Come diceva la Gradisca, “me la vedo brutta”

Come diceva la Gradisca, “me la vedo brutta”

Prendete per esempio l’ultimo intervento dell’amministrazione su piazzale Kennedy, a marina centro. Intervento da inserire, secondo i proclami uffici

Prendete per esempio l’ultimo intervento dell’amministrazione su piazzale Kennedy, a marina centro.
Intervento da inserire, secondo i proclami ufficiali, all’interno della riformulazione complessiva, da gosplan sovietista anni ’20, di tutto il lungomare da Trieste a Oporto, pardon, da Torre Pedrera a Misano.
Sintomo d’un dirigismo che, se una volta era targato Marx e Lenin, adesso ci riprova col fondamentalismo ambientalista, a riprova che il lupo perde il pelo ma non il vizio.
Andando segnalata, a questo proposito, l’anedottica d’un giovanissimo Gnassi che, iscritto alla Fgci, qualunque fosse l’argomento in discussione alla fine se ne usciva sempre con: “Sì, va bé, ma la Palestina?”
Tanto che amici e compagni, a un certo punto, cominciarono a chiamarlo “Palestina”.
Ma al di là di reminiscenze simpaticamente giovaniliste, ciò che colpisce nel progetto Parco del Mare è un massimalismo ecologista semplicemente sostitutivo del dogmatismo terzomondista d’un tempo, senza nessun apprezzabile cambiamento di tono.
Perché, parafrasando il vecchio Fanfani (“Se uno è bischero, è bischero anche a vent’anni”), si potrebbe dire che, se uno è dogmatico a vent’anni, lo è anche a cinquanta.
Ragion per cui, altrettanto simpaticamente ma fondatamente, mi son permesso di ribattezzare la dizione “Parco del Mare” con quella sottilmente allusiva di “PACCO DEL MARE”.
Semplicemente per denunciare un rictus da centralismo burocratico incapace di tener conto, come sapeva fare il buon vecchio Pci, del tessuto di base della società civile: commercianti, albergatori, chioschisti, bagnini ecc.
I quali ultimi infatti hanno già detto che la cosa non gli interessa: e non si poteva sentirli prima, i bagnini, prima di venir fuori con la grandeur inutilmente faraonica del “PACCO DEL MARE”?
Che a questo punto rischia di collassare e frammentarsi in una serie di interventi da arredo urbano semplicemente trasferiti dal centro storico al mare.
Tutta qui la rivoluzione?
Il problema è che lo stesso Gnassi sembra preda di quella sindrome dell’uomo solo al comando che pervade oggi l’Italietta post-Mussoliniana del premier Renzi.
Sindrome pericolosa non tanto per i rischi di derive autoritarie (siamo il paese dell’operetta, governare il quale, diceva Lui caro Lei, più che impossibile è inutile), quanto perché l’autocrazia di Renzi e Gnassi non solo spegne l’opposizione, ma anche la propria classe di governo.
Ridotta a una compagnia di cavalier serventi (lasciamo stare nani e ballerine di berlusconiana memoria) senza spessore, capaci solo di obbedir tacendo, totalmente privi di cultura politica, schiacciati da un democraticismo zarista che ne mina la stessa efficacia amministrativa.
Ma non è circondandosi di esecutori e basta che si può giungere alla meta, se non altro perché neppure l’eroe eponimo delle saghe alla Romagna Mia può pretendere di sapere tutto lui, fare tutto lui e guai chi osa respirargli contro.
In forza d’un totalitarismo alla Raoul Casadei (piada, squaquerone e prosciutto) certamente inadeguato alla complessità sociale attuale.
Ecco perché (come diceva la Gradisca in piedi sui pavimenti a specchio del Gran Hotel felliniano) personalmente me la vedo brutta.
A livello sia nazionale che locale, ma soprattutto locale.

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