Castelsismondo: un contributo di metodo del prof. Zavatta smonta la tesi sul ripristino delle “bucature originarie”

Castelsismondo: un contributo di metodo del prof. Zavatta smonta la tesi sul ripristino delle “bucature originarie”

"La volontà di creare un percorso del museo che preveda un ingresso (dalla porta che si vuole aprire) e un’uscita (dalla porta d’ingresso attuale, snaturando i percorsi “originari” del castello) ha forse portato a interpretare a sostegno del proprio progetto due delle planimetrie meno significative della rocca malatestiana, ignorando pervicacemente tutte le altre, spesso più autorevoli e più antiche, che depongono a sfavore".

di Giulio Zavatta

Il progetto di apertura di una breccia arcuata nel muro a scarpa del palazzo interno a Castelsismondo, è argomento di attualità che si sta discutendo in questi giorni, ed è giustificato nel progetto pubblicato sull’albo pretorio in questa maniera:

“Il percorso di visita dell’esposizione permanente prende avvio introducendo il visitatore nel Mastio attraverso un varco ottenuto ripristinando una preesistente bucatura che coinvolge il piede a scarpa dell’apparecchio murario*, affidando al portale ogivato dell’edificio il ruolo di varco di uscita al termine della visita. L’ingresso dal varco ripristinato è favorito da un elemento che integra in un insieme plastico una rampa a norma per persone con difficoltà motorie, dei gradini e una panca per la sosta e l’attesa dei visitatori che volessero intrattenersi nella Corte di Mezzo. Questa piccola architettura in legno, bronzo e pietra, è costituita da una sottostruttura metallica che la collega a terra preservando il piano originario di calpestio ed assicurandone una piena reversibilità.
L’intervento si misura dunque con il grande tema dell’innesto del nuovo nell’antico sia attraverso la sua natura costruttiva che figurativa, del tutto autonoma nei caratteri e nelle modalità di contatto. Una concezione orientata verso l’integrazione tra la storia e la nuova vita dell’edificio, nel pieno rispetto dell’insieme organico costituito da testimonianze materiali, espressione dell’identità civica della comunità riminese, in modo da non pregiudicare le fondamentali esigenze della conservazione del bene”.

*La riapertura di una porta esistente e ad oggi tamponata sul muro a scarpa perimetrale del Mastio si incardina nella disciplina del Restauro Scientifico riguardante il ripristino delle bucature originarie sui prospetti esterni dei beni tutelati.

A supporto di questa tesi sono allegate due immagini: una pianta a stampa derivata da un disegno del 1760 e un altro foglio settecentesco custodito presso la Gambalunga, di autore anonimo.

Su questa teoria, credo, andranno fatte alcune osservazioni di metodo. Innanzitutto i due disegni richiamati non sono le sole piante antiche di Castelsismondo. Ne esistono di più prossime al momento della costruzione: la più datata è quella di Antonio da Sangallo il Giovane (1526) dove non compare l’apertura. Si tratta di un rilievo molto accurato, il primo nel quale vengono prese tutte le misure essendo stato concepito, alla vigilia del Sacco di Roma, con finalità militari. E un’apertura in un muro a scarpa ha evidenti implicazioni militari, tale da dover essere rilevato. Invece la porta non è segnata. Non sembra dunque filologicamente corretto, visto che si cerca lo stato “originario”, ignorare quello che è delineato nella più antica restituzione della parte interessata. Già questo dovrebbe bastare per avanzare un ragionevole dubbio sul fatto che quello prospettato sia un “ripristino delle bucature originarie sui prospetti esterni dei beni tutelati”. Cosa significa “originarie”? Lo stato del Settecento lo si considera più “originario” di quello cinquecentesco?
Il lavoro che si paventa sarebbe, al più, dunque, il ripristino di una situazione del XVIII secolo, intermedia. Infatti la “porta” non compare neanche nella pianta di Giovan Francesco Nagli del 1664. E non comparirà più già dal rilievo dell’ingegner Crudomiglio del 1821, che segna l’attuale ingresso come unica via d’accesso.
Inoltre – sempre per questioni di metodo – va rilevato che una planimetria antica non è di per sé un documento probante. Nessun disegno infatti è neutro, oggettivo, se non contestualizzato. Una planimetria può esprimere un rilievo dell’esistente, ma anche un progetto (non necessariamente messo in opera). Solamente se accompagnata da documentazione archivistica che ne dichiari l’intento una planimetria diventa significativa. Antonio da Sangallo il Giovane ebbe un incarico dal papa per il rilievo delle fortificazioni in Romagna per valutarne lo stato e dove possibile migliorarne e aggiornarne l’efficienza. Le misurò una ad una e resta un suo lavoro coerente sostanziato da qualche decina di disegni, rilievi e relazioni. I due casi chiamati a supporto, invece, sono evidenti riproduzioni desunte da altre planimetrie, mancando quelle misure che nei disegni del Sangallo certificano il fatto che fu proprio l’architetto a rilevare lo stato della rocca.
Chi ha dimestichezza con la cartella donata da Luca Beltrami nel 1902 alla Biblioteca Gambalunga (a me è capitato di scrivere un libro sull’argomento), inoltre, sa che i disegni del castello sono tutte riproduzioni: un lucido ricalcato quello del Sangallo, la copia da un esemplare cinquecentesco fatto da Ravioli nel XIX secolo. È possibile, anzi probabile che il foglio settecentesco sulla base del quale si pensa di “ripristinare” la “bucatura” (sic!) sia a sua volta la riproduzione di un altro modello planimetrico. La pianta fu verosimilmente realizzata a tavolino senza un’osservazione diretta. Se l’anonimo autore, non avendo visto lo stato reale, avesse malinteso la falsa porta (o la porta tamponata) che attualmente sussiste copiandola da un’altra pianta e disegnandola come “vera” apertura, per paradosso, si ripristinerebbe un suo errore di interpretazione. Andrà infatti osservato che nel prospetto esterno della scarpa la tessitura muraria è uniforme, non sembra esserci segno di un tamponamento né recente né antico. Qualche concreta indagine in tal senso sarebbe dunque necessaria e più significativa della lettura di due stanche riproduzioni settecentesche. Ma anche se emergesse o fosse emersa una tamponatura (ottocentesca? novecentesca?) su una precedente apertura (settecentesca) potremmo definire lo sfondamento un ripristino dell’”originario”, constatato che nel Cinquecento e nel Seicento non esisteva? Sarebbe anzi proprio questa tamponatura un ripristino delle bucature originarie, avendo chiuso una porta non originale.

In definitiva la proposta appare fondata su una lettura parziale di due restituzioni – non verificate storicamente né archivisticamente – che potrebbero, ammesso siano corrette, attestare una modifica settecentesca della rocca. Indicare questa fase come “originaria” mi pare del tutto arbitrario e non dimostrabile. La volontà di creare un percorso del museo che preveda un ingresso (dalla porta che si vuole aprire) e un’uscita (dalla porta d’ingresso attuale, snaturando i percorsi “originari” del castello) ha forse portato a interpretare a sostegno del proprio progetto (ovvero, cito testuale, della “la nuova vita dell’edificio”) due delle planimetrie meno significative della rocca malatestiana, ignorando pervicacemente tutte le altre, spesso più autorevoli e più antiche, che depongono a sfavore.

Credo quindi che sia privo di fondamento storico e di metodo preferire una situazione attestata per la prima volta, allo stato attuale delle conoscenze, trecento anni dopo la fondazione della rocca. E che dunque questo intervento non sia affatto, come dichiarato e cito ancora testuale: “nel pieno rispetto dell’insieme organico costituito da testimonianze materiali, espressione dell’identità civica della comunità riminese, in modo da non pregiudicare le fondamentali esigenze della conservazione del bene”. È evidente che l’intervento servirebbe più al progetto e alle nuove necessità del museo che alla volontà di ripristino filologico del castello. Se la filologia fosse il vero obiettivo, del resto, avremmo oggi un fossato e il ripristino di una controscarpa originale e “originaria” del Quattrocento in luogo di un’arena che non esiste e non è mai esistita in nessuna planimetria, di prima mano o copia, antica o moderna. La filologia e la scientificità del restauro, in conclusione, sono un metodo che prevede di considerare attentamente tutti i documenti disponibili, non una giustificazione da richiamare all’occorrenza e ad intermittenza.

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