Se la chiesa del Suffragio è ancora in piedi bisogna dire grazie al grande Mario Zuffa

Se la chiesa del Suffragio è ancora in piedi bisogna dire grazie al grande Mario Zuffa

Sospinta dall'urgenza di ampliare l'allora Ospedale civile, ormai insufficiente, prese corpo e trovò convinti sostenitori l'idea di demolire la settecentesca chiesa che affaccia su piazza Ferrari, "una delle maggiori costruzioni religiose della città". Pare anche con la benedizione della Diocesi. Ancora una volta sarà uno dei più determinati difensori dei beni culturali di Rimini a mobilitarsi: "Non deve essere toccata". Trovò la sponda risolutiva nella Soprintendenza, e il piano venne accantonato.

Nella seconda metà degli anni ’50 emerse l’esigenza di ampliare l’Ospedale di Rimini allora, come ben si ricorderà, situato in Via Tonini nell’ex Collegio dei Gesuiti ora Museo di Rimini. Ma come si cercò di affrontare il problema? Alla riminese naturalmente, come sempre per lunga tradizione accade, e ne vedremo i risvolti grazie ai documenti contenuti nella preziosa Biblioteca Gambalunga.
Il 27 ottobre 1955 sul quotidiano Il Resto del Carlino, nella pagina dedicata alla cronaca locale comparve un articolo dal titolo “Per il nuovo nosocomio al Covignano occorrerebbero circa due miliardi”. Ma sebbene il localizzare un sito ospedaliero a Covignano fosse stata un’idea bizzarra, se non insensata, la notizia non è questa e proseguiamo.

L’articolo del Resto del Carlino del 27 ottobre 1955. Fonte Biblioteca Gambalunga.

Come riportava il giornale, in una riunione del Rotary Club cittadino, presenti autorevoli personaggi dell’epoca, si discusse del problema e delle possibili soluzioni da attuare. Allora erano allo studio tre progetti. Il primo di un certo ingegnere Crippa di Genova che, per l’appunto, prevedeva un ospedale da erigersi sul Covignano per la capienza di 600 posti letto. Il secondo che immaginava un ampliamento dell’allora sede su via Tonini, ed il terzo pari al secondo ma rivolto verso Piazza Ferrari “utilizzando l’area della chiesa di S. Martino ad Carceres”, ovvero detta del Suffragio, per 250 posti letto. Molto perorata la terza, specie da un estimatore della stessa – certo dott. Mancini – che rilevava “l’aumento di valore che assumerebbe il complesso ospitaliero con il fronte sulla piazza (Ferrari)”. (sic!)

La chiesa di San Francesco Saverio o di San Martino ad Carceres o del Suffragio, nella parte distrutta dalle bombe della seconda guerra mondiale, ma in seguito ricostruita.

Come è ovvio la cosa non sfugge a Mario Zuffa che prontamente, in data 8 novembre successivo, scrive agli organi romani per la tutela del patrimonio artistico, e al Soprintendente ai Monumenti di Ravenna. Nella missiva fa riferimento al predetto articolo di stampa affermando che l’insana idea sta conquistando notevoli suffragi e che, oltre a modificare profondamente tutto il complesso monumentale, prevedeva la demolizione della chiesa. Si legge inoltre che la Diocesi, in cambio, avrebbe richiesto “la costruzione ex novo di un edificio di culto nella zona marina”; tanto da ritenere verosimilmente che gli accordi tra Curia e Ente Ospedaliero fossero giunti quasi alla conclusione. Poi riportava una breve storia del Convento e chiesa, e che la stessa, nelle parti distrutte dalla guerra, era in via di ripristino totale e della quale ne scongiurava l’eliminazione. Oltre a tutta una serie di altre fondate considerazioni, che completavano l’esposto; una delle quali al punto “I” in cui si affermava che “sarebbe antieconomico e, starei per dire, immorale procedere alla demolizione di un edificio testé risarcito dai danni di guerra”.

A seguire, il Soprintendente Gnudi scrivendo al Ministero della P.I. dopo avere illustrato sia l’importanza del Monumento che la spesa sostenuta per ripristinarlo, dichiarava di essere contrario alla demolizione e “Né potrebbe accogliersi, a mio parere, una proposta di compromesso che or sembra voglia avanzare l’Amministrazione dell’Ospedale, di demolire tutta la parte di recente ricostruita e una parte anche della costruzione originale, e di conservare, incorporandolo nel nuovo edificio dell’Ospedale la sola parte absidale; giacché quel frammento di edificio non avrebbe più alcun significato fuor del rapporto con le linee e le proporzioni dell’intero monumento che va conservato nel suo complesso”.
La lettera si concludeva con l’assicurazione di “confermare il parere già espresso dal Soprintendente ai Monumenti e dal Direttore degli Istituti Culturali del Comune di Rimini – parere perfettamente condiviso dall’Ispettore Onorario Gino Ravaioli…”.

Fortunatamente la caparbia azione dei nostri eroi difensori dei beni culturali, vinse e scoraggiò un’operazione veramente difficile da tenere in piedi, anche se puntellata smodatamente vergognosamente e fuori da ogni logica, come comunque era prassi quotidiana e imperante in quel periodo.
L’ampliamento avvenne ma nella parte verso Piazzetta Ducale, come vediamo attualmente, con un edificio di cui oggi non si capisce bene a cosa sia destinato; e che poteva benissimo ospitare qualcosa di felliniano invece di avvilire un capolavoro del Rinascimento quale Castel Sismondo. Questi, seppure aspetti diversi tra loro, sono comunque legati da un unico filo conduttore: la soluzione tutta riminese per gestire il proprio patrimonio culturale.

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