“A Rimini non esiste più il confronto”: il calcio di rigore del prof Zamagni

“A Rimini non esiste più il confronto”: il calcio di rigore del prof Zamagni

Dialogo fra il sindaco Gnassi e il professore di economia Stefano Zamagni, promosso dal centro culturale Paolo VI. Il docente ha usato il guanto di velluto ma non ha fatto sconti. Ed è sembrato tratteggiare il futuro, anche politico, di Rimini.

Scappellotti a mano aperta, quelli che fanno male. Ma assestati col guanto di velluto. Fanno male lo stesso ma sembra che brucino un po’ meno. Stefano Zamagni, il professore che ha lasciato Rimini all’età di 19 anni, come ha ricordato ieri sera, e che è diventato l’economista a tutti noto, da ultimo anche presidente della Pontificia accademia delle scienze sociali, nel dialogo col sindaco Gnassi andato in scena nella “piazza” Francesca da Rimini (Castelsismondo), in molti passaggi non è stato politically correct. Si è fatto condurre dalla verità, come ha detto ad un certo punto. Cortese e diplomatico come sempre, ma appuntito.
Ore 21, circa 250 persone sedute con distanziamento garantito, fra il pubblico praticamente anche tutta la giunta comunale. Quando prendono posto Stefano Zamagni e Andrea Gnassi (moderati – si fa per dire, perché su due domande hanno imbastito interventi fiume, quindi niente dialogo ma monologhi – da Silvia Sanchini) parte la canzone cult di Francesco De Gregori: “Ma Nino non aver paura/Di sbagliare un calcio di rigore/Non è mica da questi particolari/Che si giudica un giocatore”.

I soliti maligni accorsi per poter poi biasimare l’operazione “goal senza portiere” favorita dal professore, hanno dovuto ricredersi. Facile fare gol senza portiere. Che ci fa Zamagni con Gnassi a pochi mesi dal voto a Rimini, quando si comincia a parlare di candidati e candidate? Offre “protezione” ad un progetto cattocomunista per il dopo Gnassi? O al sequel di Gnassi I e Gnassi II, ovvero al Gnassi III, parlamento permettendo? Che c’entri il fumo di Satana evocato da papa Montini? In tanti se lo sono chiesto appena ha iniziato a circolare l’invito partito dal Centro culturale Paolo VI, che ha inaugurato il ciclo “Non aver paura di tirare un calcio di rigore”, incontri “sul coraggio, sull’altruismo e sulla fantasia”. E prima che Zamagni prendesse la parola, i dubbi rimanevano tutti. Soprattutto dopo avere visto e ascoltato la vicesindaca Gloria Lisi introdurre (non ha spiegato a nome di chi) la strana coppia: “Un incontro che nasce da un dialogo fra i due protagonisti di questa serata che si sono incontrati e hanno cominciato a parlare di futuro della nostra città…“. Addirittura? Una sorta di Zamagni organico ad un progetto di città personificato da Gnassi? E perché il Centro culturale Paolo VI ha tenuto a battesimo l’evento? “Perché abbiamo aderito a questa provocazione-invito che viene da due persone che si sono incontrate neanche tanto tempo fa e hanno deciso di parlare insieme della città, di ciò che è stato e di ciò che verrà dopo e l’hanno chiesto a noi”, ha spiegato Paola Affronte del Paolo VI. “Come mai a noi? Perché il Paolo VI fin dall’inizio è stato seduto ai tavoli del Piano strategico di cui Zamagni è un padre. Un’altra ragione è che il Paolo VI tante volte ha parlato di città, anche col sindaco Gnassi appena eletto, nel 2008…”. Il sindaco la corregge e lei: “…no dopo, scusa nel 2011, e facemmo un incontro nella sala del Giudizio, il sindaco ci venne a dire quello che immaginava e sognava per la città, c’è una liaison che ci unisce”. La scelta caduta sul Paolo VI è stata infine spiegata “anche perché la nostra vocazione è il dialogo”. Con questa chiosa: “Qui abbiamo persone (Gnassi e Zamagni, ndr) che concordano su tanti aspetti ma hanno anche visoni differenti, il dialogo è andarsi incontro partendo da punti diversi, è questo un carisma della nostra associazione”.

Parte Zamagni. Sfronda subito sulle possibili dietrologie legate alla sua presenza: “Esprimo gratitudine agli amici che mi hanno invitato, la prima telefonata è stata del sindaco Gnassi e poi quella della presidente del Centro culturale Paolo VI, e ho accolto l’invito con piacere perché l’argomento che è stato scelto è particolarmente centrale”. Poi piazza lì una frasetta di questo tipo: “Rimini è all’avanguardia se non altro per la spinta propulsiva, anche se poi non sempre le realizzazioni corrispondono alle aspettative”. E le spinte propulsive, come disse un altro, finiscono anche.
Zamagni dà subito l’impressione di non accarezzare il pelo dal verso giusto. Quindi argomenta sulla prima e sulla seconda globalizzazione, che segna il passaggio dalla centralità dello Stato a quella delle città, “soggetti principali dello sviluppo e della trasformazione”, ma “in Italia alla classe dirigente nazionale questo concetto non si riesce a farlo capire”. Anche le Regioni sono nate “per fungere da coordinatrici dei progetti di sviluppo delle città, finendo però per cadere nell’errore del centralismo“. Si affretta ad aggiungere: “parlo in generale, poi ci sono alcune Regioni più sagge di altre”. Ma se si parla di centralismo è difficile non fare il link con Bologna.

Passi lunghi verso i temi della città. Zamagni valorizza il Piano strategico “perché ha consentito di puntare sulla città creativa”, ma probabilmente ne conosce bene anche i limiti, ad esempio l’eccessiva centralizzazione che ha assunto dopo la fase creativa e partecipativa delle origini, e perciò lancia quella che definisce “la nuova sfida guardando al futuro prossimo”. Eccola: “passare dalla città creativa alla città virtuosa. Una città in cui sia possibile tornare a praticare le virtù civiche, aumentando la coesione sociale”. Mette forse il dito nella piaga di una governance cittadina nelle mani di pochi? Di certo sventola un nuovo traguardo: dalla Urbs alla Civitas. Una città delle anime che parli “il linguaggio delle virtù”, altrimenti addio “coesione sociale, capacità di proiettarsi sul futuro e reinventarsi continuamente”. Rimini è diventata una città creativa, ma come esempio in questa direzione cita solo la presenza dell’università.
E’ qui che tira il primo calcio di rigore. Il nemico di una società virtuosa è “la classe compiacente” (rifacendosi al libro di Tyler Cowen The complacent class), “formata da persone che vivono la cultura della rendita, misoneisti che bisogna mettere al bando in quanto delinquenti”. Delinquente “non è offensivo, letteralmente è uno che non fa quello che potrebbe fare e quindi impedisce ad altri di avanzare. A Rimini di cultura della rendita ce n’è tanta, lasciate che ve lo dica, ce n’è troppa ed è questo il vero impedimento, che non può essere tollerato perché rappresenta il massimo dell’egoismo”. La classe compiacente è la migliore fotografia che il prof abbia mai scattato sullo stato della rappresentanza a Rimini, figlia di un consociativismo atavico.
Secondo calcio di rigore. Come si combatte la cultura della rendita? “Recuperando la distinzione tra sfera pubblica e sfera politica che noi continuiamo, per la nostra sottocultura di tipo politico, a confondere, pensando che la sfera pubblica e quella politica siano la stessa cosa: no, no, no”. Lo spazio del confronto pubblico non è meno importante di quello in cui spesso spadroneggia la pubblica amministrazione. “Ho lasciato Rimini tanto tempo fa, all’età di 19 anni, quando mi iscrissi all’università a Milano, però di tanto in tanto seguo, ho informazioni…, vi posso dire che ai miei tempi la sfera pubblica, cioè il luogo del confronto, a volte anche aspro ma sempre corretto e leale, era molto più ampia di quella di oggi. Perché oggi a Rimini non c’è più confronto. E il confronto è l’unico modo per sconfiggere la cultura della rendita che impedisce a Rimini di ottenere quello che potrebbe ottenere…”. Zamagni abita a Bologna e spesso viaggia in Italia e all’estero per tenere conferenze e per impegni accademici, ma pare conosca molto ma molto bene i mali di cui soffre Rimini. Le sue parole, poi, pronunciate a 200 metri di distanza dal Castello e da piazza Malatesta “ripulita” dagli alberi e col cantiere degli scavi archeologici secretato, assumono un peso ancora maggiore.

Un Gnassi senza voce ma molto ciarliero (i suoi interventi sono stati più lunghi di quelli di Zamagni) si è affrettato a dirsi d’accordo col professore, a dire che non è vero che “comanda tutto Gnassi”, e che tutto quello che si sta realizzando “l’abbiamo preso dal libro rosso del Piano strategico“. Sicuro? Il Piano strategico approvato nel 2010 dal consiglio comunale all’unanimità (e poi diventato una monoposto condotta da Maurizio Ermeti) prevedeva ad esempio il recupero del fossato del castello.

Il fossato di Castelsismondo? Slide-story della promessa mancata e di mille bugie

Il registro di Gnassi è stato un po’ il solito al quale ci ha abituati. Non sempre facile riportare i suoi discorsi alla realtà. Grande sottolineatura dei temi ambientali, ma sparati a due passi da piazza Malatesta senza più i grandi platani. Le fogne, il Psbo (segnalato nelle buona pratiche dall’Onu), il lungomare, Friburgo, i capitoli più ricorrenti. Col 2010-2011 (Piano strategico e insediamento di Gnassi a palazzo Garampi) la storia di Rimini è cambiata. Evitata la cementificazione del lungomare immaginato da Ravaioli e Melucci (“600 appartamenti, una ipercoop, un grattacielo di 100 metri”, ha detto) a favore del mega depuratore sotterraneo e del parco del mare. Chiusa la lunga parentesi della rendita immobiliare. Tutti pensieri affastellati dal sindaco. “Il problema delle fogne stava a Rimini come l’Ilva sta a Taranto”. Come se fosse un problema ormai alle spalle. E come se il nuovo arredo del lungomare senza parcheggi fosse la scoperta della luna. “Il tema non è stato rottamare chi ci ha preceduto, senza i quali noi non saremmo qua perché siamo figli di una storia, di una famiglia… ma mettere tutto questo dentro a un’idea di città, sennò avremmo avuto ancora il mercato ambulante nel luogo in cui ci troviamo stasera”.

Nel secondo giro di risposte Zamagni ha sparato altri due palloni nell’angolo alto a sinistra del portiere. Difficili da parare. Ha detto che “la parola sostenibilità oggi è una di quelle più inflazionate, venne coniata alla fine del 700 dal responsabile delle foreste della Prussia, che mise a punto un modello per determinare il numero di alberi che potevano essere abbattuti ogni anno senza compromettere la possibilità di assicurare il legname necessario per il futuro”. Anche Rimini dovrebbe imparare qualcosa dalla Prussia. Inutile portar vasi a Samo se poi la prassi amministrativa dimostra zero attenzione per l’ambiente e per gli alberi in particolare. Alla “dimensione ecologica, economica, sociale, importantissime ma non sufficienti”, ha detto Zamagni, “occorre aggiungere una quarta dimensione che è quella antropologica, come ha richiamato la Laudato sì’ sulla quale anche in ambito cattolico nessuno ha le idee chiare”. La sostenibilità “non può fare a meno dell’uomo”.

Ed ecco l’altro pallone che ha fischiato come un treno infilandosi nella rete. “Rimini deve darsi da fare per muoversi in direzione di una democrazia deliberativa perché lo spazio pubblico non funziona più mentre nel dopoguerra funzionava”. Decide tutto la politica. Ed è giusto che “le decisioni spettino alla sfera politica (giunta, consiglio comunale, sul piano locale) ma il punto è come arriviamo a quel momento decisionale. Bisogna che Rimini faccia partire i forum deliberativi, come ha fatto dieci anni fa col Piano strategico e di cui sono la naturale conseguenza”. Spiegazione: “prima che l’organo politico deputato assuma la decisione finale, sulle grosse questioni che intrigano la vita di una comunità si devono esprimere i forum deliberativi, formati da persone che liberamente partecipano e discutono sulla base di un certo regolamento. Alla fine la decisione del forum deliberativo viene inviata all’organo politico, ad esempio al consiglio comunale o alla giunta, che sono sovrani e possono anche dire “noi non seguiamo quello che il forum deliberativo ha deliberato”. Però hanno comunque l’obbligo di dare una motivazione argomentata delle ragioni per le quali non seguono l’orientamento del forum deliberativo. Capite che questo cambia radicalmente la situazione? Anzitutto perché i cittadini vengono coinvolti, al di là delle appartenenze, e imparano a rispettarsi e a confrontarsi l’un l’altro senza offese. Non basta dire: ‘non voglio quella tal cosa perché non mi piace’, occorre portare ragioni a sostegno delle proprie posizioni”. Ecco: non basta dire: facciamo la passerella. Occorre motivare la decisione. Non basta dire: il Ceis non si tocca. Non basta dire: riempiamo il centro storico di musei felliniani. Non basta dire: sul fossato del castello ho cambiato idea. Non basta dire: gli scavi di piazza Malatesta li tengo nascosti. Tutti esempi che naturalmente il prof non ha fatto. Ma ieri sera ha disputato lo stesso una grande partita.

Il video col primo intervento del prof Zamagni

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