Al patrimonio culturale di Rimini hanno fatto più danni i sindaci delle bombe

Al patrimonio culturale di Rimini hanno fatto più danni i sindaci delle bombe

Seconda lettera di Giovanni Rimondini al sindaco Jamil. Per ripercorrere un po' di storia della città, dei suoi "despoti" comunali e diocesani. E per contestualizzare il mito di Fellini: come si è passati dai comunisti riminesi che detestavano il surrealismo del regista al manicheismo felliniano. E per meglio decifrarlo ci vengono in aiuto Gore Vidal e Massimo Recalcati.

Jamil, Rimini ha una cultura bimillenaria, della quale fa parte senza dubbio il regista cinematografico Federico Fellini poco amato dalle generazioni passate dei Riminesi e dalle amministrazioni comuniste del dopoguerra, anche a ragione credo, perché Rimini e le sue donne e i suoi uomini Fellini li ha trattati piuttosto male. Ora invece il cessato sindaco ha costruito un presepio interattivo felliniano nel castello “OPUS di una grande mente e di un famosissimo ingegno”, come scrive Roberto Valturio per dire opera di Filippo Brunelleschi, che aveva appena terminato il miracolo tecnico artistico della grande cupola di Santa Maria del Fiore. Solo un rozzone culturale non conosce questo nome e solo un rozzone culturale ‘suggestionato’ ha osato far cementare la parte ossidionale nuova e anticipatrice di Castel Sismondo, di cui noi vediamo al momento solo la “Facciata”. Ci sono almeno 15 metri di scarpa nel fossato che una volta aperto somiglia a un canyon proprio come il fronte bastionato del ‘500 e del ‘600, simile alle piramidi, e come gli argini di un fiume. E’ questa la novità creativa di Filippo Brunelleschi, brutalmente cementata dal detto rozzone culturale. Ma su questo ti scriverò con più dettagli nelle prossime mail pubbliche sulla cultura che ti indirizzerò.

DESPOTI COMUNALI E DIOCESANI

In questa vorrei ribadirti un concetto e cioè che noi uomini e associazioni di cultura di Rimini e d’Italia siamo terrorizzati dalla storia amministrativa del Comune di Rimini che dal dopoguerra ha governato questa città con una serie di despoti non illuminati che hanno distrutto diversi beni del nostro Patrimonio culturale, sopravvissuti alle distruzioni belliche. A partire dal primo sindaco comunista di Rimini Cesare Bianchini che distrusse il Kursaal e avrebbe voluto distruggere anche il Tempio Malatestiano insieme al vescovo pro tempore per avere i soldi della Kress Foundation portati a Rimini da Bernard Berenson per il restauro dell’opera di Leon Battista Alberti. Gelosi della sua popolarità, era un giovane ventenne che si faceva chiamare Ingegnere, i federali di Forlì lo spaventarono a morte, obbligandolo a dimettersi. Bianchini fuggì in Argentina dove è morto.

Per essere giusti, non ci sono solo despoti amministrativi, purtroppo c’è anche qualche despota della curia, soprattutto dopo il Concordato Craxi, quando è stata abolita l’autonomia economica e giuridica dei parroci e che ha inventato i vescovi monarchi, mai esistiti nemmeno nel medioevo, divenuti individualmente responsabili di tutta la ricchezza culturale ed economica della diocesi, col risultato, che basta un vescovo senza testa o sfortunato che si incaponisca nelle operazioni di borsa o in spese assurde e la diocesi si indebita per milioni di euro. Anche quella di Rimini è fortemente indebitata. Dopo duemila anni, per la prima volta ci sono diocesi cattoliche che corrono il rischio di default o di fare fallimento. Aggiungi poi che i seminari sono vuoti, tra breve, morti i vecchi, non ci saranno più preti. Perché?
Forse anche perché l’eliminazione dell’autonomia economica dei parroci ha eliminato la possibilità per il basso clero di ‘emanciparsi’ economicamente e umanamente. Ma senza soldi non esiste più un clero secolare.
I parroci sono sottopagati – sui 1500 euro al mese e pensare che da giovane io conoscevo i parroci del centro di Bologna multimilionari, che amministravano parrocchie ricche con capitali accumulati nei secoli. Una parte cospicua del patrimonio delle diocesi era amministrata da soggetti collettivi.
Ma a noi interessa la sorte dei beni culturali amministrati dalle diocesi. Tomaso Montanari ha pubblicato – da Einaudi Torino 2021- un libro che si intitola Chiese chiuse:

“Migliaia di chiese sono oggi inaccessibili, saccheggiate, pericolanti. Altre sono trasformate in attrazioni turistiche a pagamento. Oggi non sappiamo cosa farcene, di tutto questo “ben di Dio”, e bene pubblico: mancano visione, prospettiva, ispirazione. Ma è anche lì che si potrebbe costruire un futuro diverso. Umano.”

FELLINI E RIMINI

I primi film di Federico Fellini (1920-1993), caro Jamil, hanno un fascino etico, politico e sociale che ci riguarda tuttora. Interessa non solo la cultura ma l’antropologia di Rimini. Prendi I Vitelloni, un film del 1953, sulla vita edonistica e ludica degli adolescenti riminesi coetanei del regista, quindi degli anni ’30-’40. Sono i nonni e anche i bisnonni dei nostri giovani edonisti e ludici, che sacrificano la loro vita, il loro futuro a Dioniso che è anche Ade, il dio del piacere e della morte. Quanti giovani relativamente privilegiati, perché hanno famiglie relativamente ricche, immaginano il presente e il futuro come uno sballo continuo, una Notte Rosa perenne!
Poi Fellini con La dolce vita (1960) e 8 1/2 (1963) cominciò a prendere le distanze dal realismo etico politico, già del fascismo, e poi del comunismo postbellico, e cominciò la sua fase surrealista di libera fantasia senza preoccupazioni di strategie culturali politiche.
Amarcord (1973) ci fa ridere e fa ridere il mondo dei cinefili sui ragazzi sbiaditi e piuttosto stupidi, sulle famiglie matriarcali, sui professori deliranti, sulle donne culone e tettone, sui fascisti, sui pataca assortiti, alcuni patetici, di un paesino squallidino e stercorario, che si vuole identificare con una Rimini assai lontana per fortuna dalla Rimini reale. Per ragioni politiche estetiche, fedeli al realismo populista già fascista – e due -, i comunisti riminesi detestavano il nuovo surrealismo felliniano, e anche per antipatia reciproca del regista che aveva avuto due oscar dagli Americani, gli amministratori riminesi comunisti ignorarono il successo nazionale ed internazionale di Federico Fellini, fino al 1983 quando uscì sui giornali la notizia che un comitato riminese donava a Federico Fellini e a Giulietta Masina una casetta sul porto di Rimini per fare la pace ed averli d’estate con noi. Era una trappola. Federico e Giulietta avevano abboccato. La casina non c’era.

Ma l’amministrazione comunale di Rimini nel 1993 si assicurò la salma del regista per un funerale trionfale di regime e di popolo e per collocarla in una tomba monumentale “a prora” con fontanella nel cimitero riminese. Chi può spiegarci la mania delle fontanelle ad acqua riciclata degli architetti che operano a Rimini? Quella della tomba di Fellini è stata chiusa, si è detto, perché infradiciava le salme. Ma di recente ne hanno aperte alcune sul piazzale davanti alla stazione poco dopo le porte, in una conca di cemento priva di barriere, evidentemente per eliminare i cittadini che non vedono, i bambini allo sbando, i vecchi con problemi di equilibrio, la folla che esce in massa quando si è fermato un treno frequentato…
Ma dove hanno avuto la testa il committente pubblico e il tecnico di quella trappola?
Lo stesso committente pubblico, “è uno solo” che ha deciso, ma può essere ‘suggestionato’, è stato suggestionato come diremo. Jamil, c’è gente che potrebbe suggestionare anche te, anche se, lo sappiamo, tu non sei un narcisista suggestionabile.

COME VEDONO FELLINI GLI AMERICANI

Jamil, ti avrà detto il cessato sindaco che arriveranno migliaia di turisti americani a vedere il Fellini Museum. I numeri se li è inventati, infantilmente per dire tanti, tanti. Ma è vero che gli Americani, politici e istituzioni come la Cia che contavano, avevano adottato negli anni ’50 il regista in odore di anticomunismo al tempo del maccartismo e del regista Luchino Visconti di antica famiglia e di cultura aristocratica con la tessera del pci.
Gli Yankee gli hanno dato cinque Oscar a Fellini: nel ’57 per La Strada; nel ’58 per Le Notti di Cabiria; nel ’64 per 8 1/2; nel ’76 per Amarcord; e nel ’93 alla carriera.
Tuttavia il soggetto “gli Americani” è tutt’altro che unico. Mi sembra di comune interesse che a Rimini per evadere dal manicheismo felliniano si conosca il giudizio di uno scrittore americano speciale, Gore Vidal (1925-2012), che amò l’Italia da abitarci molti anni con una casa a Roma e una villa 400 metri dal mare sopra uno strapiombo della costa amalfitana. Vidal conosceva Fellini che lo chiamava Gorino, e lui lo chiamava Fred, ma non lo stimava molto come persona – sfruttava gli amici – e poco come artista.
Nel suo ultimo libro autobiografico intitolato Navigando a vista (Fazi editore, Roma 2006) a p.12 lo scrittore parla dei discorsi degli intellettuali occidentali di alto livello – una consorteria internazionale, che non rappresenta le masse americane:

“a Harward, a Oxford o all’Università di Bologna, dove il diverso cambio di opinioni su argomenti di interesse professionale, per esempio la sociologia, il ghiaccio non è rotto finché qualcuno non menziona il cinema – ed è un fenomeno universale. Di colpo tutti si sentono coinvolti. Con vera passione parliamo del declino dell’ultimo Fellini di cui dirò in seguito…”

Non è facile datare quest'”ultimo Fellini” che sarebbe in declino; il discorso su Fellini è ripreso alle pp. 146-151.
Fred e Gorino erano ‘amici’ – termine che andrebbe precisato per entrambi -. Vidal lo fece entrare di nascosto a vedere il set segreto di Ben Hur a Cinecittà. Dei suoi primi film ricorda “il suo film più riuscito Otto e mezzo” con la scenografia di Ennio Flaiano:

“Quando i due litigarono, Fred semplicemente smise di raccontare storie per lo schermo. Gli stavano antipatici anche gli attori professionisti e così, quando doveva popolare un set chiedeva di “recitare” nei suoi film una schiera inesauribile di capo-camerieri e cuochi dei suoi ristoranti preferiti…e molto spesso i risultati erano sorprendenti.” Ma Vidal è uno Yankee, la produzione di un film prima di essere un fatto creativo è un’attività economica che deve produrre quattrini:

“anche se lui si lagnava che i suoi film andavano male al botteghino.”

Gorino, su preghiera di Fred, si prestò a scrivere in fretta un copione in inglese di Casanova per la Paramount, che aveva anche imposto al regista come protagonista Donald Sutherland. Fellini non lo voleva, ma poi si adattò, avrebbe preferito Mastroianni.
E proprio in relazione al soggetto Casanova, il noto seduttore seriale, che emerge un discorso interessante sul sesso di Fellini e sul sesso visto nei film di Fellini, ben diverso dai rozzi stereotipi in circolazione a Rimini:

“…il suo Casanova non sarebbe stato il geniale personaggio noto agli storici, l’amico di Voltaire: “Macché, il vero Casanova è un imbecille. Pensa sempre e solo al sesso.” La vita sessuale di Fellini era un enigma di cui a Roma si discuteva molto. Era felicemente sposato con l’attrice Giulietta Masina. La sua passione – almeno sul piano visivo – per le donne dal seno enorme era nota a chiunque avesse mai visto un suo film. Ma lui, che cosa faceva? Io sospettavo che non facesse un bel niente.”

A proposito poi su un bisticcio tra Gorino e Fred, perché il primo si lamentava che il regista per il Satyricon gli avesse rubato un personaggio di un suo libro, “l’ermafrodito”, Fred negò risolutamente di avere avuto bisogno di rubarmi il personaggio – Perché dovrei: visto che l’ermafrodito sono io? Lo sanno tutti Gorino.”

A LETTO CON PASOLINI, IN SOGNO

Non credo che “ermafrodito” vada inteso come il termine significava nella Romagna anticlericale per indicare i frati gay, e nemmeno come identico a gay, per quanto ci sia un sogno di Fellini raccontato da lui stesso che sembra andare in questa direzione:

“Nella mia cameretta a Rimini dove io ragazzetto studiavo (trenta anni fa) sono a letto con Pasolini. Abbiamo dormito assieme tutta la notte come due fratellini o forse come marito e moglie perché ora che lui si sta alzando in maglietta e mutandine per andare verso il bagno, mi accorgo che lo sto guardando con un sentimento di tenerissimo affetto – dal Libro dei sogni, Rizzoli – Milano 2007, pp. 35, 474.”

Un sogno non significa niente, soprattutto nella corrente tassonomia sessuale popolare a due sole categorie etero / gay, che sono poi caratterizzate dalla forma pura di un solo desiderio sessuale – o per il proprio o per l’altro sesso – la minoranza dei casi, essendo la maggioranza degli esseri umani bisessuale, cioè alle prese con due desideri uno per il proprio sesso e uno per l’altro. Dovremmo ormai avere imparata la lezione di Alfred Kinsey (1894-1956) – si veda “la scala” di Kinsey in internet – che apre la grande ma tuttora poco conosciuta problematica dei due desideri contemporaneamente presenti in una persona, che possono essere in diversi modi di combinazioni e compromessi fonte di grande sofferenza oppure di soddisfatta vita sessuale. Poi ci sarebbe anche da considerare una scarsa attrazione per la sessualità. Ma la sessualità di Fellini, al di là degli stereotipi da cargador che circolano nel Museum, è interessante solo se prendiamo in considerazione le sue sexual personae filmiche per usare i termini letterari di Camille Paglia, cioè come sono identificati sessualmente i suoi personaggi filmici. Certamente vive creature dell’arte sia pure alla Bosch, le sue donne tettone e culone testimoniano archetipi – per usare le categorie junghiane che Fellini conosceva bene – di femminilità arcaica che terrorizza il maschio e magari lo spinge a trovare altrove il suo soddisfacimento sessuale e affettivo.

LA SEXUAL PERSONA DEL CASANOVA DI FELLINI GIUDICATA DA MASSIMO RECALCATI

Massimo Recalcati, il noto psicoanalista lacaniano, ha pubblicato recentemente un libro intitolato Esiste il rapporto sessuale? Il titolo ricalca una nota affermazione paradossale di Jacques Lacan (1901-1981) – Raffaello Cortina, Milano 2021, pp. 44-46.
Mi sento un poco in imbarazzo, caro Jamil, nell’offrire al pubblico dei miei lettori quest’opera che distingue tra “istinto naturale”, per il quale noi umani nell’amore saremmo simili ai piccioni, e “desiderio” conscio-inconscio dominato dal “fantasma” inconscio che renderebbero l’amore e la sessualità umana molto complessa e lontana dall’istinto, salvo in un punto, che però, stranamente, Recalcati non prende in considerazione, e cioè quel particolare rapporto sessuale certamente toccato dal desiderio che produce i piccoli perversi polimorfi.

Massimo Recalcati esamina il Casanova di Federico Fellini, trattando Fellini da intellettuale che offriva una “lettura”, un “rivisitatore” di figure sessuali, identità che Gore Vidal, autore della sceneggiatura in inglese del Casanova per la Paramount, come abbiamo appena visto, ci induce a non prendere sul serio. Fellini autore di “film senza storia” e quindi senza velleità di “lettura” o di analisi. Fellini, che non è certo Umberto Eco, si è affidato alla sua fantasia creatrice che in alcuni punti si è rivelata efficace – nel senso di capace di invenzioni filmiche -.
Ma insomma, ecco la sua interpretazione analitica:

“Nel suo formidabile Casanova Federico Fellini ha offerto una lettura assai particolare della vita di questo impenitente seduttore. In primo piano non c’è né la passione erotica, né la virtù ammaliatrice, ma qualcosa di intermedio tra lo spirito di competizione e la meccanica infallibile della prestazione sessuale. Il rapporto sessuale viene perseguito dal focoso amatore veneziano come una prestazione fallica pura. Nessun sentimento, nessuna poesia, nessuna estasi erotica. Piuttosto egli sale ogni volta su un palco da dove esibisce il carattere sempre vittorioso delle sue capacità amatorie.”

Ai vecchi lettori sarà venuto in mente quello che è venuto in mente a me, certi amatori rivieraschi estivi che si attribuivano dei primati di conquista di turiste europee, con elenchi, e che celebravano il proprio valore di promozione turistica gratuita. Ma, essendo un analista Recalcati apre la matriosca dell’amatore pluridecorato di successi – bè, magari non tutti reali – e cosa vi trova dentro?

“Tuttavia la lettura felliniana non si esaurisce qui, ma prosegue mostrando come alle spalle di questo fallicismo esasperato e del suo carattere infallibile vi sia, in realtà – fai caso all’espressione – un atto scaramantico, un esorcismo, un esorcismo inconscio nei confronti della morte. Accade spesso nei seduttori incalliti… la mascherata della seduzione e della festa sessuale non può mai sconfiggere davvero la presenza sempre imminente della morte.”

E qui Recalcati introduce la seconda prova filmica dell’apertura della matriosca – la prima è l’incendio dell’apertura nel Carnevale di Venezia:

“E’ quello che ritroviamo anche al termine del film, dove una bambola meccanica diviene l’ultima partner di un Casanova ormai anziano, privo di forze e in piena decadenza.”

E in effetti è una bellissima invenzione.

SPOSTARE IL FELLINI MUSEUM IN UNA COLONIA

Vedi Jamil che uno storico tuttofare – però storico dell’architettura e Accademico portoghese – come chi ti scrive e scriverà non odia Fellini, se pure non si sogna di paragonarlo al Brunelleschi. Il Fellini Museum tutto risolto con apparecchi elettronici può essere benissimo trasferito senza alcun problema in una colonia di quelle rimaste vuote e senza uso. Che ne diresti della Novarese?
Ci sarebbe lo spazio anche per l’istituzione di un istituto per lo studio dei film di Federico Fellini, soprattutto per quello delle sexual personae che potrebbe migliorare il pubblico dibattito sul sesso a Rimini e in Romagna-Marche.
Che te ne pare?
Pensa che potresti diventare il sindaco che ha inaugurato a Rimini il Museo del Rinascimento dentro Castel Sismondo. Il Rinascimento non è solo una particolare identità della nostra città, ma un omen un augurio di rinascita della cultura, dell’economia e della società dell’intera nazione e dell’Europa.

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