“Sotto il Ceis l’Anfiteatro c’è”: intervista all’archeologa Maria Grazia Maioli

“Sotto il Ceis l’Anfiteatro c’è”: intervista all’archeologa Maria Grazia Maioli

"E' l'unico in regione che potrebbe essere visibile nella sua interezza". Riportarlo alla luce è solo una questione di "volontà e risorse". In passato sono stati fatti dei carotaggi lungo l'ovale dell'Anfiteatro romano e le "prove" sono emerse. Ma "il Ceis è stato un temporaneo inamovibile". Parla l'archeologa a lungo presso la direzione della Soprintendenza per i Beni archeologici dell'Emilia Romagna. Che pone anche il tema della Domus del chirurgo coi "piedi nell'acqua".

“Negli anni 60 vennero fatti dei carotaggi lungo l’ovale dell’Anfiteatro romano di Rimini. In Soprintendenza, e penso anche in Comune, dovrebbe esserci la relazione conclusiva: emerse che nel sottosuolo le strutture ci sono”. Parola di una archeologa emerita che a Rimini (ma un po’ in tutta la Romagna) ha portato alla luce tesori oggi visibili, oppure esposti nel Museo della Città o, ancora, custoditi nei magazzini e mai mostrati al pubblico. Si tratta di Maria Grazia Maioli, a lungo direttrice presso la Soprintendenza per i Beni archeologici dell’Emilia Romagna. Ha anche diretto il Centro operativo della Soprintendenza per i Beni Archeologici di Ravenna, è un’autorità indiscussa sull’età romana classica e tardo antica.

Il mosaico recuperato nella domus di palazzo Diotallevi: il rientro delle barche nel porto (da “Mosaici di Rimini Romana”, a cura della Banca Popolare Valconca; archivio fotografico Musei comunali)

A Rimini il suo nome è legato alla Domus del Chirurgo, ai mosaici rinvenuti negli ultimi trent’anni (compreso quello famoso che raffigura la scena dell’ingresso delle navi nel porto), al teatro Galli (“alla inaugurazione non mi hanno invitata”, dice durante la conversazione), alla necropoli romana sotto alla Rocca malatestiana, a Covignano e a tanto altro. Ovviamente si è interessata anche dell’Anfiteatro. Fu lei, insieme a Giovanni Vinicio Gentili, a seguire i cantieri di palazzo Arpesella, palazzo Diotallevi, l’area dell’ex convento di San Francesco. Ha tenuto decine di conferenze molto apprezzate per il Festival del mondo antico, anche quando ancora si chiamava “Antico Presente”. Le abbiamo posto alcune domande.

Maria Grazia Maioli

Quindi anche in anni relativamente recenti l’area dell’Anfiteatro è stata studiata, poi perché non è successo nulla?
Si, vennero anche fatti dei sondaggi, perché c’era l’ipotesi che sotto ci fossero tracce di una fase repubblicana, che però non fu mai trovata. Avevamo un progetto che non è mai stato portato avanti perché naturalmente bisognava affrontare il tema del trasferimento dell’asilo italo-svizzero e nessuno a Rimini voleva prendere in considerazione la cosa…, tutti i vecchi riminesi hanno frequentato il Ceis.

Tutti no, ma molti sì, compresi alcuni amministratori comunali. Sta di fatto che il Ceis si insediò in via provvisoria, temporanea…
E’ nato temporaneo, ma si è sempre trattato di un temporaneo inamovibile. Le prime strutture erano in legno.

Poi è arrivato anche il cemento armato, però.
Lo so bene, non avrebbero dovuto avere l’autorizzazione, doveva rimanere una sede temporanea da rimuovere con facilità.

Le strutture in cemento armato possono avere compromesso qualcosa dell’Anfiteatro?
Difficile dire. Di certo le varie costruzioni del Ceis non hanno niente a che fare con la pianta dell’Anfiteatro per cui è possibile che alcune siano state posizionate sopra le mura e altre nell’arena, in quest’ultimo caso problemi non ne avrebbero creati.

Notare le regole ferree per l’utilizzo del campetto di calcio del Ceis. Mentre si occupa da 70 anni un’area con vincolo archeologico e monumentale

Invece nel caso di una coincidenza con le murature i danni non sarebbero da escludere?
Se ad esempio gli scarichi dei servizi igienici fossero finiti nelle murature potrebbero aver rovinato qualcosa.

Le risulta che i vincoli sull’area siano di due tipi: uno archeologico e uno monumentale?
Certo. C’è un vincolo di tipo monumentale sulle strutture esistenti e visibili, che è esteso anche a quello che c’è sotto, e il vincolo archeologico che ricomprende tutto.

Recuperare il Ceis comporterebbe una spesa ingente?
Quello che costa di meno è scavarlo, mentre per la sua valorizzazione le risorse serviranno, bisognerà anche vedere in che stato si trova. Penso che occorrerà anche prevedere qualcosa per mantenerlo asciutto, altrimenti, soprattutto in certi periodi dell’anno, l’acqua potrebbe salire. La deumidificazione, inconveniente col quale è alle prese anche la Domus del chirurgo, andrà pensata bene. Inoltre l’Anfiteatro è incorporato in un terreno più alto rispetto all’ovale, quindi bisognerà valutare se scavare anche al di fuori dell’ovale o solo all’interno. Ma è un progetto di recupero fattibile. Alla fine è tutta una questione di volontà e di risorse economiche.

Ma merita oppure no di essere completamente riportato alla luce?
L’Anfiteatro di Rimini è l’unico in regione che potrebbe essere visibile nella sua interezza. Altri in quelle condizioni non ce ne sono. Nel nord Italia sì, pensi solo a Verona e Aosta, ma in Emilia Romagna abbiamo solo quello di Rimini.

Ha accennato alla questione dell’umidità con la quale è alle prese la Domus di piazza Ferrari: può dirci qualcosa di più?
Mi sono occupata a lungo della Domus, fui io a riaprire il cantiere dopo la fase di stallo legata alla mancanza di fondi. Prima di tutto mi trovai di fronte alla protesta in difesa degli alberi…, ho diretto l’allargamento degli scavi, l’allestimento, un po’ tutto. Conosco bene il problema, a mio parere sempre più serio: la Domus ha “i piedi” nell’acqua.

La Domus è stata scoperta nel 1989 e inaugurata nel dicembre del 2007

Perché sempre più serio?
Sia per l’aspetto tecnico che per quello economico. Finché la Domus dipendeva dalla Soprintendenza di Bologna, i restauratori c’erano e qualche volta all’anno andavano a controllare e intervenivano, e in ogni caso non mancavano un po’ di soldi per la manutenzione dei mosaici. Ora dipende da Ravenna e le risorse… Poi non è facile trovare competenze sui mosaici pavimentali ancora “coi piedi nell’acqua” e i finanziamenti per interventi di questo genere sono quasi scomparsi. Il problema più grosso comunque non sono i mosaici ma le pitture: quando la Domus venne scavata io avevo proposto di staccarle, ma vennero lasciate al loro posto: il problema è che il muro della Domus è in argilla e “pesca” in fondamenta fatte di pezzame e direttamente nell’acqua. Per cui le pitture che io mi ricordo vivaci, adesso sono diventate un po’ bianche perché ricoperte dal salnitro.

Cosa si può fare?
Qualsiasi intervento è assolutamente invasivo e soprattutto costosissimo. Nel caso della “domus dei tappeti di pietra” di via D’Azeglio a Ravenna, ad esempio, il materiale rinvenuto è stato staccato e ricollocato, dopo il restauro, in un ambiente ipogeo, praticamente sospeso in aria. Può immaginare quali costi possa avere una operazione del genere.

Se lei avesse il potere di decidere su cosa scavare e valorizzare a Rimini, cosa sceglierebbe?
Ci sarebbe tanto da fare. Mi limito a rimanere in tema: nell’edificio tardo imperiale di piazza Ferrari cercherei di valorizzare quello che al momento non si vede se non da delle finestrelle.

A cosa si riferisce?
Se si va in piazza Ferrari e si guarda dal lato dell’ingresso della Domus, ci sono delle aperture coperte dal vetro, attraverso le quali si vede una sala mosaicata: doveva essere la sala nella quale il padrone dell’edifico tardo antico riceveva. Ecco, quella casa continua su tutta quell’area della piazza. Attualmente l’altezza di circa un metro mezzo non permette di accedervi, ma varrebbe veramente la pena di vederla tutta.

Saltiamo a Tiberio: a suo parere è stato opportuno bucare le mura per realizzare le passerelle?
Le mura sono state tagliate altre volte, ma le passerelle non servono a niente.

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