/8/1949) per l’esercizio 1949-1950 e nell’elenco delle opere comunali dipendenti da danni di guerra limitatamente alle più indispensabili ed indilazionabili, che il Comune presentò nel luglio 1951 al Provveditorato Regionale delle OO.PP. per il possibile finanziamento sui fondi dell’esercizio 1951 – 1952 per uno stralcio di L. 40.000.000».
«Il Comune provvedeva poi (23/9/1953 n.5672) alla denuncia del danno bellico a norma delle disposizioni di legge n. 230 del 21/3/1953 per complessivi L. 82.000.000…». Questa la stima per la ricostruzione, paragonabile agli odierni Euro 1.150.000,00 circa.
Nei vari tentativi messi in campo dal nostro protagonista di coinvolgere più soggetti possibili pur di arrivare al fine, vi fu anche quello rivolto all’allora deputato del P.L.I. Agostino Bignardi, al quale il 16 giugno 1959 scrisse una lettera in cui lo ringraziava per il suo interessamento ai Musei, e fatta una sintetica ma lucida storia del Lettimi, chiedeva in sostanza se potesse fare qualcosa in merito.

Il caso diventò nazionale poiché l’interpellato fece un’interrogazione al ministro della P.I., della quale il Resto del Carlino del 4 Luglio 1959, diede conto ai lettori nella pagina della Cronaca Riminese.

Il 27 giugno successivo con una lettera indirizzata al Sindaco e competenti Assessori, il direttore, premesso un colloquio con il Soprintendente, chiedeva di inviare allo stesso tutta una serie di documenti per istruire una nuova richiesta di finanziamento, che però verrà ancora respinta come si legge nel riscontro del 16/06/1959.
Seguiranno altre corrispondenze tra lo stesso Zuffa, il Comune e i vari Enti che sortiranno solo un nulla di fatto, cristallizzando la situazione così come oggi appare. Oltre agli articoli sulla stampa locale che organicamente supportavano questa operazione.

IL PUNTO DELLA SITUAZIONE NEL 1964

Il promemoria redatto dal geometra Tonini, tecnico comunale, in seguito alla riunione convocata dall’Ispettore del Provveditorato alle OO.PP in Bologna il 25/11/1964, presenti altri, riassume la complessa vicenda fino a quella data. Nello stesso, si elencano alcuni aspetti salienti che l’Ispettore rileva, sintetizzando:
– l’eccessiva spesa della ricostruzione stimata in L. 242.215.00 (incrementatasi nel tempo a motivo delle precedenti demolizioni, di cui buona parte riguardanti il prospetto principale) e che la stessa, tra costi e benefici, non verrebbe presa in considerazione da parte di un’iniziativa privata (sic!); questo contava di fronte ad un palazzo del ‘500!
– L’incompatibilità della destinazione a Liceo Musicale, date le norme che disciplinavano l’edilizia scolastica non derogabili.
– Meglio sarebbe stato utilizzare il valore del danno bellico, per la costruzione di un nuovo edificio scolastico.
– Sarebbe stato poi più opportuno utilizzare l’edificio per destinarlo ad uffici pubblici o istituti culturali, o ancora meglio come sede del Genio Civile.

IL TESTAMENTO E LE VOLONTÀ DEL LETTIMI
In una lettera del 14 gennaio 1965 Mario Zuffa scrive all’Assessore alla P.I. ponendolo a conoscenza di avere ricevuto, dal geometra Carlo Tonini, la copia dell’atto notarile del dott. Camillo Ferri in data 2.VII.I932 pubblicante il Testamento Olografo di Giovanni Lettimi, allo scopo di esaminarlo attentamente “…ai fini di cavarne qualche elemento utile allo scioglimento del nodo che sembra aver bloccato la pratica in oggetto”. In particolare si sofferma e sottolinea alcuni aspetti importanti.
A suo parere le volontà escludono il vincolo di destinazione a scuola musicale, ma rimarca la condizione che “…il Palazzo non venga mai alienato dal Comune, né spogliato dei suoi pregi artistici”. Poi conclude: “Ne consegue, pertanto, che il Comune ha il solo obbligo di ricostruire il Palazzo…” che si potrà destinare ad altro fine culturale.

L’INIZIO DELLA FINE
Il 18 gennaio 1966 l’Ufficio Tecnico inoltrava al Sindaco, ed agli altri soggetti competenti tra cui gli Istituti Culturali, una relazione tecnica sullo stato del Palazzo Lettimi. Descritte in narrativa tutte le criticità riscontrate, oggetto di pubblico pericolo, concludeva che era in redazione un preventivo per la demolizione di varie strutture, tra cui la facciata, poiché necessarie ed ineluttabili.
Il Soprintendente è dubbioso circa la risultanza della predetta relazione, e fissa un incontro in sito con tutti i soggetti coinvolti, per il giorno 31 alle ore 10. Nella missiva si legge tra l’altro: “Non si ritiene esatta l’affermazione contenuta nell’ottavo capoverso della lettera n.578 che l’Ufficio Tecnico ha inviato al Sindaco di Rimini: non è pensabile la totale demolizione del fabbricato almeno per quanto riguarda la facciata…”. Ma la parte in elevazione, dal primo piano in poi, era già stata in precedenza atterrata con la solita motivazione della salvaguardia della pubblica incolumità.
Il 3 febbraio 1966 Mario Zuffa scriveva al Sindaco a proposito delle strutture pericolanti del Palazzo, descritte nella citata nota n.578 del 18 gennaio dell’Ufficio Tecnico Edilizia, e dopo il sopralluogo effettuato.
Egli riferiva che era risultato il parere del Soprintendente ai Monumenti, dei tecnici del Genio Civile, e che era possibile limitare al massimo le demolizioni, operando con un rinforzo delle strutture esistenti, e con ciò escludendo ogni demolizione della facciata. Si significava inoltre che demolendo alcune strutture, poi si sarebbe innescato un effetto a catena sulle altre rimanenti tanto in seguito da assoggettarle alla stessa fine.
Ma con deliberazione n. 1280/bis del 6 giugno 1966 la sorte del monumento è segnata, a cui seguirà il “placet” della Soprintendenza ai Monumenti, raccomandando di evitare “eventuali eccessi” ed il recupero dei materiali di valore architettonico, soprattutto quelli provenienti da scavi precedenti ed attinenti al Teatro Romano.

LA QUESTIONE ETICA
In ultimo una questione etica, cosa di non poco conto. Giovanni Lettimi nel suo citato testamento olografo – ricordiamolo – termina con: «Voglio infine che il mio Palazzo resti sempre di proprietà comunale, né mai si spogli dei suoi pregi artistici». Chiaro no?
L’etica vuole che le espresse volontà di un defunto siano oggetto di perfetto rispetto, specie se esse attengono ad un lascito di cospicua sostanza. È il minimo che si possa rendere per onorare la persona, la premura della stessa per il dono offerto e la grazia ricevuta dal beneficiario. Ma questa riconoscenza non alberga a Rimini, incapace non solo di ricostruire il nobile palazzo, ma in spregio a tutto, cercando di appiopparlo a, ormai, chi se lo prende prima per “brillanti” ed improbabili destinazioni estranee a quelle volontà; che tristezza!

UN’ATTUALE E DEGNA DESTINAZIONE
Oggi la Biblioteca Gambalunga manca di spazi soprattutto per la collocazione di molto materiale librario esistente, e quello che si aggiungerà nel tempo data la sua importante storia e ottimo valore culturale. Palazzo Lettimi doverosamente riportato al suo stato, diverrebbe la soluzione ottimale al problema vista, tra l’altro, la sua stretta vicinanza con l’Istituto citato. In questo modo sarebbe fruibile a tutta la cittadinanza indistintamente, senza preclusione alcuna e con uno scopo veramente utile e nobile.

IL PARALLELO TRA DUE EPOCHE
Ma come sempre, siccome la storia insegna, arriviamo ad oggi per trarre le dovute considerazioni.
Fermo restando l’impegno del grande Mario Zuffa vi è da dire che allora, in piena anarchia ricostruttiva e scarsa attenzione per i beni culturali, l’Amministrazione di quel periodo si adoperò comunque, forse anche sotto la forte pressione del protagonista della vicenda, affinché si portasse a compimento l’operazione; purtroppo, come è noto, non ci riuscì ma, in qualunque modo, dimostrò volontà e attenzione alle istanze che le giungevano.
Oggi al contrario in altri tempi e dove tutto è più facile, la politica agisce in senso palesemente opposto. Tollera lo scempio, salvo annunciare che sta lavorando “in collaborazione nel breve per ridare valore e dignità al giardino per la stagione primaverile ed estiva in rapporto e seguendo le indicazioni della Soprintendenza”. Ma di quale dignità si parla in un contesto piuttosto triste per chi guarda quella pietosa scena; e non solo si continua a dar fiato alle chiacchiere, ma non ci si preoccupa minimamente di produrre un progetto serio per la rinascita di Palazzo Lettimi Maschi. In sintesi la celebrazione di una sconfitta, di cui i fautori non se ne rendono neppure conto.
È notizia corrente che il Comune chiede soldi alla Regione per recuperare l’ex stazione della Rimini-San Marino di via Pascoli per realizzare un hub interculturale di quartiere, ma non vuole spendersi per trovare i finanziamenti finalizzati al restauro di un importante monumento cittadino.
Manca la consapevolezza di saper riconoscere l’importanza dell’opera e l’esigenza di renderla fruibile alla cittadinanza intera, per scopi e temi culturali di ampio respiro, ma anche una sensibilità culturale.
Come in altri casi, quindi, una visione miope, confusa e custode di errori passati del governo cittadino che stenta a distinguere tra il valore di un finto, posticcio e mesto simulacro di rinoceronte da un meraviglioso palazzo del ‘500 ricco di storia.

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