"Patrimonio Mobilità Provincia di Rimini" da poco più di un anno ha preso il posto di Agenzia Mobilità ed ha ereditato anche i grossi contenziosi legati alla realizzazione della metropolitana di costa. Contro le sentenze del Tar di Bologna dello scorso marzo, P.M.R. è ricorso al Consiglio di Stato, che però ha confermato quanto deciso dai giudici amministrativi di primo grado.
“Patrimonio Mobilità Provincia di Rimini” (che da poco più di un anno ha preso il posto di Agenzia Mobilità) ha tentato l’ultima carta, sperando nella riforma delle sentenze pronunciate dal Tar di Bologna lo scorso marzo. L’oggetto del contendere è molto importante e apre un problema non piccolo per chi ha realizzato, e intende proseguire, il “MetroMare“, la metropolitana di costa che ha sventrato parti consistenti di Rimini e Riccione per permettere il passaggio del tracciato parallelo alla ferrovia. Un capitolo tutto da decifrare sarà anche quello dei risarcimenti che dovranno essere quantificati e riconosciuti a chi si è visto ingiustamente mutilare la propria abitazione, abbattendone anche il valore di mercato.
Come anticipò Riminiduepuntozero, il Tar dell’Emilia Romagna aveva “picchiato duro” sul modus operandi di Agenzia Mobilità, e con due sentenze aveva stabilito che “le disposte demolizioni costituivano una misura che avrebbe dovuto essere preceduta da un provvedimento ablatorio”, invece inesistente, travalicando “il senso e la finalità dell’occupazione temporanea”. Si leggeva in quelle sentenze che “L’Agenzia per la mobilità della Provincia di Rimini ha disposto l’occupazione di cui trattasi con l’obiettivo di eseguire i «lavori sull’area espropriata, fra cui rientra anche la demolizione dei manufatti attualmente insistenti», con una previsione quantomeno distonica rispetto all’essenza dell’occupazione ex art. 49 citato, la quale, come si è detto, deve tendenzialmente consentire la restituzione dell’area senza significativi stravolgimenti. La resistente Agenzia tende a ricondurre la demolizione di cui trattasi nel novero delle previsioni del vincolo preordinato all’esproprio ma tale strategia difensiva, ove pure fosse accertata la riconducibilità della disposta demolizione a quelle del progetto definitivo, si scontra, all’evidenza, con la scelta dell’istituto dell’occupazione ex art. 49. Quest’ultima contemplerebbe aree non espropriate e rispetto ad esse, a tacer d’altro, né la motivazione del provvedimento, né gli scritti difensivi di parte resistente nulla spiegano a giustificazione di siffatta antinomia rispetto al dato normativo di riferimento che disciplina, come detto, l’occupazione temporanea di aree non soggette ad esproprio”.
Sulla vicenda erano intervenuti anche il consigliere comunale Luigi Camporesi e la consigliera regionale Raffaella Sensoli.
La società Patrimonio Mobilità Provincia di Rimini, di cui è presidente Massimo Paganelli e che ha nel Comune di Rimini il socio di controllo (quasi l’80% del capitale sociale) ha tentato la strada della riforma delle due sentenze del Tar, ma è andata a sbattere contro un muro.
Nella camera di consiglio del 5 luglio il Consiglio di Stato oltre a condannare Patrimonio Mobilità Provincia di Rimini a rifondere le spese (3mila euro alle due famiglie di via Serra che hanno tenuto duro e affrontato anche notevoli costi per resistere e ottenere alla fine giustizia, 5 anni dopo i fatti) ha ribadito con forza “che l’istituto dell’occupazione ex art. 49 d.p.r. n. 380 del 2001 risulta nella specie de facto utilizzato per procedere a demolizioni di manufatti non ricompresi nell’esproprio, ossia per una finalità prima facie estranea a quella cui il provvedimento è normativamente deputato”. L’ordinanza della quarta sezione del Consiglio di Stato spiega anche che “il decreto di esproprio afferisce alla sola superficie di 33 mq e, pertanto, non trova conferma, nella sommaria delibazione propria della fase e salvo il dovuto approfondimento nella sede del merito, la difesa svolta dall’Amministrazione secondo la quale sarebbe stato espropriato “l’intero soprassuolo”, giacché, ove così fosse stato, il decreto avrebbe recato, oltre che un’espressa limitazione dell’effetto ablatorio alla sola proprietà superficiaria, il riferimento all’intera area di sedime dei fabbricati ivi insistenti”.
I contenuti sono identici nelle due ordinanze del Consiglio di Stato, con la sola differenza che in un caso si parla di una superficie di 81 mq e nell’altro di 33 mq.
La storia non finisce qui. Sono in tutto dieci le famiglie che non hanno piegato la testa davanti alle ruspe e che hanno preteso giustizia. Le altre sentenze sono attese a breve. Con la forza di cui dispongono gli enti pubblici, le ruspe proseguirono il loro lavoro, nonostante le proteste e quasi le barricate tentate a Bellariva (ma non solo, ne sanno qualcosa i riccionesi), zona alla quale si riferiscono le sentenze in questione, debordando dalla occupazione temporanea – come sostengono Tar e Consiglio di Stato – alla demolizione. Collegati al Trc ci sono poi diverse altre “macchie”, come quella dei sottopassi ciclo-pedonali.
Sono già al lavoro i periti per quantificare i risarcimenti dovuti, e questo sarà un altro capitolo della lunga e dolorosa (stavolta per le casse pubbliche) querelle.
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