Scavo archeologico di piazza Malatesta: palazzi, terme e tesori nel quartiere di Santa Colomba

Scavo archeologico di piazza Malatesta: palazzi, terme e tesori nel quartiere di Santa Colomba

La contrada che sorgeva attorno all'ex cattedrale, demolita da Sigismondo Pandolfo Malatesta in occasione della costruzione della rocca, è quanto di più nuovo hanno scoperto gli archeologi nell'ultimo anno di scavi. Splendidi boccali finemente decorati, anfore, monete (e pare fossero già in attività dei falsari), un sigillo del Doge, e poi terme, abitazioni e tanto altro.

E per fortuna che in piazza Malatesta non era emerso nulla di importante. Almeno stando a quanto dichiarò il sindaco Andrea Gnassi in consiglio comunale il 9 ottobre scorso: «Gli scavi hanno riportato alla luce dei lacerti, dei residui di mura…, ci sono sotto tutte le case presenti nel centro storico di Rimini, più o meno dei pozzi dove buttavano le ceramiche…, su quello che vorremmo che ci fosse non si può costruire un progetto». Queste erano state le sue parole. Quanto meno frettolose. Chi ha partecipato ieri sera nel lapidario (che l’assessore alla cultura Piscaglia vorrebbe diventasse anche la casa di reclusione della statua di Cesare) del Museo cittadino alla presentazione – nella cornice del Festival del mondo antico – dei dati, ancora molto preliminari, emersi dal cantiere che si è aperto nel giugno del 2020 (con sedici archeologici al lavoro) e che in parte rimane aperto, si è fatto tutt’altra idea. A relazionare c’erano Annalisa Pozzi della Soprintendenza di Ravenna e Giulia Bartolucci che per AdArte è responsabile delle indagini archeologiche in piazza Malatesta e ha seguito tutto lo scavo incluse le indagini preliminari effettuate in prossimità di Santa Colomba e nell’area del ponte di Castel Sismondo. Soprattutto la seconda relatrice ha intercalato la sua relazione con numerose sottolineature dei rinvenimenti definiti “molto significativi” o “informazioni e materiali molto interessanti” e addirittura grazie a quel cantiere archeologico si potrà delineare la vita quotidiana nel quartiere di Santa Colomba in età bassomedievale. «Notevoli le informazioni nuove rispetto alle indagini puntuali effettuate in passato» secondo la rappresentante della Soprintendenza.
Nella foto d’apertura di questo articolo, una delle fotografie mostrate ieri sera, che ha un aspetto tridimensionale ma che è stata ricavata «estrudendo i volumi provenienti da diverse tipologie di piante», mettendo insieme il catasto gregoriano del 1832, la carta delle potenzialità archeologiche di Rimini, le conoscenze raccolte dal Tonini e (in grigio) le strutture individuate durante lo scavo di piazza Malatesta. Davvero molto suggestivo e tutto questo apre ad approfondimenti che occuperanno ancora a lungo gli esperti.

Non è la prima volta che gli archeologici scavano in piazza Malatesta. E’ già accaduto nel 1988, nel 2002, nel 2014 e in anni più recenti fino ad arrivare al presente. Sono stati «tantissimi i dati recuperati in occasione del restauro e riqualificazione del Galli», ha spiegato ad esempio Annalisa Pozzi. Ma questa volta l’attenzione è stata puntata sul «quartiere fondamentalmente medievale che precede la costruzione del castello» e che Sigismondo fa demolire per edificare la rocca: abitazioni, palazzi malatestiani, attività produttive, principalmente due fornaci, e terme.
Tre i settori di scavo: il primo lotto è stato chiuso lo scorso novembre, ed è quello che ha riservato le maggiori sorprese. Il secondo, ugualmente concluso, ha perlustrato il perimetro di parte del fossato e della controscarpa del castello, il terzo non è ancora terminato e comprende la condotta idrica ottocentesca e le case Succi-Pacini già indicate nel catasto gregoriano. Il primo lotto rappresenta una vera e propria sorpresa perché restituisce «la topografia della contrada di Santa Colomba in età bassomedievale ma anche informazioni sulla presenza di strutture di età almeno tardoantica».

Relativamente alla controscarpa le informazioni raccolte non sono banali: «il suo andamento era ipotizzabile dalle piante storiche ma non vi erano conferme di tipo strutturale date da rinvenimenti. Ancora ad oggi stiamo tracciando l’ingombro del fossato. Lo stato di conservazione della struttura è il frutto di diversi tipi di interferenze. Il passaggio di sottoservizi ha spesso intercettato le strutture del fossato, ma vi sono anche interventi di spoliazione realizzati in epoche precedenti. Per un lungo tratto vediamo che il fossato alle quote di progetto non è stato individuato e la realizzazione di sondaggi hanno mostrato che le spoliazioni avvenute in antico hanno determinato un abbassamento di quota della controscarpa e talvolta le spoliazioni hanno interessato solo il paramento esterno in laterizi del fossato», ha chiarito Giulia Bartolucci. Il muro del battiponte è stato individuato solo parzialmente, ma informazioni erano già presenti negli archivi grazie agli scavi eseguiti sotto la direzione di Jacopo Ortalli nel 1992: «è costituito da ciotoli e laterizi tenuti insieme da una malta di calce e presenta tre gravi fratture verticali e una orizzontale che ne hanno in parte alterato l’andamento. Al muro, che ha orientamento nord-est sud-ovest si lega un’altra struttura ad esso perpendicolare solo parzialmente indagata».

E arriviamo alla ex cattedrale di Santa Colomba e al suo intorno. «Sappiamo che Sigismondo per completare la sua opera fece demolire diversi edifici, tra cui il vescovado, il battistero e probabilmente anche il convento di Santa Caterina. Le fonti ci parlano anche delle residenze nella contrada dei Malatesta di Pesaro, anch’esse demolite per liberare la visuale con finalità principalmente legate a esigenze militari di difesa della rocca», ha detto l’archegologa di AdArte. Ed è partito il racconto di quanto sin qui portato alla luce, in parte ancora da decifrare appieno. Strutture con «fondazioni molto possenti», un edificio su più piani, dotato di almeno quattro butti (immondezzai) che hanno consentito di conservare al meglio (grazie ad un fenomeno di sigillatura degli strati dei depositi) i materiali contenuti al loro interno.
Dai butti sono emerse bellezze uniche, non a caso catalogate come “il bello dei butti”: una quarantina di boccali in maiolica arcaica databili al 1300, rinvenuti per lo più in uno stato frammentario e successivamente ricomposti. E poi boccali con diverse e anche un po’ misteriose tipologie di decorazioni: monogrammi e digrammi, ma anche disegni, decorazioni antropomorfe, reperti in vetro, ceramiche, un sigillo della Repubblica di Venezia che reca sul fronte la dicitura del Doge di Venezia, Dalmazia e Croazia con l’iconografia di San Marco in piedi e dunque databile successivamente al 1261. «Indicativo della importanza del ruolo svolto dagli abitanti di questo complesso all’interno della società riminese del 1300».
Ricca anche la presenza di resti animali all’interno dei butti: ovicaprini, suini, bovini, ma anche ostriche e bivalvi vari, ittofauna sia di acqua salata che di acqua dolce, e un elemento che spicca è la presenza abbondante di gatti. Se ne nutrivano? No, ha risposto l’archeologa, «non erano parte della dieta ma molto probabilmente i gatti seguivano i topi (molto presenti) all’interno del butto e poi non riuscivano a fuoriuscire».

Davanti alla ex cattedrale le tracce di un edifico imponente, di forma quadrangolare, a più piani. E poi una strada, sulla quale «è stato rinvenuto un reperto molto particolare, una moneta in bronzo rivestita da una patina in oro, probabilmente un falso d’epoca, ossia una riproduzione di una moneta di età quattrocentesca». Non è tutto. Ecco i segni caratteristici di una fornace da campana, una fossa da grano di epoca successiva, e anche una fornace per la produzione di calce. Tutto questo databile antecedentemente al quartiere bassomedievale. Quindi numerose sepolture, ben 22 quelle selezionate, ma in cattivo stato di conservazione perché attraversate da vari sottoservizi.
E infine la novità più inattesa: un ambiente termale a pavimentazione sospesa, riscaldato. Anfore orientali e belle monete quattocentesche fiorentine. «La vita di questo ambiente di non grandi dimensioni è inquadrabile tra la seconda metà del V secolo e gli inizi del VI». E’ emerso anche «un ambiente absidato che difficilmente riusciamo per ora a collocare cronologicamente, servirà uno studio approfondito sui materiali». In buona sostanza c’è ancora tanto da studiare in piazza Malatesta e la fretta di inaugurare il circo felliniano non ha di certo aiutato la conoscenza storica e archeologica di Rimini.

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