Cgil infila il coltello nella governance in Carim, ma è ora di ripartire le responsabilità

Cgil infila il coltello nella governance in Carim, ma è ora di ripartire le responsabilità

Dai sindacati al sindaco “basta cemento”.

Non basta la crisi economica a spiegare lo stato di debolezza in cui versa la banca. Vero. Ma vediamo cosa non ha funzionato e non funziona. Dentro e fuori Carim.

Una nota appuntita esce oggi dalla segreteria della Cgil di Rimini e mette direttamente nel mirino, senza troppi complimenti, la governance di banca Carim. In primis il suo presidente. C’era da aspettarselo ed è salutare che si comincino a chiamare le cose col loro nome.
Il prof. Bonfatti fino ad oggi si è difeso, davanti al passo del gambero dell’istituto di credito che presiede da quasi cinque anni (il prossimo ottobre), dicendo sostanzialmente che il peggio l’ha ereditato e il resto l’hanno fatto la crisi economica e qualche altro fattore, comunque esterno a Carim. D’altra parte è l’intero sistema bancario a passarsela male. E’ il ritornello che ripete come un disco rotto in dichiarazioni senza contraddittorio giornalistico. Ora la Cgil dice: no, non si può continuare a raccontare favole, a dare la colpa al destino cinico e baro. Per la verità, anche se isolate, alcune voci critiche da tempo sostengono (soprattutto in Fondazione Carim) che i problemi non sono solo esterni ma un ruolo (importante, determinante?) l’hanno giocato i “banchieri” di palazzo Buonadrata e la stessa governance di Carim. Ma a queste voci si è cercato di attribuire la patente dei rematori contro a prescindere. L’impressione, ma ci si potrebbe sbagliare, è che in Fondazione abbiano comandato non banchieri ma benefattori, più dediti alla filantropia e alla beneficenza (sulla quale ora piovono tagli perché dal rubinetto dei dividendi non escono più soldi) che non alla conduzione della banca.

Il j’accuse della Cgil. “L’ultima ristrutturazione preannunciata dalla banca Carim rischia di trasformarsi nell’ennesimo tentativo dopo i tanti che si sono susseguiti anche dopo la conclusione del Commissariamento avvenuta nel 2012. Tutti questi anni sembrano passati invano e invece servirebbe una vera svolta, più trasparenza, ma soprattutto che venisse raccontata la verità. Non basta, infatti, la crisi economica a spiegare lo stato di debolezza in cui versa la banca, ma all’opinione pubblica, al territorio di riferimento si continuano a nascondere i veri problemi legati in primo luogo causati dall’elevato stock di crediti deteriorati e dalla loro insufficiente copertura. Fino a che punto, c’è da chiedersi, è a rischio il futuro della banca e quindi dei risparmiatori, del lavoro e dell’economia della città che invece, per tornare a crescere, avrebbe bisogno di una banca al servizio del territorio?”. Sono gli interrogativi di Cgil.
C’è anche da chiedersi perché Cgil abbia atteso l’annuncio di un non meglio precisato numero di esuberi (divenuto di dominio pubblico lo scorso 30 dicembre) per aprire questa riflessione. Perché, invece, Carim ha la febbre non dal recente scoppio dell’influenza stagionale.
Prosegue la nota di Cgil: “Oggi Carim ripropone la ricetta del taglio dei costi, e di conseguenza del personale, dando la colpa alla situazione economica e ciò nonostante i sacrifici chiesti nel 2015 debbano ancora essere completati (ancora migliaia di giornate di solidarietà da spesare nel 2017 a carico dei lavoratori). È sfacciataggine pretendere dai lavoratori ulteriori sacrifici mentre ancora si stanno pagando gli oneri degli errori passati. Per le banche è crisi nera, ma non senza responsabilità tanto che per alcune cominciano ad emergere inquietanti retroscena e pian piano i nomi eccellenti di coloro che avendo ricevuto dei crediti milionari non hanno restituito più nulla contribuendo al fallimento delle banche stesse. Per quanto riguarda Rimini, e lo chiediamo senza alcun interesse strumentale o di carattere scandalistico, si può sapere qual è lo stato dei crediti cosiddetti inesigibili? Sono stati fatti prestiti sulla fiducia? E da parte di chi a chi? Quando al tavolo istituito dalla Provincia si cercava di chiedere agli Istituti di Credito locale di anticipare la cassa integrazione ai lavoratori dipendenti dalle aziende in crisi, la maggior parte delle porte sono rimaste serrate. Ci dicevano che le banche non potevano rischiare. Non per i lavoratori, aggiungiamo noi. Nell’ultimo periodo Carim ha annunciato un numero considerevole di esuberi. Eppure tra i rappresentanti delle istituzioni, della politica, delle categorie economiche, è una realtà che sta passando sotto silenzio, mentre se la crisi di questa banca, che è la più importante del territorio, dovesse perpetuarsi, ciò provocherebbe pesanti sofferenze non solo ai risparmiatori ma anche all’economia locale”.
Sul numero degli esuberi nemmeno Cgil dice però una parola chiara: 70, 90, di più? La gestione degli esuberi, e questo vale ovviamente anche per il passato, è materia che l’azienda gestisce in accordo coi sindacati. Gli esiti della procedura di mobilità, una volta che li si voglia valutare con onestà, ricadono quindi almeno in parte anche sulle organizzazioni sindacali. In Carim, poi, il peso del sindacato è stato sempre molto forte.

Una impasse che dura da tempo. Carim è stata commissariata ed è uscita nell’autunno del 2012 come da un bagno purificatore da quella pesante esperienza. Bonfatti ha avuto in mano le chiavi di un’auto quasi nuova, anche se passata dalla rettifica. E comunque per valutare la sua presidenza c’è un modo abbastanza oggettivo: i bilanci. Può farlo chiunque voglia prendersi la briga di capire.
Di certo i crediti deteriorati, come sostiene Cgil, sono il macigno che grava su Carim. Cresciuti anche dopo il passaggio dei “Mastrolindo” di Bankitalia. Ma i crediti non performing si possono, anzi si devono, gestire ed è giusto chiedersi come lo abbia fatto banca Carim.
Bonfatti esce indebolito dall’ultima ispezione di Bankitalia, se non altro per il modo in cui sono stati affumicati i sui piani di aumento di capitale, già comunque accolti con una certa freddezza a Rimini.
Da anni va avanti il balletto della “fusione”. Sono circolati diversi nomi di banche insieme alle rassicurazioni del presidente Bonfatti. Della serie: noi non siamo messi come Cesena. Però Cesena nel frattempo ha imboccato una strada, senza perdere tempo prezioso, e bloccato la china discendente. Si è sempre vociferato che l’ex direttore Mocchi sia stato fatto scendere dalla poltrona di direttore generale perché avrebbe voluto concretizzare l’abbraccio con Cesena. Ma fatto fuori lui non è emersa nessuna alternativa percorribile. Si è anche vociferato che in quella stessa fase la Fondazione stesse perseguendo un altro risultato, in dialogo col fondo Atlante. Ma non è dato sapere con certezza e comunque il progetto non si è realizzato.
Agli inizi di novembre si è conclusa un’altra ispezione, di cui non si sa quasi nulla. Sul sito della banca non è stato ancora pubblicato nemmeno l’ultimo resoconto semestrale (tutto fermo al 2015). Nell’occasione del termine della ispezione Carim annunciava di essere “attivamente impegnata nella ricerca di soluzioni aggregative nonché in contatti con potenziali investitori per stringere partnership industriali e strategiche finalizzate al rafforzamento patrimoniale e alla maggiore competitività. Banca Carim ha comunque presentato richiesta di intervento allo Schema Volontario del Fondo Interbancario di Tutela dei depositanti, onde ricevere sostegno alle proprie esigenze di ricapitalizzazione, fornendo a tal fine preliminari elementi di valutazione; il Fondo si porrebbe dunque come potenziale soluzione di ultima istanza, fermi restando la ricerca ed il conseguimento di ipotesi alternative”. Sono trascorsi due mesi.

Carim per Rimini non è una banca qualunque. Carim per Rimini ha una valenza strategica. Ce l’ha per l’economia del territorio e ce l’ha anche per le altre banche locali, che paradossalmente svolgono al meglio il loro ruolo all’ombra di Carim. Se crollasse Carim sarebbe l’intero sistema economico riminese a subire un danno. Forse irreversibile.
Il destino di una economia turistica matura, quasi stracotta, qual è la nostra, è legato a doppio filo con quello di Carim.
Si apre qui un ulteriore tema di riflessione, che fa ben comprendere come le responsabilità circa il passato, il presente e il futuro della banca non siano solo in capo ai banchieri e al management, che pure sono i primi a doverne rispondere.
A Palazzo Garampi si è insediato il sindaco “basta cemento”. Ha legato il suo successo elettorale alla lobby del turismo. E’ crollata una economia che si reggeva sull’edilizia. Fra una rotonda, un Galli e un Fulgor, che mai traineranno l’economia reale, non ha ancora trovato il modo per dedicarsi all’unica carta che andrebbe giocata nel turismo di Rimini: la riqualificazione alberghiera. Mettendo in campo strumenti urbanistici percorribili, concreti, agili. Probabilmente non lo ritiene necessario per il suo futuro politico, non solo perché lo immagina lontano da Rimini ma perché per la sua rielezione ha trovato un aiuto (grazie all’onorevole Pizzolante) per pescare elettoralmente nel mondo economico senza una reale contropartita economica (ma solo con piccole contropartite di rendita).
E così la riqualificazione alberghiera non parte, il turismo sopravvive con eventi, weekend e voucher, il tessuto economico si impoverisce, e anche le banche non ricevono nessun impulso per uscire dalla crisi. E’ un cane che si morde la coda.
E la stampa cosa fa? Se risponde a chi paga la pubblicità piuttosto che agli interessi veri della città, chi dispone del budget più alto influenza anche il dibattito e l’agenda dei temi da portare a galla.

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