Perché è sbagliato accostare le donne dai seni nudi di Cagnacci alle donne filmiche di Fellini

Perché è sbagliato accostare le donne dai seni nudi di Cagnacci alle donne filmiche di Fellini

Vi sembra che la solarità corporea delle donne di Guido Cagnacci possa sposarsi o anche anticipare le donne mostruose e paurose di Federico Fellini? La reazione del prof. Rimondini a quella discutibile interpretazione che Vittorio Sgarbi ha dato delle opere «spiritualmente sensuali» del pittore di Santarcangelo che «prefigurano il sogno» del regista di Rimini. Mercoledì 8 marzo, giornata internazionale della donna.

Il 16 maggio 2019 alla Sangiovesa, osteria di Santarcangelo di proprietà Manlio Maggioli. Vittorio Sgarbi teneva una lectio magistralis nella quale esprimeva un collegamento tra il pittore Guido Cagnacci (Santarcangelo di Romagna 1501-Vienna 1663) e il regista Federico Fellini (Rimini 1920 – Roma 1993). Si trattava dell’inaugurazione della sala Cagnacci con quattro opere dell’artista acquistate da Manlio Maggioli; Sgarbi plaudiva all’acquisto e all’esposizione dei dipinti che permettevano di:

Guido Cagnacci, Morte di Cleopatra.

“…restituire a Santarcangelo, interpretando il piacere e il desiderio di Tonino Guerra, delle opere spiritualmente sensuali [del Cagnacci] che prefigurano il sogno di Federico Fellini.”

L’espressione “spiritualmente sessuali” delle figure nude del Cagnacci è criticamente e storicamente raffinata e tiene lontano il discorso di Sgarbi dalla novecentesca interpretazione rozzamente sensuale del Cagnacci pittore delle tette quasi fosse un pornografo, che per primo Alberto Arbasino divulgò nel secolo passato.
Mi sembra tuttavia discutibile e storicamente impossibile l’accostamento delle donne “spiritualmente sensuali” del grande pittore con le mostruose tettone e culone felliniane, trasfigurate dalla fantasia filmica del regista, ma anche testimonianza di un’antropologia spaventosa.

Federico Fellini, la Saraghina.

FELLINI E LE DONNE MOSTRUOSE TETTONE, CULONE GIGANTESSE PAUROSE

Le donne di Federico Fellini – le protagoniste dei suoi film: la Saraghina di 8 1/2, la Volpina, la Tabaccaia, la Gradisca, la Suora nana di Amarcord, l’Anitona gigantessa del Dottor Antonio, per citare solo le più appariscenti, fatta la tara del loro bello surreale cinematografico, sono dei mostri deformi di cui il regista ha paura.
Rimane da discutere su questa paura e sulla concezione del rapporto affettivo e sessuale tra i sessi e le persone che travalica l’opera filmica e acquista valore di un’esemplarità sociale piuttosto arcaica relativa ai tempi in cui il regista si è formato come adulto.
Non si può non prendere le distanze da questo scenario umiliante per le donne così poco illuminato da una critica osannante ma limitata.

Cagnacci, Suicidio di Lucrezia.

LE DONNE VITALI E SANE MORALMENTE DI GUIDO CAGNACCI

Per Alberto Arbasino le donne dai seni nudi del Cagnacci sono lette in termini attuali novecenteschi di erotismo:

“Ma davanti al Cagnacci porcelli, che si faccia pure i maleducati: questo è talmente hanté [ossessionato, pressato] da una clientela vogliosa di tette turgide da salumiera [cugina della Tabaccaia di Fellini] e di seggioloni da notaio già finto-Cinquecento che abolisce guarnizioni e contorni e fa il vuoto attorno a questi capezzoli importanti su una pelle piena di salute al burro, e a queste borchie sopra la pelle rossa appena tirata dal tappezziere…macché paesaggio, macché suppellettili. Al contrario al sodo: “Uno sturbo in studio! non era mai successo”, fatto passare – Abbia pazienza Signora – per Morte di Cleopatra, Scenetta di genere.”

E via di questo passo: “ragazze della maison” e altrove dipinti “per il boudoir di un cardinale”. Leggete pure tutto il resto alle pp. 949-950 di Fratelli d’Italia, è divertente ma senza intelligenza umana e senza senso storico critico.

Storicamente è certo sorprendente vedere che la documentazione storica fa emergere nel XVI e XVII secolo un atteggiamento verso il corpo femminile – in particolare i seni – del tutto diverso dal nostro. Studiando i documenti che registrano le reazioni degli uomini del ‘600, degli artisti, dei critici e dei teologi, notiamo una maggiore libertà dai pregiudizi sessuali di quanta ne abbiamo oggi. Un seno nudo femminile poteva essre esibito in diverse condizioni che non scatenavano la libido dei presenti, e non solo nell’allattamento dei bambini.
Tenendo presente l’aggettivazione etica dei critici di quei tempi, abbiamo il termine “lascivo” che indica un’area già peccaminosa, un’anticamera del peccato e del reato. Per indicare il proibito dalla chiesa e dallo stato, ed era suscettibile di condanne e pene, il termine era “turpe”.

Gian Lorenzo Bernini, modello della Carità per la tomba di Urbano VIII. Il bambino succhia un seno coperto da un velo. Coperto dopo l’inaugurazione della tomba con una lastra di piombo verniciato.

Possiamo dimostrare, documenti alla mano, che rappresentare ragazze e donne con ‘entrambi’ i seni nudi non era considerato “osceno” e men che meno “turpe”.
Vi fidate di un canonico bolognese del ‘600, il conte Cesare Malvasia (1616-1693), capace intendente di pittura e scrittore elegante e divertente, autore della Felsina pittrice (1678)?
Scrittore ortodosso cattolico, ma diverso in fatto di tolleranza e di apertura verso il mondo degli artisti, diversamente dal cardinale arcivescovo di Bologna Gabriele Paleotti (1522-1597), protagonista del Concilio di Trento e autore, inascoltato, di un progetto di intervento rigoroso della chiesa nel campo artistico. Entrambe le tendenze, una tollerante e una rigorosa coesistevano nel mondo cattolico, entrambe ascoltate a Bologna dove però a prevalere era la prima.
Ebbene il canonico conte ci assicura che il “lascivo”, non oggetto di gravi peccati o di provvedimenti punitivi, lo si incontra quando una donna è rappresentata con un solo seno nudo:

“Essendo proprio delle impudiche, per non rendersi esose con la troppa libertà che sazia, frammeter con la licenza atti di onestà: come Poppea che con lascivia tanto più insidiosa, quanto mascherata di modestia, lasciandosi vagheggiare qualche volta, il viso mezzo ascoso tenea.”[Felsina pittrice (1678) ed. moderna pp. 273-274.]

Cita il Tasso, il ritratto di Armida:

“mostra il bel petto le sue nevi ignude
onde il fuoco d’Amor si nutre e desta.
Parte appar delle mamme acerbe e crude,
parte altrui ne ricopre invida vesta;”

Federico Fellini, la tabaccaia.

E per ampliare la visuale storica, chiediamoci perché mai nelle tombe pontificie erano rappresentate ‘virtù’ con entrambi i seni scoperti? Vero è che le statue di donne dai seni nudi preparate per la tomba di Paolo III Farnese da Giacomo della Porta, per volontà di un pontefice fondamentalista non furono poste in opera, e altre vennero ricoperte con panneggi di piombo.
Nel bozzetto della Carità per la tomba di papa Urbano VIII (papa dal 1523 al 1644), Gianlorenzo Bernini progetta una statua con un seno scoperto dal quale succhia il latte un paffuto putto; ma nella basilica si vede il seno coperto. Entrambe le tradizioni sono attestate. Il Bernini avrebbe messo in scena, per il papa e in San Pietro, una donna con un seno solo scoperto. Non glielo lasciarono fare ma lui non si era censurato, perché non c’era niente da censurare.

La Maddalena penitente del Cagnacci.

Le figure nude del Cagnacci riguardano scene di tragedia storica classica – il suicidio di Lucrezia romana, la morte di Cleopatra -, o sante penitenti – santa Maria Maddalena. Oppure allegorie, personificazioni di varie virtù e concetti. Cagnacci rappresenta la Fede Cattolica con una donna, nudi entrambi i seni, che regge un ostensorio. Una simile rappresentazione oggi sarebbe sicuramente scandalosa. Non nel ‘600, quando era apprezzata la caratteristica ‘pura’ del corpo femminile florido e nutriente, vitale e materno.

Cagnacci, l’astrologia.

IL “TURPE” NELL’ARTE BIASIMATO E PUNITO

Invece rappresentare il coito e altre azioni sessuali era considerato turpe e punito. L’incisore bolognese Marcantonio Raimondi (1480-1534) e il pittore bolognese Agostino Carracci (1557-1602) avevano osato illustrare i sonetti lussuriosi dell’Aretino, opere che si vendevano come il pane, suscitando l’ira dei rispettivi pontefici che volevano a tutti i costi punirli. Ma vennero perdonati.

Rifacimento moderno di una scena delle scomparse illustrazioni di Marcantonio Raimondi dei sonetti lussuriosi dell’Aretino.

In fondo il mondo cattolico di antico regime non era mica vittoriano come il nostro in fatto di sesso e affetti erotici. Giulio Mancini medico collezionista di tele del Caravaggio ben noto, diffondeva con sicurezza la voce che il padre gesuita Sanchez, teologo del sacramento matrimoniale, permetteva i dipinti lascivi nelle camere degli sposi; non era vero ma lui ci credeva.
Donne con entrambi i seni nudi erano dipinte in molti quadri tematici religiosi ed etici: quelli relativi alla Carità che allatta i bambini ai seni, virtù cristiana, e si accompagnavano ai dipinti della “carità romana” dove si vede la ragazza Pero che nutre con i suoi seni il padre Cimone, condannato a morire di fame, come racconta Valerio Massimo. Vero è che nel dipinto Le opere di Misericordia del Caravaggio a Napoli, Pero offre una sola zinna al padre prigioniero.

Giambologna, il Nettuno.

All’arcivescovo di Bologna Gabriele Paleotti, cardinale tridentino, i seni nudi dele donne forse non piacevano ma quando il nudo si accompagnava al paganesimo diventava furioso. Non permetteva ai suoi fedeli di tenere in casa rappresentazioni di dei pagani, massime se nudi con i genitali in vista.
Bologna sua sede episcopale allora era diventata un città severa come la calvinista Ginevra?
Assolutamente no. Il cardinale dovette vedere senza poter fare nulla, nella piazzetta di Bologna accanto a piazza Naggiore, il Gigante nudo, genitali al vento, con il culo voltato verso la sua cattedrale. Il Nettuno del Giambologna (1529-1608) – Jean de Boulogne scultore del granduca di Toscana – diluisce in un bel po’ di dialettica storica la vulgata sul cardinale tridentino rigido e rigoroso in fatto di immagini sacre e profane.

Adesso paragoniamo le due situazioni storiche. Vi sembra che la solarità corporea delle donne di Cagnacci possa sposarsi o anche anticipare le donne mostruose e paurose di Fellini?
Fellini non ama le donne, e non ama nemmeno Rimini, vi pare che in Amarcord dia di Rimini un’immagine simpatica e positiva?
Non prendiamoci in giro.

RIMINI CITTÀ D’ARTE

Sì, Rimini è una città d’arte, l’ha ferocemente negato in un intervento Piero Meldini, ma poi ci ha ricordato le tre grandi stagioni culturali nazionali e internazionali di Rimini Città d’Arte; quella romana: Arco, Ponte, Anfiteatro; quella medievale: la pittura della grande Scuola Riminese del Trecento in S.Agostino e nel Museo; e quella Rinascimentale con la corte letteraria di Piero della Francesca e, noi aggiungiamo, con Castel Sismondo, opera del genio assoluto Filippo Brunelleschi in tutto il mondo accertata e non a Rimini per sua disgrazia.

“Rimini Città d’Arte” è anche il nome dell’associazione che riuscì a varare la ricostruzione filologica del teatro polettiano con un progetto da antologia dell’architetto Per Luigi Cervellati, purtroppo poi realizzato rozzamente dall’Ufficio Tecnico. Comunque sia l’essenziale del disegno polettiano è stato realizzato. Oggi l’associazione si chiama Renata Tebaldi Rimini Città d’arte e si è spesa con la sezione di Italia Nostra per palazzo Maschi Lettimi, e per impedire la cementificazione del fossato brunelleschiano. Purtroppo senza successo, e adesso si batte anche per l’Anfiteatro.
Per questa vicenda di successo del teatro ci aiutò Vittorio Sgarbi, che era sottosegretario ai Beni Culturali, e noi gli vogliamo bene per quanto ha fatto per la rinascita del nostro teatro. In sostanza il suo intervento consentì la svolta che portò alla ricostruzione effettiva.

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