Parco del mare, ovvero la sindrome del Gronchi Rosa

Parco del mare, ovvero la sindrome del Gronchi Rosa

"Dobbiamo riconoscere l'ardito gesto di tentare di riprogettare il nostro lungomare, rimasto praticamente immutato fin dal primo dopoguerra. Mentre la delusione, come una crisalide, si trasforma lentamente in autentico sconforto, si rafforza in me l'idea che, chiunque si metta attorno ad un tavolo per migliorare e rendere più funzionale la nostra città, sia inevitabilmente colpito dalla sindrome ...". Un lettore ci scrive.

Caro direttore,
abito a Rivazzura ma sono decenni che prediligo la spiaggia di Marina Centro. Spesso vi giungo in bicicletta e le assicuro che il tragitto non è mai stato semplice anzi, a volte pericoloso. Come dimenticare il periodo in cui si era costretti a percorrere in bicicletta il lungomare di Rimini radenti alle automobili parcheggiate a spina di pesce, domandandoci: “Uscirà qualcuno in retromarcia o non uscirà nessuno?” Di contro l’automobilista, che per un buon tratto doveva retrocedere alla cieca si chiedeva: “Il passaggio, sarà libero o non sarà libero?” Solo il tonfo sordo, accompagnato da indicibili imprecazioni, poteva poi confermare l’amletico dubbio.
Poi è arrivata la pista ciclabile. Gioia e delizia degli amanti dei pedali. Una corsia tutta per me (pensavo). Pedalata sicura, ampia vista lato mare, capelli al vento: che gioia! Anche se poi non ho mai ben capito l’anglosassone scelta del senso di marcia a sinistra, e il perché dell’esigenza di ricavare la corsia di ritorno sul marciapiede (spazio notoriamente riservato ai pedoni, i quali, non hanno mai apprezzato l’invasione di campo).
Oggi si parla del “Parco del Mare”. Non più una “pista ciclabile” ma un parco da percorrere a fianco della spiaggia: che meraviglia! All’apertura del primo varco ho subito percorso la rampa in bicicletta con la frenesia nel cuore di un bambino che scartoccia il suo nuovo giocattolo. Di fronte a me salgono due persone appaiate. In pieno sorpasso mi accorgo che, al contempo, un ciclista incoraggiato dalla pendenza a lui favorevole, scende con una certa velocità. La mia ormai decennale esperienza (e non prima di aver sviluppato un certo “sesto senso premonitore”), mi consente di schivarli entrambi piegando la bicicletta, solo per un attimo, prima verso sinistra e poi repentinamente verso destra. Una coincidenza? Sicuramente. Certo è però, che con tanto spazio a disposizione quelle rampe potevano progettarle molto più larghe. Supero il dislivello e arrivo in cima: provo una sensazione di altezza, di spazio, di luce, arredo stile Miani Beach un po’ minimalista (con buona pace dello stile mediterraneo ma De gustibus non est disputandum). Osservo la pavimentazione, in listelli di legno. Ottima scelta, penso: “Qualsiasi altra pavimentazione si sarebbe trasformata in una spinata rovente”. Il dubbio che mi coglie però, è che possa seguire lo stesso destino di quella di San Giuliano mare, ormai quasi impraticabile. Mi porto al centro e cerco subito “essa” ma, la pista ciclabile non c’è! Rimango perplesso. Dopo qualche incerta pedalata giungo a destinazione. Ormai disorientato mi guardo attorno: anche il parcheggio delle biciclette è sparito. Mi domando dove poter trovare ricovero al mio velocipede. Proseguo d’abbrivio e, poco più in là, trovo la risposta: decine e decine di biciclette, accomunate dall’unico destino, sono ammassate più o meno ordinatamente lungo i due lati della passerella che porta al bagnino.
Un senso di disagio mi coglie e mi domando: “A chi può giovare allora tutto questo”? Se l’idea è stata quella di liberare il lungomare dalle chilometriche serpentine di automobili, attorniate da zigzaganti biciclette e fumanti ciclomotori i cui miasmi soffocavano l’anarchico pedone che, per sua natura, ha facoltà di intrufolarsi in ogni dove, l’intento è pienamente riuscito. Però, caro direttore, penso che si sarebbe potuto fare di meglio, anzi, molto meglio! Come ad esempio separare con un buon tratto di manto erboso, la zona pedonale da una “vera” pista ciclabile. Se poi il progettista, fosse stato colto da una “illuminazione sciamanica”, avrebbe anche potuto immaginare un apposito percorso per gli amanti dello jogging i quali, tuttora, sono costretti a saltar come capretti dalla pista ciclabile al marciapiede per evitare, ora un pedone, ora un bicicletta, ecc. Noti bene, caro direttore, che in questa mia riflessione non ho ancora preso in considerazione né le biciclette elettriche né gli ormai onnipresenti monopattini (elettrici), i quali possiedono una velocità ormai prossima a quella di un piccolo scooter ma, entrambi, non presentano l’altrettanta efficacia di frenata e grado di manovrabilità. In pratica il “Parco del Mare” si riduce ad un unico spazio comune dove ognuno si trasforma, inevitabilmente, in un potenziale pericolo per l’altro.
Inoltre le monumentali panchine (con relativo passeggio sul retro, inutile perché mai nessuno calpesterà), si potevano posizionare sul lato opposto della passerella, dirimpetto alla spiaggia. In questo modo si poteva soddisfare la duplice esigenza: da un lato dare all’osservatore, intento a mirar il mare, la certezza di non vedersi inframmezzato il panorama dal continuo passeggio pedonale e, dall’altro, riservare agli innamorati un minimo spazio di intimità, all’ombra del sorgere della Luna sullo specchio marino.
Caro direttore, non vorrei scagliar solo “dardi” sul Parco del Mare, ma cercare di metter mano alle lance per poi spezzarle è impresa quasi senza speranza. Tuttavia dobbiamo riconoscere l’ardito gesto di tentare di riprogettare il nostro lungomare, rimasto praticamente immutato fin dal primo dopoguerra. Mentre la delusione, come una crisalide, si trasforma lentamente in autentico sconforto, si rafforza in me l’idea che, chiunque si metta attorno ad un tavolo per migliorare e rendere più funzionale la nostra città, sia inevitabilmente colpito dalla sindrome del Gronchi Rosa.

Massimo Pacifero

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