E' l'icona del “boom” turistico di Rimini. La storia di questo oggetto di culto, frutto dell'ingegno creativo di Elio Guerra, e l'obiettivo di riportarlo in vita in tutto il suo splendore, hanno destato un interesse vastissimo e risvegliato forti emozioni. Abbiamo interpellato anche il sindaco e assessore alla cultura, che sta valutando per i prossimi mesi solo «un nuovo intervento di manutenzione, previo accordo con la Soprintendenza». Non è sufficiente. Siamo pronti a collaborare con petizioni e iniziative alla raccolta di fondi per il restauro storico della fotocamera più fotografata d'Italia.
Il 22 dicembre scorso esce un mio articolo sulla grande macchina fotografica che dai primi anni ’50, grazie alla sua singolare presenza scenica, promuove il turismo riminese dall’estrema propaggine del parco Federico Fellini che si protende verso il lungomare. L’opera è realizzata dal pennese Elio Guerra che la cede nel ’61 ai coniugi Rastelli, colleghi fotografi che la utilizzeranno come laboratorio e vendita fino al 1985. Dopo anni di inattività e ìmpari contrasti burocratici con Palazzo Garampi, nel 2004 la vedova del fotografo cede gratuitamente alla città la Ferrania Condor II. Nel corso dei diciotto anni di proprietà e un paio di infecondi affidamenti della fotocamera gigante, il Comune la ribattezza Fellinia.
Nel precedente articolo mi sono permesso di suggerire il nome “Guerrinia” ritenendo che, se mai fosse corretto titolarla, sarebbe giusto farlo per ricordare colui che la realizzò, vale a dire Elio Guerra. Dopo avere letto la pubblicazione, una parente di quest’ultimo mi contatta per confermare che anche il razzo accanto alla Ferrania fu opera di Elio, tanto è vero che mi invia una foto del padre arrampicato sulla scaletta del missile, ma soprattutto per ringraziarmi di avere in parte ricostruito il lungo periodo nel quale loro, congiunti in linea collaterale, non avevano avuto più notizie del fotografo e caricaturista volontariamente scomparso dai radar della famiglia. I parenti ricordavano spesso l’estroso personaggio dalla vena artistica e hanno inutilmente tentato di rintracciarlo. Durante la conversazione, la signora ha espresso un certo rammarico per il fatto che l’opera di Elio, così com’è oggi, non rappresenti che un pallido simulacro di ciò che fu in origine. Considerazione, questa, condivisa da molti lettori, ma assai meno, pare di capire, dalle istituzioni locali.
Mi sono quindi offerto di scrivere poche righe al neo-sindaco e neo-assessore alla cultura, Jamil Sadegholvaad, per chiedere se e quando il competente assessorato intendesse mettere mano in modo incisivo alla decorativa macchina fotografica. Qualche tempo e diverse telefonate dopo, ricevo risposta attraverso l’ufficio stampa del Sindaco. Al termine della lettera (testo nel box in fondo), dopo varie spiegazioni di come l’età e gli agenti atmosferici giochino un ruolo importante sui materiali, specie se esposti alla salsedine (neanche io abitassi a Vipiteno), al termine del ragionamento mi viene risposto che «È eccessivo affermare che (la fotocamera; ndr) versi in condizioni pietose, ciò non toglie che l’Amministrazione, anche nell’ottica della complessiva opera di trasformazione urbana e di valorizzazione che sta interessando tutta la fascia mare della città, sta valutando per i prossimi mesi un nuovo intervento di manutenzione, previo accordo con la Soprintendenza».
Nell’ottobre del ’73 la Guerrinia subisce un pesante attacco da parte di vandali, categoria di manovali scarsamente contrastata, men che meno punita, che nel Bel Paese opera ovunque di buona lena e a rischio zero. I coniugi Rastelli, proprietari del manufatto, vivono unicamente del loro lavoro e all’epoca non possono permettersi grandi spese per ripristinare ciò che già era piuttosto malandato sicché lo fanno rappezzare, in relazione alle scarse finanze, come meglio possono.
Ma è nel 2004, quando la Signora Laura cede l’opera a titolo gratuito al Comune di Rimini che è mancato il colpo di reni. In quella occasione si sarebbe dovuto valutare un “restauro storico” della macchina fotografica. Un intervento analogo a quello che si esegue sulle vetture d’epoca, vale a dire cercare di conservare, se possibile, le parti originali rispettandone ogni particolare e sostituire quelle inutilizzabili per riportare l’auto a una condizione pressoché identica a quando fu costruita. Per chiarire il concetto, così come non è immaginabile ammirare una splendida fuoriserie anni ’50 o ’60 mancante del parabrezza, dei fanali, del paraurti o delle ruote, nello stesso modo è impensabile che non venga adoperata la stessa rispettosa accuratezza ricostruttiva pure per la gloriosa Ferrania Condor II targata “anni del boom”. Non siamo difronte a un reperto archeologico le cui parti mancanti a volte vengono sostituite da cosiddetto “materiale neutro” al fine di rimarcare il settore di intervento, ma a un oggetto che si può definire di modernariato, termine usato per designare oggetti prodotti nel periodo compreso, in maniera molto approssimativa ed elastica, tra il 1930 e il 1980. E il tipo di restauro dovrebbe esserne conseguente.
Quando fu messa in commercio, sulla pelle del rivestimento sul dorso delle Condor II si poteva trovare l’incisione “Ferrania Galileo” oppure “Officine Galileo”. Quella a cui Elio si ispirò e della quale copiò fedelmente le forme era del primo tipo. Infatti, se si gira dietro al corpo macchina è possibile apprezzare la stessa dicitura che compariva sull’originale. Particolare di cui, se mancante, nessuno si sarebbe accorto, ma questo testimonia come nulla fosse stato lasciato al caso. Il gruppetto di artigiani/collaboratori capeggiato dall’artista fotografo ha riportato ogni minuzia con estrema fedeltà.
Quanto alla Guerrinia, il torto delle recenti amministrazioni comunali è di essersi allineate a quanto fatto dalle precedenti, senza preoccuparsi di rivedere radicalmente nel suo complesso l’apparato della grande installazione “pop” alla rotonda del Grand Hotel. Chi ha risposto all’e–mail che ho inviato all’assessorato alla Cultura, tiene a precisare che è «eccessivo affermare che versi in condizioni “pietose”», in disaccordo con quanto sintetizzato nel sommario di apertura dell’articolo dal direttore di Rimini 2.0. Dato che è usanza del giornale documentare quanto si afferma, ho pensato di interpellare una persona che con gli apparecchi fotografici ha da molti anni quotidiana dimestichezza.
Ho spedito al preparato consulente che ringrazio per la disponibilità, due foto della Guerrinia. Una del 2021, l’altra del 1961. Quella scattata 60 anni fa mi è stata rigirata con una serie di frecce, numeri e descrizioni relative alle parti che mancano a quella attuale. A scanso di polemiche, affido al senso critico ed estetico dei lettori le conclusioni e l’aggettivo più aderente per riflettere l’attuale stato dell’apparecchio fotografico. Ma infine c’è un ulteriore termine che non mi convince e mi fa avvertire un brivido lungo la schiena, presagio di scarsa volontà di intervento. Dato che le parole hanno un senso, decida sempre chi legge se il termine giusto da adoperare debba essere “manutenzione”, come ventilato nella risposta oppure restauro storico come altri, compreso il sottoscritto, gradirebbero. Auguriamoci che il futuro riservi interventi assai più rilevanti dei gracili intenti annunciati.
A beneficio di chi volesse controllare il resoconto delle parti da tempo mancanti a causa di deterioramenti causati da eventi naturali, invecchiamento e atti vandalici di vario genere, segue l’elenco di cui sopra.
1. Spinotto sincronizzazione lampeggiatori di tipo “F”
2. Telemetro
3. Rotella zigrinata per rotazione manuale conta-pose
4. Asole di attacco cinghietta a tracolla
5. Leva di avanzamento pellicola
6. Pulsante di scatto con filettatura centrale per scatto flessibile
7. Slitta del flash
8. Rotella di riavvolgimento pellicola
9. Mirino
10. Levetta ghiera dei diaframmi
11. Ghiera dei tempi di otturazione
12. Obiettivo ESAOG 1:2 f=5cm – Officine Galileo Ferrania
13. Dulcis in fundo, non sarebbe una cattiva idea rimettere la scritta “Foto Guerra” come in origine.
Per chiarezza, non si imputa all’attuale Amministrazione particolari responsabilità riguardo alle condizioni della Guerrinia. Anzi, come veicolo di comunicazione siamo pronti a collaborare con petizioni e iniziative alla raccolta di fondi per il restauro della fotocamera più fotografata d’Italia, simbolo e reliquia del “boom” del turismo che nella Rimini di quegli anni soleggiati stava per deflagrare.
Fotografia d’apertura: la Ferrania nel suo color alluminio (o vero alluminio) d’antan, ben diverso da come la vediamo oggi.
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