Summer Pride: le parole del Vescovo e il dialogo nella verità

Summer Pride: le parole del Vescovo e il dialogo nella verità

Il dialogo non cancella la lotta per la verità, non può essere la ricerca di un compromesso al ribasso tra posizioni differenti. In questo senso, esso non rende superflua la testimonianza appassionata, al contrario, se è autentico la presuppone.

Qualche giorno fa il giornale della Diocesi di Rimini “Il Ponte” pubblicava una intervista a mons. Lambiasi in cui il Vescovo di Rimini ribadiva quanto già contenuto nella Sua lettera vergata in risposta alla richiesta del Comitato promotore della processione di riparazione, organizzata in città in concomitanza col Summer pride. Si tratta di fatti ampiamente noti.
 Nella Sua lettera, così come nell’intervista, il Vescovo sottolineava la necessità della costruzione di un dialogo coi “cattolici LGBT”, tanto che la stessa intervista era titolata: “Costruiamo insieme il ponte del dialogo”. 
In un articolo apparso di lì a poco sul sito “La Nuova Bussola Quotidiana”, ripreso nei contenuti da “Rimini 2.0”, il vaticanista Marco Tosatti rimproverava il Vescovo di “cerchiobottismo” e di far prevalere le ragioni del dialogo su quelle della verità.

La questione potrebbe essere posta in questi semplici termini: di fronte ad una manifestazione come il “Summer pride”, veicolo di istanze e valori non solo in contrasto con quelli cristiani, ma soprattutto irridenti e oltraggianti la stessa Fede, cosa è giusto e opportuno che faccia la comunità cristiana?
 Mons. Lambiasi ha risposto sostanzialmente in tre modi: ha espresso pubblicamente la sua riprovazione per i contenuti blasfemi e offensivi del Pride, sostenendo che simili modalità non servono alla causa della difesa dei diritti legittimi delle persone omosessuali; ha ribadito e precisato l’insegnamento della Chiesa sul tema dell’omosessualità e del gender; ha auspicato un dialogo costruttivo, se non altro con i cattolici che si riconoscono nel movimento Lgbt. Tutto questo dopo avere precisato che riteneva inopportuna la processione di riparazione, in quanto poteva dare adito ad un clima di negativa contrapposizione. Questi più o meno i fatti. 


Ma il “dialogo”, su cui si sono appuntate perlopiù le critiche al Vescovo, è davvero in contrapposizione o in competizione con l’annuncio della verità? Il dialogo, sul quale gli ultimi pontefici hanno insistito parlando del confronto tra la Chiesa e il mondo, tra la Chiesa e le altre religioni, si basa su una visione dell’uomo la cui coscienza non è una tabula rasa, ma “voce di Dio” in lui. Non solo l’uomo è in grado di riconoscere e ascoltare la verità nella sua coscienza, ma essa stessa aspira, anela alla verità. Come insegna il Catechismo, “la coscienza morale (…) attesta l’autorità della verità in riferimento al Bene supremo, di cui la persona umana avverte l’attrattiva ed accoglie i comandi (CCC n. 1777).
La fiducia del cristiano nel dialogo, pertanto, riposa su questa visione “positiva” della persona umana, per cui attraverso il dialogo sincero, proprio per come l’uomo è fatto, è possibile riconoscere la verità. E’ certamente un primo passo. Per il cristiano, il dialogo non ‘costruisce’ la verità come la sintesi tra posizioni differenti. Esso, piuttosto, può portare a riconoscere la verità come una realtà oggettiva e trascendente per quanto presente alla coscienza.
“Nell’intimo della coscienza – dice ancora il Catechismo – l’uomo scopre una legge che non è lui a darsi, ma alla quale invece deve obbedire e la cui voce, che lo chiama sempre ad amare e a fare il bene e a fuggire il male, quando occorre, chiaramente parla alle orecchie del cuore (CCC n. 1776). 
“Il cristiano ha la grande fiducia di fondo, anzi, la grande certezza di fondo di poter prendere tranquillamente il largo nel vasto mare della verità, senza dover temere per la sua identità di cristiano. Certo, non siamo noi a possedere la verità, ma è essa a possedere noi: Cristo, che è la Verità, ci ha presi per mano, e sulla via della nostra ricerca appassionata di conoscenza sappiamo che la sua mano ci tiene saldamente. L’essere interiormente sostenuti dalla mano di Cristo ci rende liberi e al tempo stesso sicuri. Liberi: se siamo sostenuti da Lui, possiamo entrare in qualsiasi dialogo apertamente e senza paura. Sicuri, perché Egli non ci lascia, se non siamo noi stessi a staccarci da Lui. Uniti a Lui, siamo nella luce della verità” (Benedetto XVI, Presentazione degli auguri natalizi della Curia Romana, 21 dicembre 2012).
Benché il dialogo non miri alla conversione ma alla conoscenza e alla comprensione reciproca, “ambedue le parti, avvicinandosi passo passo alla verità, vanno in avanti e sono in cammino verso una più grande condivisione, che si fonda sull’unità della verità” (idem).


Che rapporto c’è tra dialogo e testimonianza? Può questo dialogo preparare il terreno per l’annuncio? Ci viene in aiuto ancora Benedetto XVI: “La parola dell’annuncio diventa efficace là dove nell’uomo esiste la disponibilità docile per la vicinanza di Dio; dove l’uomo è interiormente in ricerca e così in cammino verso il Signore. Allora, l’attenzione di Gesù per lui lo colpisce al cuore e poi l’impatto con l’annuncio suscita la santa curiosità di conoscere Gesù più da vicino. Questo andare con Lui conduce al luogo dove Gesù abita, nella comunità della Chiesa, che è il suo Corpo” (idem).

Del discorso del Vescovo non sfugga il richiamo al reciproco rispetto. Il dialogo può incominciare solo così: chi chiede rispetto per sé sia pronto a rispettare gli altri e lo dimostri nei fatti. Siano fermamente banditi dal Summer pride tutte quelle manifestazioni che offendono il pudore, che irridono e oltraggiano la Fede.
 Il cristiano impegnato nella società e nella politica, nel trattare i problemi concreti della convivenza e della responsabilità comune per la società, deve imparare ad accettare l’altro nel suo essere e pensare in modo diverso, questo è presupposto per un dialogo autentico. Allo stesso modo, il cristiano chiede di non essere bollato e qualificato come “omofobo” se resiste o si contrappone alle richieste della militanza omosessuale. In questo senso, ci ammonisce ancora Benedetto XVI, “è necessario fare della responsabilità comune per la giustizia e per la pace” il criterio di fondo del dialogo. Ben sapendo che al di là di ciò che è semplicemente pragmatico, esso presupporrà sempre una lotta etica per la verità e per l’essere umano. “Anche se le scelte di fondo non sono come tali in discussione, gli sforzi intorno a una questione concreta diventano un processo in cui, mediante l’ascolto dell’altro, ambedue le parti possono trovare purificazione e arricchimento. Così questi sforzi possono avere anche il significato di passi comuni verso l’unica verità, senza che le scelte di fondo vengano cambiate. Se ambedue le parti muovono da un’ermeneutica di giustizia e di pace, la differenza di fondo non scomparirà, crescerà tuttavia anche una vicinanza più profonda tra loro” (idem).


Il dialogo non cancella la lotta per la verità, non può essere la ricerca di un compromesso al ribasso tra posizioni differenti. In questo senso, esso non rende superflua la testimonianza appassionata, al contrario, se è autentico la presuppone. 
Nel dialogo con lo Stato e con la società, la Chiesa non ha soluzioni tecniche da offrire, non è il suo compito, ma “lotterà per le risposte che maggiormente corrispondano alla giusta misura dell’essere umano”, per i valori fondamentali e costitutivi dell’esistenza umana. E a tali valori, una forza politica che si voglia cristianamente ispirata deve fare riferimento per tradursi in azione politica.

Sergio De Vita 

“Il Popolo della Famiglia – Rimini”

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