Alla corte di Gnassi “yes man” e corporazioni economiche. Parla Ennio Grassi

Alla corte di Gnassi “yes man” e corporazioni economiche. Parla Ennio Grassi

"Confesso di non aver mai visto come in questi anni così tanti adulatori, piaggiatori, saltimbanchi, in circolazione alla corte del feudatario di turno". Parla Ennio Grassi, intellettuale, negli anni 80 e 90 esponente di spicco del Pci-Pds. Rimini, dice, è oggi una città da “consumare” e escludente. Andrea Gnassi è un sindaco enfatico ma mai dialettico, un capo che ama circondarsi di accaniti e aggressivi tutori dell'ordine costituito. Ma la riflessione spazia dagli interventi culturali al progetto di piazza Malatesta-Castel Sismondo ("Non vorrei che diventasse l'ennesima quinta teatrale ad uso di un consumo meramente turistico"), fino alla candidatura del figlio Davide.

Dopo l’intervista a Giuseppe Chicchi è il turno di un’altra personalità legata alla storia politica, ma non solo, di Rimini. Si tratta di Ennio Grassi (nella foto), che è stato assessore alla cultura del Comune di Rimini e per tre legislature in Parlamento, complessivamente dai primi anni 80 al 96, quando militava nel Pci-Pds e, nella dodicesima legislatura, con l’Alleanza dei progressisti. Ma è ben noto anche al di fuori della politica: è uno scrittore e sociologo della letteratura, è stato docente, ha pubblicato diversi volumi, ha collaborato e collabora con varie riviste e per otto anni è stato consulente del ministero degli Affari Esteri in numerosi progetti di institutional bouilding nel settore scolastico ed universitario, in Albania e in Cina.

Grassi, cominciamo dalla sua storia politica e da una domanda: ha qualche nostalgia?
Di quella stagione, dei miei 16 anni in politica, ho inevitabilmente una memoria selettiva e disincantata, in positivo e in negativo. Ma non ho di essa alcuna nostalgia, per il semplice fatto che ritengo che la politica che diviene professione contenga in sé, in nuce e inevitabilmente, una patologia. Il “potere”, al di là della frase di rito del politico d turno – “lo faccio per un servizio alla città/al mio paese” – affascina e solletica, per ovvi motivi, la vanità personale e nello stesso tempo impone una visione delle realtà deformata dal bisogno di mantenere il proprio ruolo ad ogni costo.
Suggerisco ai giovani che intendano legittimamente impegnarsi in politica di avere prima un’attività lavorativa e di pensare il proprio impegno come ad un ‘esperienza seria e importante, non goliardica insomma (come mi capita a volte di osservare ) e a termine.

E che effetto le fa il Pd ai tempi di Renzi e di Gnassi e più in generale la situazione dei partiti oggi?
Direi che il confronto tra la storia del Pci-Pds riminese, quella che ho vissuto io, e quella dei Democratici è improponibile. Il partito democratico, a cui non aderii a suo tempo, non é l’Ulivo di prodiana memoria e non ha nulla di sinistra e nulla di riformista. Non ha un progetto politico, un progetto di società. Vive di puro pragmatismo, effetto di una pesante assenza di un orizzonte d’attesa, di cultura politica solida, di buone letture, di luoghi di discussione vera, di percorsi formativi forti.
La politica, nell’accezione etimologica del termine, è scomparsa da Rimini da almeno vent’anni. Lo testimonia per esempio l’assenza di un’opposizione seria e preparata. A sinistra (tranne i consiglieri Fabio Pazzaglia e Stefano Brunori) come a destra (tranne Renzi). E senza opposizione la democrazia è insulsa ritualità.

In Comune continuano a regnare gli eredi della sinistra, ma come è cambiata Rimini dagli anni 80 ad oggi? Oppure sostanzialmente è rimasta sempre quella?
Non ci sono eredi di quella stagione oggi a palazzo Garampi, per il semplice fatto che i padri hanno lasciato, insieme ad alcune cose buone, anche macerie soprattutto sul fronte della questione morale: insomma, una gestione del potere che non seppe fare i conti, a partire dagli anni ’80, con l’omologazione collettiva ai principi (si fa per dire) dell’utile personale e del “fai da te”. Il trionfo dell’individualismo e del corporativismo a cui le amministrazioni non seppero opporsi e anzi vi si adattarono consenzienti. Per non dire del silenzio assordante da parte della politica locale, timorosa quando non omertosa, sulle infiltrazioni mafiose nell’economia locale e su vicende imbarazzanti che coinvolsero importanti Corpi e Istituzioni dello Stato oltre che dell’Amministrazione locale. Vorrei segnalare, per chi non ne fosse a conoscenza, che quella storia che coinvolse, in un silenzio complice, anche il Pci di allora e altre forze politiche di maggioranza e di opposizione, è raccontata lucidamente nel dossier di una Commissione Consigliare, siamo nella primavera del 1984, mai approvato per lo scioglimento del Consiglio Comunale a fine mandato, e subito secretato. Oggi quel dossier è negli archivi del Comune di Rimini e nessun sindaco ha provveduto a desecretarlo. La domanda è ovvia: cosa c’è scritto dentro di così imbarazzante da non poter essere ancora reso pubblico?

Quali sono a suo giudizio le grandi questioni irrisolte di Rimini e le priorità alle quali la città dovrebbe mettere mano.
Il primo grande nodo da sciogliere è di natura culturale. La domanda è: esiste un’intelligenza del luogo? O più prosaicamente: cosa è una città? La risposta è tutto fuorché un esercizio accademico e retorico. Oggi Rimini è una città da “consumare”. La sua icona, a mio avviso più calzante, è “il calice di vino”, gradevole a vedersi, simpaticamente goliardico, in grado purtroppo di nascondere una diffusa realtà fatta di miseria, di disperazione, di indigenza sociale, di famiglie riminesi sotto la soglia di povertà. Rimini è una città che esclude, una volta si sarebbe usato l’aggettivo classista.
Tranne l’associazionismo che lavora nel sociale, da Casa Don Gallo alla Caritas, dalla Papa Giovanni ad alcune parrocchie, non c’è nessun impegno in prospettiva, oltre la risposta emergenziale, da parte delle Istituzioni. Solo silenzio e robusta ignoranza dei problemi.

Un imprenditore innovativo di Rimini, Bonfiglio Mariotti, intervistato da Rimini 2.0 fra le altre cose ha detto che Rimini sta vivendo un imbarbarimento: è d’accordo?
Più che di imbarbarimento, parola che suggerisce l’idea di una lotta politica senza quartiere che a mio avviso non c’è, vedo una grande complicità e connivenza nelle decisioni politiche tra tutti i partiti, senza distinzione di sorta. I partiti, a Rimini, sono solo rappresentanti delle corporazioni economiche, né più né meno. Lobbisti in salsa partitica per intenderci. Un vulnus per la nostra democrazia.

Quello che sta facendo maggiormente discutere in questa campagna elettorale è forse l’ammucchiata a favore del sindaco uscente, che continua la sua corsa nonostante l’inchiesta Aeradria a suo carico.
Quanto alle vicende giudiziarie di Gnassi mi auguro sinceramente che si concludano positivamente per l’interessato. Chiarito questo, mi sarei aspettato dal sindaco di Rimini un gesto come quello di Errani quando decise di lasciare l’incarico di presidente della Regione Emilia Romagna, in attesa che si concludesse l’iter giudiziario.

Lei ne ha visti passare di amministratori e in particolare di sindaci a Palazzo Garampi: come valuta la conduzione Gnassi e quali sono i fattori di novità, se ce ne sono, che lui ha introdotto rispetto al passato.
Gnassi ha tratti caratteriali che prendono spesso il sopravvento sulla ragionevolezza, nelle decisioni che contano. Il suo linguaggio è sempre iperbolico, enfatico, sopra le righe, mai dialettico. Quanto al suo fare politica direi che è un pragmatico, non avendo una cultura politica adeguata come tutta la classe dirigente del Pd riminese. In questo è fratello maggiore (data l’età) di Renzi. Insomma, applico a Gnassi il giudizio di Cuperlo a proposito di Renzi, fatte le debite proporzioni: il sindaco di Rimini non è un leader ma un capo. E i “capi” si riconosco anche dal fatto che amano circondarsi di “cortigiani” di varia e colorita natura, vecchi e nuovi, accaniti e aggressivi tutori dell’ordine costituito. Confesso di non aver mai visto come in questi anni così tanti adulatori, piaggiatori, saltimbanchi, yes man, in circolazione alla corte del feudatario di turno. Eppure va riconosciuto che esistono sindaci del Pd di ben altra qualità in circolazione: penso alla bravissima, empatica sindaca di Santarcangelo, Alice Parma, tra gli altri.

Sulla cultura molti giudicano positivamente l’apporto dato dall’assessore Pulini, ed è indubbio che in questi cinque anni il suo assessorato sia stato contrassegnato da un certo attivismo (si pensi solo alle varie esposizioni organizzate): quale voto darebbe alle politiche culturali e perché? Ci sono settori della cultura che invece restano abbandonati?
L’assessore Pulini si è impegnato molto, con finanziamenti, mi pare di capire, esigui e su versanti che pertengono soprattutto alle sue competenze professionali. La questione della cultura a Rimini e della sua subalternità alle ragioni dell’economia e dell’utile si può affrontare adeguatamente solo attraverso uno sforzo, che è anche economico, dedicato ad attivare pienamente le funzioni di servizio delle due Istituzioni più importanti: mi riferisco al Museo e alla Biblioteca Gambalunga. Le potenzialità sono tantissime, ma per vari motivi (la Gambalunga non ha un direttore da tempo) restano inespresse.

Cosa pensa dell’Anfiteatro romano ancora “ostaggio” del Ceis?
Sull’Anfiteatro la mia idea è che, paradossalmente, se è sopravvissuto, ancorché dimezzato, lo si deve proprio al Ceis che, tra l’altro, insiste su rovine irrecuperabili come è ampiamente documentato dagli studi degli archeologi.

Dal nostro lavoro di approfondimento sull’Anfiteatro e dalla documentazione anche fotografica esistente alla Soprintendenza archeologica di Bologna questo non risulta, ma nei prossimi giorni torneremo ampiamente sul tema. Veniamo al Teatro Galli: merita l’enorme investimento che sta richiedendo? E cosa pensa della trasformazione di piazza Malatesta e dell’intervento su Castel Sismondo?
Il teatro Galli andava naturalmente recuperato. I costi però sono lievitati in maniera esponenziale, per l’incapacità delle amministrazioni che si sono succedute negli anni, dopo il concorso di idee della metà degli anni ’80, nel gestire il percorso dai progetti alla loro esecuzione. Va detto, comunque, che sarà un costo di gestione fisso ed impegnativo per le amministrazioni a venire e di uso limitato per le attività spettacolari. Vorrei ricordare che il Galli aveva il doppio dei posti per il pubblico di quelli previsti dopo il suo restauro. Quanto allo spazio Malatesta/Castel Sismondo, nutro perplessità soprattutto per ciò che concerne la sua effettiva vivibilità e per i problemi di parcheggio inevitabili che si porranno. Non vorrei che diventasse l’ennesima quinta teatrale ad uso di un consumo meramente turistico.

Come ha reagito quando ha saputo che suo figlio Davide aveva deciso di candidarsi col movimento 5 Stelle e cosa ha pensato quando, per la nota decisione dei vertici, il percorso si è interrotto?
In famiglia amiamo discutere tranquillamente e con passione, aggiornandoci spesso sui nostri interessi di lavoro e anche sulle nostre “visioni” politiche. I rapporti all’interno sono di grande confidenza. La decisone a suo tempo di Davide, appresa attraverso i giornali, non mi stupì. Sapevo del suo interesse per i 5 Stelle e lo trovavo del tutto legittimo, stante la scomparsa della sinistra, e per alcuni versi condivisibile. Quanto all’esito, posso dire solo questo: mio figlio ha un’etica pubblica (e professionale) non accomodante, anzi intransigente, basata su principi e valori che, evidentemente, la politica riminese dentro e fuori i 5 Stelle, non poteva e non può sopportare.

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