Caro Marc Augé, mi aiuti a riaprire il Museo degli Sguardi, una meraviglia abbandonata

Caro Marc Augé, mi aiuti a riaprire il Museo degli Sguardi, una meraviglia abbandonata

Gita a Covignano per visitare la celebre collezione, trasferita lassù nel 2005 – mica cinque secoli fa... Impossibile, è tutto chiuso. Eppure, il Comune ha investito in tempo, denaro e studiosi di fama. Non ci resta che scrivere al celeste professore che dal 2012 è cittadino onorario di Rimini.

Esimio professor Marc Augé,
mi fregio dell’onore di scriverle per raccontarle un fatto e ricordarle qualcos’altro. Senza dubbio ricorderà quel giorno di metà marzo del 2012. Lei spiccava nel perplesso consesso del Consiglio Comunale: molti consiglieri, c’è da crederci, pensavano che lei, il visionario dei ‘non-luoghi’, fosse una vecchia gloria del Rimini Calcio o della Spal. Sorrideva, ricordo – e ricorderà anche lei – quando il Sindaco di Rimini di allora, Andrea Gnassi, che è lo stesso di oggi – proprio così, a Rimini ci sono cose che cambiano repentinamente e altre che non cambiano mai – fece la pipì oltre il recinto del cervello dicendo che “il più grande romanzo italiano comincia da un ramo del lago di Como”, e fin qui va bene, ma, continuò, “le nostre pagine sono più belle perché sono vere, è vita”. Una frase che è una catapulta nel nonsense, per questo lei sorrideva, illustre Augé, venuto accademicamente a benedire i riminesi. “Sono molto fiero di essere riminese”, aveva detto, quel dì, nella lingua di Cartesio e di Pascal. Quel giorno, si allineava a tanti altri diversamente illustri che sono diventati cittadini onorari di Rimini: dal Dalai Lama a Tonino Guerra, da Arnaldo Pomodoro a Sergio Zavoli, Giulietta Masina, Augusto Campana, Chiara Lubich, che bella compagine, che bella compagnia. Il riconoscimento, ricorderà, non le era dato semplicemente per i suoi studi, capitali – ne ricordiamo qualcuno? Genio del Paganesimo, ad esempio, o Il senso degli altri, oppure Disneyland e altri nonluoghi, ma la sua capacità persuasiva e saggistica è tale che solo quest’anno, in questa piccola Italietta hanno pubblicato quattro suoi libri, tra cui Un etnologo nel metrò e Perché viviamo? – ma per una ragione precisa, del tutto riminese. “Per aver dato un adeguato indirizzo concettuale alla ridefinizione del Museo degli Sguardi, all’allestimento della collezione etnografica riminese che ha ricevuto riconoscimenti di livello europeo”. Questa era la motivazione ‘locale’ del fausto alloro. Ricorderà, in effetti, i fatti che precedettero quella festa, quel 2012. L’antico “Museo delle Arti Primitive” fondato da Delfino Dinz Rialto, inaugurato nel 1972 all’Arengo, poi trasferito a Castel Sismondo come “Museo Culture Extraeuropee ‘Dinz Rialto’” diventa Museo degli Sguardi in vista del riallestimento in Villa Alvarado, sul colle di Covignano. L’idea fu partorita nel 2000, sotto l’egida di un comitato scientifico presieduto da lei e formato da illuminati intellettuali, tra cui Paolo Fabbri, Marcello Di Bella, Antonio Paolucci. Il Museo degli Sguardi, finalmente, aprì, rinnovato, nella villa che fu del segretario in Italia di Carlo VI, il 17 dicembre 2005. Lei, ricorderà, scrisse un invito speciale alla visita: quel Museo degli Sguardi pronunciava “mille piste, mille inviti rinnovati al sogno, alla riflessione e al viaggio di cui ci si sforza di seguire i segni in un percorso tracciato che ci conduce da ieri al domani, dallo scandalo all’ammirazione, ma che si può seguire in tutti i sensi, ritornando, se necessario, sui propri passi, perché abbiamo sempre bisogno di stupirci, di capire e di ammirare”. Sette anni dopo, la degna conclusione dell’opera, con la cittadinanza onoraria.
A questo punto, però, mi permetta il racconto. Cinque anni dopo la sua presenza, mitologica, nel Consiglio comunale di Rimini – e cinque anni non sono cinquant’anni o cinque secoli – e 12 anni dopo la creazione ex novo del Museo degli Sguardi, beh, il Museo degli Sguardi semplicemente non c’è, è inaccessibile. Da tempo si parla di trasferire il Museo degli Sguardi nelle sale riadattate del Museo civico – cosa che, di per sé, non è una buona cosa: tanto lavoro per allestire la villa a Covignano per niente; e poi, cos’è questo continuo gioco delle tre carte con i beni culturali civici? Fellini sparso tra Fulgor e Castel Sismondo, Gruau in uno spazio ignobile e ignobilmente razziato… Nel frattempo, il Museo per cui lei ha speso così alate parole, non esiste. Mercoledì scorso sono asceso alle Grazie. Prima di tutto – per rispetto ai celesti – entro nel santuario, incocco una preghiera. Attraverso il sagrato, vado al cospetto di Villa Alvarado. Il giorno è quello giusto perché un cartello – sconfitto dai fatti – avvisa che il mercoledì, la mattina, il Museo degli Sguardi è aperto. Invece, è chiuso. Un cartello mi avvisa che l’ingresso è dislocato altrove. Seguo le indicazioni di questo grottesco gioco dell’oca e dell’incuria. Il cielo è di un azzurro imperiale, gli alberi sono austeri come re, s’intravede una fetta di mare, che mi pare il palmo sinistro dello Spirito Santo. Insomma, il posto, chi non lo sa, è magnifico, il cuore glorioso di Rimini, altro che ‘nonluogo’, questo è un luogo benedetto, che rifulge carisma. Rifletto, perciò, che l’idea di condurre i ‘turisti’ alle Grazie è intelligente. In una visita si pappano tre meraviglie: il Santuario, il Museo, il panorama, che stordisce. Un luogo così rimanda ai colli romani, all’aura collina di Firenze, agli spazi dove gli umanisti attraccavano gli dèi risorti da una Grecia inventata e immota. Il giro tondo intorno alla via dura lo sprazzo di un pensiero. Sbatto contro un cancello. Ulteriore cartello. Anzi, no. Un foglio fotocopiato inserito in una cartellina di plastica e appiccicato alla meglio su un cancello che gronda vecchiaia. Il foglio avvisa che il Museo degli Sguardi è visitabile solo su prenotazione, telefonando, chissà quando. Eccola, l’immagine dell’Italia nel mondo civilizzato, il Belapaese che rinchiude le proprie meraviglie nei musei e poi getta via la chiave, lasciando lo splendore al macero. Guardando la villa, rustica e sobria, immagino le collezioni di feticci africani, di maschere polinesiane, di addobbi della Nuova Guinea, di armature precolombiane: sono ancora lì? Immagino che prendano vita, dando vita a una rivolta dell’onirico contro l’ovvio dei burocrati. E immagino anche l’incazzatura napoleonica dell’incauto turista che giunge fino alle Grazie per visitare un Museo ostinatamente chiuso. Carissimo Augé, mi permetta la ‘sparata’: che lo affidino agli uomini di buona volontà, il Museo degli Sguardi, se le falangi civiche, se i burocrati di Giunta, non sanno come fare a tenerlo aperto, non hanno i soldi, non hanno idee – l’ultima mostra promossa dal sito dei musei riminesi, che è alla mercè di turisti e di vagabondi, è del 2009… una vergogna. Io mi prenoto. Offro il mio tempo gratuito il martedì e il giovedì mattina. Pattuglio io, dalle 8,30 alle 13,30. Vedrà, carissimo Marc, che bastano una decina di cittadini di buon cuore per tenere aperto quel gioiello su cui lei ha investito impegno, studi, professionalità. Penso sia inutile, su questo fronte della tristezza, ritessere la solita polemica: spendono e spandono per gli eventi e non sanno curare il bene pubblico, la grazia civica che è loro affidata. Si sa, lo sappiamo da sempre, che i cani latrano e attirano attenzione, mentre le statue e le icone, con il loro eterno segreto, vanno dissepolte, scoperte, amate di nascosto. Spero che lei accetti questa mia, immenso professore, e che possa aiutarmi a non far morire il Museo degli Sguardi:
*impedendo che sia trasferito altrove, e che da opificio delle immaginazioni sia ridotto a una collezione qualsiasi in un museo qualunque;
*riaprendolo, superando l’ostacolo – banale, proprio della malapolitica – delle risorse che mancano, spirituali prima che economiche, costruendo un gruppo di cittadini degni di lode – o di studenti da 110 e lode che vogliono fare esperienza – che custodiscano il Museo degli Sguardi.
La ringrazio sentitamente per la pazienza,
suo,

Davide Brullo

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