“Scorre nello stesso fiume il nero dell’evasione fiscale e il denaro di origine mafiosa”

“Scorre nello stesso fiume il nero dell’evasione fiscale e il denaro di origine mafiosa”

Positivo se l'Università ripristinasse la cattedra di "Storia della malavita organizzata".

"Non abbiamo classi dirigenti, politiche ed economiche, che abbiano consapevolezza della natura della presenza mafiosa sul nostro territorio. Un misto di indifferenza che a volte si può chiamare omertà, e di irresponsabile superficialità. Della serie: ci pensino le forze dell'ordine e la magistratura ad affrontare il problema". Parla Ennio Grassi e commenta il mutismo che ha accompagnato l'impietosa fotografia scattata dalla Commissione parlamentare antimafia a Rimini.

Il 5 giugno la Commissione parlamentare antimafia è venuta a Rimini e, al termine di una serie di audizioni, ha tracciato un quadro della situazione locale, dal punto di vista della presenza della criminalità organizzata di stampo mafioso, molto preoccupante. Ennio Grassi la materia la conosce da tempo, tanto da essersene occupato sin dai tempi della sua esperienza di parlamentare. Si è stupito oppure no delle dichiarazioni fatte alla stampa dalla presidente Rosy Bindi e dagli altri componenti della Commissione? “No, nessuno stupore. Gli ultimissimi studi e ricerche sulle mafie al nord d’Italia ci offrono un quadro allarmante di una presenza che si caratterizza non per il controllo del territorio ma per una profonda e diffusa attività nel tessuto economico locale”, risponde a Rimini 2.0 Ennio Grassi. “Ricordo in proposito il saggio di Enzo Ciconte, Le proiezioni mafiose al nord, edito da Rubbettino nel 2013. Presenza che data addirittura agli anni ’60 del secolo scorso quando, per effetto della legge sventurata, poi abolita solo nel luglio del 1995, sul “soggiorno obbligato” si trasferirono anche da noi oltre 200 famiglie di mafiosi tra camorristi (in area cattolichina), Cosa Nostra (nel riminese) e ‘ndranghetisti. Anche questa storia è raccontata da Enzo Ciconte nel volume Mafia, camorra ‘ndrangheta in Emilia-Romagna uscita da Panozzo nel lontano 1998. Ovviamente fu loro concessa la residenza senza però che fosse fatta un’informazione sulla natura e la pericolosità di tali presenze. D’altra parte, la comunità mafiosa, ha sempre accuratamente evitato di manifestarsi nelle forme proprie della malavita tradizionale. Nessun atto di violenza sulle cose e sulle persone. Gli affari si fanno nella tranquillità sociale”.

Nonostante tutti gli studi che lei cita e una conoscenza ormai approfondita del fenomeno, come ha rilevato Rimini 2.0, il silenzio che è seguito alla fotografia scattata dalla Commissione parlamentare antimafia risulta decisamente assordante. Non hanno proferito parola né il sindaco di Rimini, né i presidenti delle associazioni del mondo economico, né il partito – il Pd – che amministra la gran parte dei Comuni di questa provincia, né la politica in generale (con la sola eccezione della consigliera regionale 5 Stelle Raffaella Sensoli, che ha chiesto un’audizione in Regione della Commissione nazionale antimafia). Cosa ne pensa?
“Non abbiamo ahimè classi dirigenti, politiche ed economiche, che abbiano consapevolezza della natura della presenza mafiosa sul nostro territorio. Un misto di indifferenza che a volte si può chiamare omertà, e di irresponsabile superficialità. Della serie, “ci pensino le forze dell’ordine e la magistratura ad affrontare il problema”, fingendo di dimenticare che la mafia sul nostro territorio è quella dei colletti bianchi che vive e intreccia relazioni oggi radicate all’interno della società riminese. Se dovessi dare un consiglio, inviterei le associazioni di categoria, la Confindustria, le associazioni degli albergatori, dei commercianti, le banche, eccetera, a farsi carico pubblicamente di una riflessione/informazione periodica sul fenomeno. Competenze sul problema, nel nostro territorio, ce ne sono. Penso naturalmente allo studioso Enzo Ciconte, a magistrati come l’attuale procuratore presso il tribunale di Rimini Paolo Giovagnoli, Daniele Paci, Piergiorgio Morosini oggi al CSM, ad associazioni come il Gruppo Antimafia Pio La Torre che ha addirittura fatto la mappa, di recente, delle famiglie mafiose sul territorio, e poi Libera, ma anche a ricercatori come Matteo Marini e Davide Grassi autori di due saggi, l’uno sulla malavita organizzata nella vicina Repubblica di San Marino, l’altro sulla mafia ai confini tra Romagna e Marche”.

Se c’è stata, e continua anche oggi, una sottovalutazione del problema a Rimini, quali sono le cause?
“Le cause hanno a che vedere con una cultura della città cresciuta nel fare e nell’acquisire ricchezza ad ogni costo, senza porsi insomma la domanda sull’origine di parte importante di tale ricchezza. Per intenderci, il nero dell’evasione fiscale scorre nello stesso fiume che accoglie il denaro sporco di origine mafiosa”.

A suo parere cosa dovrebbe accadere per affrontare finalmente in maniera concreta quella che altrimenti finisce per essere una questione che ottiene solo qualche titolo di stampa in qualche rara occasione, lasciando però tutto senza un affronto sistematico ed efficace?
“Non ci sono oggi risposte immediate, purtroppo. Già sarebbe un segno positivo se l’Università felsineo-riminese decidesse di ripristinare la cattedra di “Storia della malavita organizzata” che fu del prof. Enzo Ciconte nell’anno accademico 2005/2006. Durò solo un anno. Il corso fu frequentato da centinaia di studenti e, nonostante offrisse solo due crediti, fu il più frequentato della Facoltà di Economia e Management. Costo, 1.500 euro! Fu chiuso senza che il docente ne fosse informato né a voce né per iscritto.

Chi non lo volle?
“Allora, furono indistintamente le istituzioni universitarie e quelle locali”.

Per quale motivo?
“Parlare di mafia a Rimini fa male all’immagine della città turistica. E da noi l’apparenza conta più della sostanza. Che dire di più?”

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