Fino al 1506 quel muro aveva davanti la spiaggia del mare, è sopravvissuto a guerre, invasioni barbariche, terremoti e tsunami. Ma sfregiato da un “writer” domestico che si crede libero di fare ciò che vuole. Ci sono città impegnate nel contrastare questo fenomeno. Cosa succede a Rimini, dove dal dopoguerra a oggi i beni culturali sono stati spesso martoriati? Il commento del prof. Giovanni Rimondini.
Fa male al cuore vedere un muro di 2292 anni, una parte del muro di Ariminum sopravvissuta sino a noi malgrado guerre, invasioni barbariche, terremoti e tsunami – fino al 1506 quel muro aveva davanti la spiaggia del mare – venire usata come un foglio di carta e ricevere una scrittura piuttosto infantile e senza senso, mal fatta, da parte di un “writer” domestico che si crede libero di fare quello che gli tira e poi vantarsene on line.
Il fenomeno in tutta Italia dal 2012 è in crescita, come si legge in Tag attack nelle metropoli, un articolo di “ansa.it” che illustra i provvedimenti pubblici per reagire alla “deriva vandalica” e la nascita di gruppi attivi contro il degrado urbano.
Nel comune di Milano un’unità operativa di 30 vigili urbani si è fatta carico del fenomeno delle “tag” o firme sui muri, da unirsi alle scritte e ai disegni, ed è riuscita ad individuare 1300 writer, che non sono solo ragazzini ma anche adulti e persino anziani. Il punto debole di questi soggetti è il bisogno di visibilità: sentono un irrefrenabile bisogno di far sapere on line le loro operazioni. E poi è facile preparare delle trappole notturne, come fanno a Roma. Ci sono, dicono i vigili milanesi, due tipi di writer: quelli intelligenti, educabili, che si persuadono dell’assurdità dell’imbruttire l’ambiente urbano e i “duri” che presentano caratteristiche ossessive e anche paranoiche, e che nel culto dell’“illegalità” sconfinano nel criminale. Non mancano poi i pericoli per i writer: cadute rovinose, folgorazioni, condanne a multe di molte migliaia di euro.
Certo che Rimini non è Milano. L’amministrazione comunale qui è stata diretta da un sindaco che si chiedeva “cosa vogliamo fare del ponte romano?”, un plurale maiestatis che significa: “cosa voglio fare”?; esattamente quello che un writer si chiede davanti a un muro. È implicito che la domanda “cosa voglio fare?” implica la convinzione: “a me tutto è permesso”. Al contrario la domanda legittima e corretta è: “cosa posso fare?” io sindaco, io writer del ponte romano e dei muri. E ovviamente anche cosa non posso fare. Né l’atteggiamento del sindaco ora in carica, a giudicare da come ha fatto cementare una rampa augustea del ponte romano, è cambiato da quello del predecessore. I detti sindaci di Rimini, e molti altri a partire dal finire della guerra, da Arturo Clari, che fece mettere le baracche dell’asilo svizzero sopra l’Anfiteatro, e subito dopo da Cesare Bianchini, che distrusse con le sue mani il Kursaal, sono politici che della cultura non si sono mai curati né si curano, non hanno mai amato né amano i Beni Culturali di Rimini, che distruggono senza pensarci. E Fellini? Sì, c’è stato un momento di fascinazione per un regista certamente famoso ma non geniale, che odiava Rimini – e aveva paura delle donne – al punto da denigrarla nello squallore dei film I Vitelloni e Amarcord, e all’improvviso tutto il centro storico è stato sacrificato all’esaltazione di Fellini.
I nostri poveri writer, paragonati a questi “politici” narcisisti e incolti, sono davvero dei poveri untorelli che nessuno si è preoccupato di istruire caso mai non fossero dei “duri” e potessero essere convinti a dirottare le loro energie creative, se ne hanno, in ambiti socialmente utili.
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