Che ci fa un assessore (alle Arti) “poundiano” nel Comune che ha esiliato Ezra Pound?

Che ci fa un assessore (alle Arti) “poundiano” nel Comune che ha esiliato Ezra Pound?

Il minimo sindacale: la creazione di un Centro studi su Pound nell'anniversario dei 600 anni del Malatesta.

Una chicca bibliografica alla fiera del libro di Milano (dal 19 aprile) riporta a galla la provinciale censura che si è abbattuta sull'autore dei Cantos. Cancellato anche dalla voce "riminesi illustri" sul sito del Comune di Rimini. Ma se Rimini esiste per la letteratura occidentale del Novecento è grazie a Ezra Pound.

Ezra Pound secondo Piero Chiara.
Alla prima fiera del libro milanese, che si chiama “Tempo di Libri” e va in scena dal 19 aprile, c’è una chicca bibliografica imperdibile. La casa editrice De Piante, specializzata in inediti da collezione, presenta un testo ritrovato di Piero Chiara, che è stato, chi non lo sa, uno degli scrittori italiani più famosi, venduti e celebrati del secolo scorso. Il testo, scritto nel 1960, rimasto manoscritto su “un quaderno di scuola a righe”, estratto dall’archivio privato di Federico Roncoroni, narra un Viaggio con Ezra Pound. Piero Chiara, insieme a Vanni Scheiwiller, mitico editore, l’editore italiano di Ezra Pound, va a Brunnenburg, arcaico castello di Boris de Rachewiltz, egittologo per hobby, marito di Mary, la figlia di Pound, per professione. Per il poeta dei Cantos è un momento delicato e dolente. Nel luglio del 1958, dopo 13 lunghi, vergognosi anni di detenzione nel manicomio criminale di Saint Elizabeths, Washington, Pound, imbarcato sulla “Cristoforo Colombo”, approda in Italia. Abita con la figlia Mary, a Tirolo di Merano. Nel 1959 l’Accademia svedese, con azione scellerata, rifiuta la candidatura al Premio Nobel di Pound – sul suo cranio pendono invidie e opzioni ideologiche troppo pesanti. Scheiwiller e Chiara devono accompagnare il poeta a Milano, “e forse Pound avrebbe ripreso contatto col mondo, con l’Italia che aveva tanto amato ai tempi della sua gioventù e della sua libertà”. Il racconto di Chiara è nitido, nudo, aggraziato. Prima di partire Pound corregge le bozze del “volume di Fenollosa sull’ideogramma cinese”: il libro, L’ideogramma cinese come mezzo di poesia, sarà stampato da Scheiwiller proprio quell’anno, nel 1960, con dura ramanzina da parte di Zio Ez, “l’intero Occidente versa ancora nella più crassa ignoranza della sonorità verbale che è nell’arte cinese. Dubito sia stata inferiore a quella greca. I nostri poeti sono sciatti, ignoranti di musica e senza orecchie”. Più che altro, Chiara descrive il silenzio – di ancestrale autorevolezza – di Pound: “il vecchio Poeta, taciturno e triste, guardava il paesaggio invernale”; “temeva di non sapere più discorrere in italiano, o che non ci fossero più argomenti di conversazione per gli uomini”. Lo scritto – con fugace gita a Limone sul Garda – è una sorta di modulato requiem: ritornato nel mondo dei vivi, Pound è una reliquia di marmo in un mondo sfinito. “Aveva ripreso contatto con un mondo che aveva conosciuto in altri tempi, che amava tenacemente ancora attraverso immagini quasi spente e affievolite, ma vive dentro di lui e forse già chiuse in parole da scrivere, lentamente; da incidere nelle ultime strofe di un canto finale”. Questo, piuttosto, è il finale del racconto, di radiosa bellezza, esaltato da una sovracoperta di Michele Ciacciofera e stampato in una manciata di copie, per collezionisti. Ezra Pound sarà la sorpresa della prossima fiera libraria milanese, la prima. Il libro, sia detto con l’evidenziatore, è costruito da intellettuali seri (Chiara, Roncoroni, il pool della De Piante), mica da nostalgici del Duce. Ovvietà al cubo. Ma a Rimini occorre sottolineare anche questo.

Rimini arsa dall’ignoranza civica.
Ezra Pound amava Rimini. Vi passeggia nel 1922 con l’intento di raccogliere i materiali per scrivere i ‘Malatesta Cantos’, “il ciclo dei Malatesta”, dal canto VIII all’XI, che “ci dà uno sguardo, talora divertito, dell’Italia del secolo XV. Condottieri, guerre fra i vari Stati, intrighi, matrimoni, corruzione della Chiesa ecc.; cui si oppone il Tempio rinascimentale e l’individuo artefice, volitivo, che lo realizza” (così da Ezra Pound, I Cantos, Mondadori, nella collana nobile de ‘I Meridiani’). Al di là dei canti dedicati al Malatesta, Pound canta, con dolore, la Rimini bombardata durante la Seconda guerra – e l’implosione dell’adorato Tempio Malatestiano – in una allucinata visione dove tutti i secoli si pareggiano tra le mani del poeta-profeta: “Rimini arsa e Forlì distrutta,/ Chi vedrà più il sepolcro di Gemisto/ Che tanto savio fu, se pur fu greco?/ Giù son gli archi e combusti i muri/ Del letto arcano della divina Ixotta…” (canto LXXII, vv. 107-111). Eppure, il Comune di Rimini si ostina a ignorare il supremo Pound, forse gli amministratori scambiano il grande poeta, Pound, con CasaPound, ma qui non ci sono nostalgici né parafascisti, c’è soltanto il genio sovrano. Quello sì, fa davvero paura. A favore degli amministratori pubblici impiliamo qui alcuni giudizi nobili su Ezra Pound:

Thomas S. Eliot: “Se non fosse stato per l’opera di Pound, l’isolamento della poesia americana e quello dei singoli poeti sarebbe durato a lungo”.
Ernest Hemingway: “Quanto al Premio Nobel per la letteratura, beh, l’avrebbe meritato lui, Ezra, non certo io”.
James Joyce: “Senza l’aiuto di Pound non sarei riuscito a pubblicare un rigo”.

Chiedete al “poundiano” Assessore.
Per guarire dalla fasciofobia poundiana, gli amministratori civici, il duca Andrea Gnassi in testa, dovrebbero fare due passi nella casa editrice-bunker di Walter Raffaelli, uno dei pochi veri editori italiani. Con un catalogo ‘poundiano’ – ha stampato anche le poesie della figlia – da invidia. Ma, figuriamoci, capisco, un politico riminese in una casa editrice è come un elefante in una cristalleria di iceberg in Groenlandia. A questo punto, almeno, passino nell’ufficio dell’Assessore ‘alle arti’ Massimo Pulini. Pulini – se non se l’è scordato – quando faceva l’artista era un ‘poundiano’. Con un suo lavoro specifico, Interno di vento, l’Assessore non ancora Assessore riminese ha partecipato a una bella mostra milanese, “Ezra Pound e le arti”, a Palazzo Bagatti Valsecchi, nel 1997. La mostra, adornata di saggi importanti – tra cui quelli di Vanni Scheiwiller, Massimo Bacigalupo, Roberto Sanesi, Remo Guidieri – e di cimeli intensi – lo Pseudo-Pound ritratto da Montale, che era devotissimo al poeta, e quello disegnato da Pasolini, oltre a parecchi autografi di Ez – ammetteva una sezione ‘contemporanea’ tra cui spicca l’opera di Pulini. Che l’Assessore ‘alle arti’ si faccia mediatore di una modestissima proposta: non tanto l’intitolazione del Campone di Castel Sismondo a Pound – proposta del Consigliere Gioenzo Renzi, rimandata al mittente, con memorabile figuraccia nazionale del Comune di Rimini – quanto la creazione, nell’anno dei 600 anni del Malatesta tanto amato da Ez, di un Centro studi su Pound. Figuriamoci. Eppure, il lavoro di ricerca sarebbe immenso. Due esempi. Uno storico: pubblicare e studiare i documenti Usa che hanno portato all’infame prigionia del poeta. L’altro estetico: nel 1908 Pound pubblica, a proprie spese, a Venezia, la raccolta, ormai introvabile, A Lume Spento. Fin lì s’installa il rapporto privilegiato di Pound con l’Italia: il titolo del libro è tratto da Purgatorio III, dalla Commedia di Dante.

Ez esiliato dal Comune.
Ripetiamolo in coro: se Rimini esiste per la letteratura occidentale del Novecento è grazie a Ezra Pound. Ma questo pare importare poco ai nostri amministratori accecati dall’ideologia. Nell’attuale sito internet del Comune, alla voce “La Storia”, c’è un fritto misto storico di tutto un po’, perfino indigesto, ma Pound è scomparso, sepolto sotto chili d’ignoranza e di oblio, a differenza del sito primitivo, dove di Pound c’è qualche modestissimo capoverso. Con effetti fragorosamente grotteschi per una cittadina italiana degna di nota: alla voce “Riminesi illustri” si parla del pessimo poeta Aurelio Bertola, del misconosciuto Francesco Bonsi, del modesto pittore Nicola Levoli, ma non si accenna a Pound. Ora: non pretendiamo che sulla facciata dell’Arengo vengano incisi i versi ‘riminesi’ dei Cantos – ma quasi. D’altronde quest’anno sono i primi 45 anni dalla morte di Pound. Fughiamo i dubbi dei trinariciuti amministrativi, degli ignoranti con il colbacco: Ezra Pound fu fascista tanto quanto Giuseppe Ungaretti, Gabriele d’Annunzio, Ardengo Soffici, Alfredo Panzini, tutti fieri firmatari del “Manifesto degli intellettuali fascisti”. Nel resto del mondo Pound è il più influente intellettuale del Novecento, per il ring provinciale riminese è ancora ignoto. Altro che Museo Fellini e Teatro Galli, qui bisogna risciacquare i panni comunali – luridi – nell’intelligenza minima.

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