Per recuperare Castel Sismondo e piazza Malatesta il sindaco Gnassi ha sloggiato il mercato ambulante. Perché non fa lo stesso con il Ceis? Lo si capisce leggendo l'incredibile storia che si trascina dal dopoguerra. Con le amministrazioni comunali che si sono succedute che hanno sempre coccolato e difeso il Centro educativo Italo-Svizzero. Arrivando a formalizzare l'impegno di trasferire il Ceis, perché costrette, ma senza mai onorarlo. Consentendo al Ceis di rimanere sull'area archeologica nonostante il vincolo del ministero e numerose sollecitazioni dei Soprintendenti alla completa valorizzazione dell'Anfiteatro.
E’ arrivato il momento di scriverla tutta l’incredibile vicenda della occupazione dell’area archeologica dell’Anfiteatro romano da parte del Centro educativo Italo Svizzero, insediatosi nel 1946 in modo “provvisorio”. Dopo avere visionato la documentazione presente alla Soprintendenza per i beni archeologici dell’Emilia-Romagna il quadro è completo. Si scopre una storia fatta di promesse mai mantenute che si spiega solo coi santi in paradiso che la creatura di Margherita Zoebeli ha avuto a tutti i livelli, da Rimini a Roma, ma in particolare nelle amministrazioni comunali che si sono succedute a Palazzo Garampi dall’immediato dopoguerra ad oggi. Un inciso va subito fatto per sgomberare il campo da equivoci: il Ceis è stato ed è una realtà educativa importante, che ha segnato non solo la storia di Rimini e che continua a svolgere una funzione insostituibile. Ma potrebbe adempiere alla propria missione anche in un altro sito, anzi forse più agevolmente perché avrebbe una possibilità di sviluppo e forse anche di ampliamento che dove si trova oggi non ha. Detto questo, andiamo con ordine per raccontare le tappe salienti di due storie che si sono intrecciate. E che è venuto il momento di districare, consentendo ad ognuno dei due protagonisti (Anfiteatro e Ceis) di prendere strade separate.
“Con la presente questo Comune si impegna, espressamente, a trasferire, allorché sarà necessario, la sede del Centro Educativo Italo-Svizzero in un’altra ubicazione diversa dall’attuale”. E’ il 29 dicembre 1969 quando il sindaco di Rimini, Walter Ceccaroni, scrive alla Soprintendenza regionale assumendo un impegno formale che non verrà però mai onorato. Anche se la necessità del trasferimento verrà varie volte evidenziata da ministero e Soprintendenza.
L’amministrazione comunale si vede costretta a mettere nero su bianco questo impegno perché glielo chiedono il ministero e la Soprintendenza stessa. L’occasione si presenta quando il Ceis vuole sostituire le baracche in legno adibite a scuola materna perché “logorate nelle strutture portanti”. E’ solo la prima di una lunga serie di interventi che nei decenni si renderanno necessari. E ogni volta la Soprintendenza autorizza “con carattere di assoluta provvisorietà” e ricorda a Comune e Ceis l’impegno a sloggiare.
Accade quindi nel 1969 che il ministro della Pubblica istruzione dell’epoca, Mario Ferrari Aggradi, autorizzi la sostituzione dei tre padiglioni prefabbricati nell’area dell’Anfiteatro ma a condizione che “il Comune di Rimini si impegni sin d’ora a trovare al più presto altro terreno da destinare al trasferimento definitivo del Centro e di tutte le sue strutture edilizie”. Il Comune giura per voce del sindaco: “Si informa codesto ministero che è allo studio dell’Amministrazione comunale la soluzione per il definitivo trasferimento del Centro educativo Italo-Svizzero” (6 ottobre 1969). Però passano governi, ministri e sindaci ma il definitivo trasferimento non si realizza.
Nell’immediato dopoguerra era stato il sindaco socialista Clari ad adoperarsi per piazzare in quel luogo “un asilo infantile baraccato recentissimo dono del Soccorso svizzero alla Città di Rimini in sostituzione dell’asilo preesistente distrutto dai bombardamenti.” In una lettera del 3 gennaio 1946 al Soprintendente alle Antichità di Bologna, Arturo Clari parla già di “baracche smontabili il cui collocamento sull’area ha carattere temporaneo, fino cioè a ricostruzione dell’Asilo in muratura, per il quale è allo studio il relativo progetto”. Si tratta sicuramente dello studio più lungo della storia, mentre la risposta dello Stato è fulminea: l’8 gennaio dello stesso anno dal ministero arriva il via libera ed ha la forma di una autorizzazione telegrafica: “Ministero autorizza concessione Comune Rimini parziale area antica Anfiteatro romano per installazione baracche offerte Soccorso Svizzera asilo infantile. Punto” Firmato, per il ministro, Bianchi Bandinelli, famoso archeologo e storico dell’arte, comunista, dal 1945 al 47 direttore generale delle Antichità e Belle arti in tre diversi governi.
Va anche sottolineato che tutto questo avviene in presenza di un vincolo sull’area archeologica che viene posto nel 1913 e che, dice letteralmente, “è proibito fare qualsiasi costruzione”.
Già nel 46 qualcuno si preoccupa per il destino dell’area archeologica. E’ Carlo Lucchesi, bibliotecario della Gambalunga dal 1929 al 1952 e ispettore onorario alle antichità. “Mi giunge notizia che nell’area centrale dell’Anfiteatro romano sta per essere sistemato un Asilo baraccato. Non so se codesta Soprintendenza ne sia stata avvertita: perciò mi affretto a farlo io…”. Allarmi che si ripetono negli anni. Ad esempio quando il Soprintendente Guido Mansuelli nel luglio del 1959 viene a sapere dalla stampa che il Comune intende cedere “suolo comunale” al Ceis, anche se “adibito a strada pubblica attraverso la quale si può giungere alle vestigia dell’Anfiteatro romano”. E non la prende bene perché “il Ministero ha speso ingenti somme per la bonifica e il restauro dell’Anfiteatro” e “sarebbe gravemente dannoso che la cessione di un’area adiacente la zona monumentale compromettesse quanto è stato fatto finora per restituire a Rimini uno dei suoi monumenti più significativi”.
Un’altra volta fu il direttore degli Istituti culturali del Comune di Rimini e professore di archeologia a Bologna, Mario Zuffa (che tanto peso ha avuto negli studi generali e anche nella datazione dell’Anfiteatro), a bloccare lavori avviati nella scuola senza informare la Soprintendenza.
Nel 1970 è un noto storico dell’arte riminese a prendere carta e penna per far sapere alla Soprintendenza che “nell’area dell’Anfiteatro romano sono in costruzione degli edifici in muratura con fondamenta in calcestruzzo. Spero che codesta spettabile Soprintendenza voglia prendere urgenti provvedimenti affinché siano fermati i lavori – che non credo possano essere stati autorizzati – intervenendo, come può e deve, d’ufficio affinché i responsabili (recidivi) siano punti”.
Arriviamo agli anni più recenti. E’ una successione di richiami e sollecitazioni quella che esce dal palazzo di via Belle Arti a Bologna, sede della Soprintendenza Archeologica. Ma tutto cade nel vuoto.
Tredici settembre 1982: quando sindaco è Zeno Zaffagnini il Ceis presenta un progetto di sopraelevazione di un padiglione. Il Soprintendente Giovanna Montanari Bermond scrive al Comune che “non si ritiene opportuno concedere l’autorizzazione all’esecuzione di un intervento edilizio che oggettivamente non presenta caratteristiche di provvisorietà; ciò anche in considerazione della necessità di addivenire nei tempi più brevi ad un trasferimento del Centro educativo in area più idonea, liberando finalmente il settore dell’Anfiteatro romano attualmente occupato dagli immobili. A tale riguardo si richiedono informazioni sugli intendimenti di codesta Amministrazione”.
Nel 1986 il sindaco è Massimo Conti e lo stesso Soprintendente torna alla carica e “bastona”: “Con la presente rammentiamo alla S.V. (è indirizzata al primo cittadino, ndr) come tutto il terreno compreso entro il circuito della via Vezia, corrispondente all’area occupata dai ruderi ancora parzialmente interrati dell’anfiteatro romano, per la sua rilevantissima importanza archeologica sia da ritenersi vincolato … Attualmente tale area risulta ancora in buona parte occupata dagli edifici del Centro educativo, nonostante che essi fossero sorti con carattere di assoluta precarietà e che, anche su sollecitazione di questo ufficio, codesta Amministrazione aveva più volte assunto l’impegno formale di provvedere al trasferimento in altra sede dell’intero complesso. E’ ovvio come tale situazione, ormai protrattasi per troppo tempo, costituisca un limite insormontabile per la piena evidenziazione e valorizzazione dei resti dell’Anfiteatro, rara e importante testimonianza dell’architettura monumentale romana nell’Italia settentrionale… Pare quindi opportuno cogliere finalmente l’occasione per elaborare nuovi strumenti di programmazione che prevedano in tempi brevi di trasferire in più idonea località il Centro educativo, destinando l’area in oggetto al pubblico godimento, indispensabile premessa per la futura completa evidenziazione del monumento antico e per la sua piena valorizzazione”.
A sferzare il Comune di Rimini saranno anche i Soprintendenti Sgubini, Maccaferri, Guzzo e Calvani fino alla fine degli anni 90. Nel 1991, quando il sindaco è Marco Moretti, il trasferimento del Ceis sembra fare un passo avanti. La giunta di pentapartito lavora per inserire nel nuovo Prg un’area sulla quale ricollocare il Ceis. Ma Moretti ha vita breve (la sua giunta s’insedia il 28 giugno 1990 e si dimette il 16 aprile 92). Il 14 giugno arriva la giunta “cattocomunista” e il sogno di cambiare sede al Ceis (che comunque era stato anche comunicato ufficialmente alla Soprintendenza) resta tale.
Anche il Ceis ha più volte detto di essere impegnato a trovare un’altra location. Lo fanno, ad esempio, Margherita Zoebeli negli anni 60 (“si intende mantenere alle strutture il necessario carattere di provvisorietà affinché sia facile provvedere ad un eventuale trasferimento dei padiglioni su un’area non monumentale che possa permettere al Centro una sistemazione più stabile e definitiva”) e il presidente del Ceis nel 1991, Rodolfo Pasini (“sono attualmente in corso contatti col Comune di Rimini per verificare concretamente la fattibilità di un trasferimento del Centro in altra area”. Ora invece Giovanna Filippini (in una recente dichiarazione al Carlino) usa toni diversi: “il Comune ci deve mettere a disposizione un’altra area e una struttura che sia adeguata alle nostre esigenze. Non abbiamo mai preso in considerazione l’idea di spostarci, se lo faremo dovremo avere in cambio delle garanzie”. E siccome il Ceis è una esperienza unica “ho intenzione di fare la richiesta perché il sito diventi patrimonio mondiale dell’Unesco”.
Chi altro, a Rimini, potrebbe godere di un privilegio come questo? Probabilmente nessuno. E chiunque altro sarebbe già stato sfrattato senza troppi complimenti.
Il sindaco Gnassi, ex alunno del Ceis, tace ed usa due pesi e due misure. Ha cacciato senza troppi complimenti il mercato ambulante per iniziare i lavori in piazza Malatesta. Dove il castello deve “dialogare” con il teatro. Mentre il monumento simbolo della romanità, l’Anfiteatro, se ne sta sepolto e non dialoga con nessuno. Sulla scuola coccolata, protetta e sostenuta dalla sinistra di governo, il sindaco non mostra la stessa determinazione praticata con gli ambulanti. Ma sulla sua giunta pendono un “conflitto” e una dimenticanza abbastanza clamorosi a proposito di Ceis e Anfiteatro. Da cartellino giallo se non addirittura rosso. Che saranno il contenuto della seconda parte di questa inchiesta, pubblicata domani.
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