Chi ha affossato Aeradria?

Chi ha affossato Aeradria?

In attesa della verità processuale sulla fine della società di gestione del "Fellini", cerchiamo di capire quali responsabilità vengono attribuite dall'accusa ai soci pubblici di riferimento. E perché l'ex presidente della Camera di commercio, Manlio Maggioli, e l'allora vicepresidente di Aeradria, Mario Formica, incassano la richiesta di assoluzione.

Come riferivano le cronache locali qualche giorno fa, commentando la requisitoria dei pubblici ministeri del processo Aeradria (Luca Bertuzzi e Paolo Gengarelli), conclusasi con la richiesta di quattro anni e quattro mesi per Stefano Vitali, ex presidente della Provincia, e di un anno e quattro mesi per il sindaco di Rimini che ha appena lasciato il testimone a Jamil Sadegholvaad, Andrea Gnassi, i due amministratori locali hanno lamentato un trattamento ingiusto (“Questo processo è già una condanna“). Gli altri sono per ora rimasti in silenzio: Lorenzo Cagnoni, presidente della Fiera (per lui la richiesta è di un anno), e due figure “tecniche”: Santo Pansica (3 anni e otto mesi) e Fabio Rosolen (3 anni). Assoluzione invece per l’ex presidente della Camera di Commercio Manlio Maggioli e per Mario Formica. C’è poi il capitolo, lungo, delle prescrizioni per molti dei reati contestati.
Soprattutto Andrea Gnassi ha protestato con forza: «Dieci anni trascorsi dal ‘fatto’: una lettera redatta dagli uffici e risalente al dicembre del 2011 che oggi, secondo la stessa Procura, non è più di patronage ma derubricata con nuova interpretazione. Vicenda giudiziaria che ha già subito dibattito e processo, politico e mediatico, che ha impattato sulla vita delle persone (me compreso) in maniera dura e sofferta. Si confidava che anche su tale punto rimasto, dopo tutti i dieci proscioglimenti precedenti, alla luce delle plurime risultanze orali e documentali, si pervenisse anche da parte dell’accusa ad una diversa richiesta da quella formulata, per l’assoluta correttezza e trasparenza del mio operato. L’attesa è fiduciosa, ma restano ferite laceranti che non si leniscono anche considerandole connesse, come ormai, e purtroppo, tutti dicono, all’esposto e vulnerabile mestiere di sindaco».
E Vitali non è stato da meno: «Ci avviciniamo alla conclusione di una vicenda che, tra continui proscioglimenti e la caduta di alcuni capi di imputazione, dura da quasi dieci anni. Dieci anni in cui ho maturato la consapevolezza che il processo, almeno per me, è già stato di per sé una sorta di condanna. Chi si trova imputato vive infatti una specie di morte sociale, si trova in un limbo in cui ogni opportunità gli viene preclusa. Rinnovo la mia fiducia nei confronti dei giudici, fiducioso che presto tutto sarà chiarito».

Sarà il tribunale a pronunciarsi, a dicembre, dopo le arringhe delle difese, e comunque siamo ancora al primo grado. Vero è che i tempi lunghi della giustizia finiscono per ripercuotersi pesantemente sulla vita di chi è coinvolto in un processo. Ma, detto questo, perché Gnassi e Vitali manifestano insofferenza e si “sfogano” pubblicamente? Rivestire importanti ruoli pubblici comporta anche, non da oggi e non solo per Gnassi e Vitali, delle conseguenze. E Vitali è finito a processo in quanto presidente della Provincia, principale socio di riferimento di Aeradria e  referente politico della Agenzia di Marketing (che erogava i contributi turistici), senza dimenticare che, in quanto numero uno dell’ente di corso d’Augusto, aveva voce in capitolo anche nelle compagini sociali di Fiera e Rimini Congressi. Gnassi, oltre che sindaco, e dunque portatore del secondo pacchetto più sostanzioso di partecipazioni in Aeradria, è stato fra il 2005 e il 2007 assessore provinciale al turismo e referente della Agenzia di marketing turistico.

Altri, in silenzio, hanno già pagato il loro conto. Per l’ex presidente di Aeradria Massimo Masini è stato di 3 anni e 10 mesi più il sequestro di 72mila euro. Per  Massimo Vannucci (vicepresidente di Aeradria e amministratore delegato di Riviera di Rimini Promotion) 2 anni e 8 mesi, più una pena pecuniaria di 70mila euro e per Alessandro Giorgetti (presidente di AIR – Airport Infarstructure Rimini, controllata da Aeradria) 2 anni e 11 mesi e pena pecunicaria di 70mila euro. Tutti hanno patteggiato. Poi ci sono i vertici di Riviera di Rimini Promotion, presidente e membri del cda, 1 anno e dieci mesi ciascuno e una pena pecuniaria accessoria come risarcimento. Parentesi: non un signor nessuno, ma la Regione Emilia Romagna e un po’ tutta la classe politica al governo in Provincia e al Comune di Rimini, considerava Riviera di Rimini Promotions un modello di innovazione e di buone pratiche nella collaborazione fra pubblico e privato. Nel 2006 tutto questo viene messo nero su bianco in una pubblicazione dell’Osservatorio turistico regionale. E nel 2008 il presidente di Apt Emilia Romagna, Massimo Gottifredi, sosteneva che “l’esempio di Riviera di Rimini Promotion è quello di un brodo di cultura che vorremmo si estendesse in tutti gli scali aeroportuali”.

La politica non ha avuto responsabilità nella fine di Aeradria? E’ difficile per l’opinione pubblica rispondere a questa domanda perché di fatto il processo Aeradria non è stato raccontato praticamente da nessuno. Ma su cosa si è appoggiata l’accusa per chiedere determinate pene per chi deteneva il “controllo” della società di gestione dell’aeroporto di Rimini?

Una serie di testimoni qualificati nel corso del processo hanno messo in fila fatti e valutazioni. Renato Santini, per quasi un anno curatore fallimentare di Aeradria, ha detto senza mezzi termini che «se si fossero seguiti dei corretti principi contabili, già a partire dal bilancio chiuso il 31 dicembre 2010  il patrimonio netto della società sarebbe stato negativo e Aeradria in dissesto». Mentre invece il motore del “Fellini” ha continuato a girare ancora per altri anni visto che la sentenza di fallimento del tribunale di Rimini è arrivata il 26 novembre 2013.  Ma se il dissesto si sarebbe già dovuto manifestare nel 2010, «tutto ciò che è stato fatto successivamente e tutte le erogazioni arrivate, hanno concorso ad aggravare lo stato di dissesto dell’azienda». Ne è convinto Santini, ma con lui anche altri. Ed ecco perché i soci pubblici hanno avuto, secondo l’accusa, un peso non da poco. Perché detenevano la maggioranza nella compagine societaria di Aeradria (la Provincia col 33,92%, il Comune di Rimini col 16,65%; le altre quote di rilievo erano della Camera di commercio 7,51%, della Regione Emilia Romagna 7,02% e di Rimini Fiera 6,96%, del Comune di Riccione 6,09%, della Società Palazzo dei Congressi 4%, e poi tutta una serie di altri soci compresi fra il 2,79% e lo 0,03%). E se Aeradria ha potuto continuare a lavorare ciò è dipeso «anche dalle rassicurazioni, dalla possibilità e dal merito di credito che per la presenza di soci pubblici la società ha potuto assicurarsi» (sempre Santini). Senza i soci pubblici, insomma, Aeradria avrebbe trovato le porte delle banche chiuse e di conseguenza anche i rubinetti del credito. Come accade normalmente a tanti imprenditori.

Aeradria nel 2008 perdeva 411.755 euro, l’anno successivo quasi 2,5 milioni, nel 2010 ben 6.206.793 ai quali aggiungere un maggior costo per contributi marketing pari a euro 1.435.000. Nel 2011 un’altra sberla di quelle che fanno male: -6.203.794. Nel 2012 -21,5 milioni e un deficit di patrimonio netto pari ad euro 17 milioni. The end. Si è però proceduto, spinti dal mantra del «ruolo essenziale e strategico dell’Aeroporto per il nostro territorio», come declamava il presidente della Provincia Stefano Vitali approvando il bilancio 2010 e come sostenevano un po’ tutti in quegli anni.

Dei contributi di marketing iniettati in Aeradria al processo si è molto discusso. «Versamenti a fondo perduto» li ha definiti il prof. Marco Antonioli (Ctu dell’accusa), docente di diritto amministrativo all’università Bicocca. «Non contemplati nei bilanci pluriennali degli enti, non c’erano impegni di spesa». Il professore ha pure parlato di «danno erariale» quanto meno «configurabile astrattamente» a causa della gestione inefficiente e delle perdite reiterate.

Gli enti pubblici erogano o promettono di erogare ma, sempre secondo l’accusa, non avrebbero potuto farlo anche perché stavano contravvenendo al divieto di “aiuti di Stato”. Il Ctu ha parlato di una «responsabilità dei soci pubblici» particolarmente evidente perché hanno indirizzato verso una società aeroportuale moribonda una quantità di denaro che il sistema creditizio avrebbe fatto meglio a dirottare altrove. «Crediti inesistenti», peraltro, vantati da Aeradria nei confronti dei soci pubblici, «che venivano portati in banca e la banca finanziava Aeradria».

A fine 2011 Banca Carim concede un ulteriore fido temporaneo di cassa per euro 1.200.000, garantito da una lettera di patronage che reca la firma del sindaco Gnassi, del presidente della Provincia Vitali e del presidente di Rimini Fiera Lorenzo Cagnoni. Comune e Provincia, come accaduto per i contributi di co-marketing, non passano dai rispettivi consigli e non vengono adottate le delibere.
Nel dicembre del 2011 si rivolgono al responsabile della gestione creditizia di Carim e scrivono: «… in attesa che l’operazione di project financing si concluda positivamente Le chiediamo di anticipare la somma di euro 1.200.000 a favore della società Aeradria spa di cui siamo soci. Perseguendo il convincimento per cui il project financing possa essere un importante strumento di slancio e crescita per la nostra società, non possiamo però esimerci dal ritenere che se tale operazione non si concludesse positivamente sarà nostra premura intervenire con gli strumenti societari a nostra disposizione per far fronte al rimborso delle somme oggetto della presente comunicazione, ovviamente previa approvazione da parte degli organi competenti delle Amministrazioni e società che rappresentiamo». Firmato Gnassi, Vitali, Cagnoni.
Controverso il valore da attribuire alle “lettere di patronage” e su questo faranno leva anche le difese degli imputati. Sido Bonfatti (che si insedierà alla presidenza di banca Carim nel settembre del 2012 e quindi solo in seguito a questi fatti) deponendo al processo Aeradria le ha definite lettere «di rassicurazione, una forma di affidamento». La banca «ha dato dei soldi perché è stato affermato e confermato che Provincia, Comune di Rimini e altri Comuni, la Fiera, la Camera di commercio, avevano comunicato e confermato la corresponsione a favore di Aeradria di specifici contributi rientranti nell’ambito del piano dell’attività di promozione marketing …» Se lei fosse stato presidente della banca in quel periodo, ricevendo una lettera di quel tenore avrebbe erogato il finanziamento?, ha chiesto a Bonfatti la presidente Sonia Pasini. «Certo sì, e poi avrei verificato man mano che queste condizioni si fossero verificate. Una volta che non si fossero verificate avrei valutato di far valere la responsabilità ingenerata da quello che si chiama affidamento».
Fu durante la fase di commissariamento di banca Carim che il il finanziamento da 1.200.000 venne concesso. Il Commissario straordinario del tempo, Riccardo Sora, alla domanda se la lettera di patronage è stata determinante per firmare la delibera, non ha avuto esitazioni: «sicuramente sì».
Lettera di patronage che il dottore commercialista Mario Ferri, autore della consulenza tecnica di parte a favore di Mario Formica, valuta «equiparabile alla fideiussione perché ha caratteri indubbiamente forti, come ha riconosciuto la Corte dei conti».

Non sono ovviamente mancate anche voci totalmente diverse sulla materia. Ad esempio quella dell’allora capo di gabinetto del presidente della Provincia, Riccardo Fabbri. Per lui «le cosiddette lettere di patronage non sono giuridicamente vincolanti, sono lettere di impegno morale», ma comunque «inopportune e penso che un pubblico amministratore sarebbe bene che non facesse promesse che non è in grado di mantenere». Resta il fatto che per Fabbri «banca Carim ha sbagliato nel prendere per buone queste lettere perché doveva attendere degli impegni formali, che negli enti pubblici hanno una procedura molto definita». Una cosa è certa: la requisitoria dei pm imputa agli amministratori di aver vergato ed inviato lettere di patronage senza seguire l’iter amministrativo previsto, che anche vari testimoni ascoltati al processo (funzionari di Comuni e Provincia) hanno elencato dettagliatamente: istruttoria tecnica, proposta deliberativa, parere tecnico e contabile, commissione consiliare, consiglio comunale.

Il Titanic Aeradria procede la sua navigazione, nonostante tutto, fino a quando la società di revisione Deloitte & Touche, incaricata a fine 2010, mette il naso nel bilancio di quell’anno e si accorge che Aeradria, in solido con la società controllata AIR, ha stipulato un accordo commerciale quinquennale con Wind Jet per l’acquisto di biglietti aerei per complessivi 5,3 milioni di euro, che entro la fine del 2010 avrebbe comportato una spesa di 2 milioni come anticipo di contributi marketing. Questo, insieme ad altri elementi di incertezza, fa dire alla società di revisione qualcosa di inusuale: «non siamo in grado di esprimere un giudizio sul bilancio d’esercizio 2010 di Aeradria». Il castello faticosamente costruito e tenuto insieme con grandi iniezioni di denaro pubblico, che al culmine del suo splendore ha portato sullo scalo di Rimini 920mila passeggeri (nel 2011, quasi raddoppiando quelli del 2010: 552.922; numeri che sembrano un miraggio per il nuovo corso privato subentrato dal 2015, pur avendo ereditato milioni di investimenti già realizzati coi soldi pubblici), ha già cominciato a crollare. Fino ad arrivare al colpo forse letale: nella assemblea dei soci che si tiene nell’ottobre 2012, il rappresentante della Regione in Aeradria disconosce i crediti di co-marketing iscritti in bilancio nei confronti della Regione Emilia-Romagna.

Ma il colpo di scena si era avuto nel 2011. Il presidente della Provincia Stefano Vitali prende la parola durante l’assemblea di Aeradria e, alla luce dei rilievi mossi dalla società di revisione, chiede di svalutare (una scelta «incomprensibile» per usare le parole del rappresentante della società di revisione di Aeradria ascoltate nel corso del processo, «perché l’azionista in questo caso è il debitore») quasi 3 milioni di euro di crediti di co-marketing iscritti a bilancio, e il cda approva senza porsi nemmeno il problema di tentare una azione di recupero nei confronti dei debitori. Il sostegno degli enti pubblici per le «attività di promozione e marketing di Aeradria» era stato convenuto in complessivi 1.220.000 euro l’anno (più alcune quote aggiuntive ulteriori da parte di Provincia, e tre Comuni), ma l’accusa sostiene che gran parte di questi contributi non sono nemmeno mai stati riscossi perché i Comuni, ma anche la Provincia, non avevano adottato gli atti necessari per erogare quelle somme. Si arrivò così nel 2011 ad una montagna di crediti di co-marketing, circa 3 milioni 300mila euro, «indebitamente iscritti a bilancio» e secondo la Procura la svalutazione avrebbe avuto proprio lo scopo di cancellare dei crediti insussistenti. Perché indebitamente iscritti a bilancio? Perché privi delle “pezze d’appoggio”, delle delibere degli enti, e dunque i contributi dei soci potevano al massimo essere considerati promesse. I soci pubblici non versano quanto promesso, ed anzi svalutano, ma nel frattempo ci aveva pensato banca Carim ad anticipare determinate somme, guarda caso attraverso un finanziamento di 3 milioni di euro accordato nell’estate del 2010. Mentre l’aumento di capitale deliberato dai soci di Aeradria nel 2012 nel corso di due assemblee, cadde nel nulla e così anche l’impegno che era stato assunto nei confronti di Carim al momento di chiedere il fido di 1.200.000 euro.

Ad un certo punto banca Carim insieme ad un gruppo di creditori di Aeradria bussa alla porta dei soci pubblici con una proposta forte: subentrare come azionisti, scambiando i crediti vantati con le quote nella società di gestione dell’aeroporto. Lo ha riferito nel corso del processo l’ex direttore di Carim Alberto Mocchi. Duplice l’obiettivo: dare continuità all’aeroporto e recuperare il recuperabile all’interno di un quando già compromesso. Ma i soci pubblici scartarono subito la possibilità di cedere il timone e la trattativa si fermò. Purtroppo collassò anche Aeradria e l’aeroporto di Rimini da quel momento non si è più sostanzialmente ripreso. Chi ha affossato Aeradria e con essa una infrastruttura fondamentale per l’intera provincia? Attendiamo di conoscere almeno tutta la verità processuale.

Come nascono le richieste di assoluzione per Maggioli e Formica
Manlio Maggioli, assoluzione per non aver commesso il fatto. Questa la richiesta contenuta nella requisitoria dei pm. Posizione da stralciare, quindi, quella dell’ex presidente della Camera di commercio di Rimini e in quanto tale socio di riferimento di Aeradria. Posizione che si era trascinata – per errore – a partire dalla imputazione dell’associazione per delinquere, venuta però a cadere nel 2017 a seguito della decisione del Gup del Tribunale di Rimini.
La richiesta di assoluzione per Mario Formica ha invece un’altra logica. Secondo la Procura, anche l’ex vicepresidente di Aeradria sarebbe stato ingannato in merito alla fondatezza dei crediti vantati nei confronti degli enti soci. Ingannato dai vertici di Aeradria, anzitutto. Ingannato anche dalle lettere di patronage e dalle rassicurazioni che presidenti della Provincia e sindaci che si sono succeduti formulavano nelle assemblee in aperto sostegno ad Aeradria.
Probabilmente un peso in questa ricostruzione della posizione di Formica l’ha avuto la consulenza tecnica di Mario Ferri, ribadita quando è stato ascoltato nel corso del processo lo scorso aprile: «Come amministratore Formica si trova in assemblea con il comune di Rimini socio che riconosce il debito. Il comune di Rimini, questo lo dico per mia esperienza personale, ha goduto sempre di una credibilità a livello nazionale. Penso che per Formica fosse praticamente impossibile poter negare questo debito assunto con la presenza diretta del comune di Rimini in assemblea. Se poi faccio riferimento alla lettera di patronage il discorso si aggrava perché la lettera di patronage che è stata a suo tempo rilasciata, io la ritengo equiparabile alla fideiussione perché ha caratteri indubbiamente forti». E Formica al processo ha ricordato che «Masini era solito all’apertura di ogni consiglio di amministrazione rappresentarci un po’ lo stato dell’arte, della situazione economico finanziaria e soprattutto precisava sempre che quello che ci riferiva era stato frutto di confronto con i soci della società. Quindi ci riferiva che quello che ci rappresentava, cose sulle quali noi eravamo poi chiamati a deliberare, era stato già frutto di confronto con i soci. Per cui noi non abbiamo mai avuto dubbi sul modus operandi e sulla sussistenza di questi crediti che lui ci rassicurava che sarebbero arrivati da parte dei soci. E come potevo pensare che la banca, e lo dico da imprenditore, che per darti i soldi vuole anche l’esame del sangue, in questo caso avesse dato tre milioni senza avere gli atti deliberativi a monte…». Se si aggiunge che Formica «non era un amministratore operativo», come ha documentato Mario Ferri e «non ha mai assunto compiti di programmazione finanziaria e concorso alla predisposizione dei bilanci», si arriva con una certa linearità alla decisione della Procura.

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