L’Anfiteatro romano dimenticato: ancora al loro posto le scritte vandaliche

L’Anfiteatro romano dimenticato: ancora al loro posto le scritte vandaliche

Negli anni '50 Mario Zuffa lo definiva “l’unico esempio parzialmente visibile di anfiteatro laterizio in tutta l’Italia settentrionale e uno dei pochissimi del mondo romano”. Ben consapevole di questo si occupò del restauro del bene monumentale e di far apporre un cancello per scoraggiare le incursioni notturne. Ma cosa è cambiato in quasi 70 anni? L'amara realtà e un'immagine di incuria scritta anche sui muri.

Correva l’anno 1958 e precisamente il 23 aprile, sul Resto del Carlino, nello spazio della Cronaca di Rimini dedicato ai lettori, si leggeva, tra gli altri, un intervento inerente allo stato in cui versava l’Anfiteatro di Rimini.
“Anfiteatro e vie d’accesso”, questo il titolo, lamentava il fatto che i turisti che giungevano a Rimini per ammirarne le bellezze storiche, non trovavano facilmente corrispondenza con ciò che la guida (cartacea) recitava in merito a quel monumento, ed al luogo stesso. Strade d’accesso poco praticabili di giorno e di sera, e scarsa illuminazione. Poi però il lettore rincarava la dose: «Come appaia al turista, poi, la visione dell’Anfiteatro romano non ha riscontro in nessun altro luogo d’Italia e all’estero. Un tempo – non lontano – si aveva avuto più cura per il luogo storico, ora non più». Infine concludeva auspicando i «provvedimenti del caso, da parte delle autorità competenti».
Sempre nello stesso quotidiano un articolo del 24 successivo, che disaminava i vari problemi che affliggevano il decoro delle zone sensibili soggette al turismo della città, non poteva non comprendere anche quello dall’Anfiteatro, per il quale indicava la necessità di «…creare, con opportuna sistemazione, l’intera zona archeologica dell’Anfiteatro, oggi completamente avulsa da ogni via di accesso ed occultata dal complesso del Giardino d’Infanzia Italo Svizzero». La narrazione proseguiva affermando che «…se altre città potessero gloriarsi di simili monumenti, saprebbero certamente valorizzarli con accorgimenti più idonei, pur di richiamare l’attenzione di forestieri, più e meglio di quanto non accade a Rimini, che trascura un monumento così insigne e vetusto». Questo l’antefatto, e negli atti presenti nella Biblioteca Gambalunga troviamo il seguito all’intervento giornalistico.
All’allora Direttore degli Istituti culturali del Comune di Rimini, nonché Ispettore Onorario della Soprintendenza ai Monumenti, Mario Zuffa, la cosa non sfuggì affatto. Il 26 aprile seguente scrisse alla redazione del giornale, premettendo la giustezza dei rilievi e pregando la Redazione di pubblicare il testo della missiva. In sostanza annunciava di avere ottenuto dal Ministero della Pubblica Istruzione un contributo di 2.000.000 di Lire per il consolidamento e restauro del monumento, quale “unico anfiteatro romano superstite in tutta l’Emilia, e …rarissimo esempio di opera laterizia di edifici del genere” e concludeva con la speranza di potere giungere ad istituire “un servizio fisso di custodia, a difesa dei vandalismi e per comodo dei visitatori”.
Il giorno 28 rese nota la questione al professor Guido Mansuelli, Soprintendente alle Antichità di Bologna, ringraziandolo per la relazione che gli aveva fatto avere, riguardante lo stato del monumento.
L’elaborato in parola descriveva una situazione di particolare gravità, con avvenuti crolli e le varie ingiurie degli agenti atmosferici; a ciò si aggiungeva il fatto che sia nel periodo bellico che successivo, l’area era divenuta di fatto una discarica di macerie. Si indicavano quali fossero stati gli interventi necessari per mettere il tutto in sicurezza, con misure che evitassero anche i vandalismi che nottetempo si perpetravano in quell’area, rendendola quindi alla dignità che meritava poiché “l’unico esempio parzialmente visibile di anfiteatro laterizio in tutta l’Italia settentrionale e uno dei pochissimi del mondo romano”.
Il 29 settembre 1958 la Soprintendenza di Bologna scriveva al Sindaco e allo Zuffa, comunicando l’imminente inizio dei restauri ed anche che, per proteggere il monumento “dal vandalismo purtroppo tuttora in atto”, sarebbe stato apposto un cancello di ferro dalla parte di Via Vezia; si chiedeva pertanto autorizzazione a procedere, ed un sopralluogo dedicato a tale fine, ottenendo poi entrambe le approvazioni il 2 ottobre successivo.
Nel dicembre seguente Margherita Zoebeli direttrice del CEIS, si rivolgeva al Comune per riscontare una comunicazione ricevuta il 14 novembre e indirizzata anche alla Soprintendenza di Bologna. Nella stessa, dal tenore contenuto nella risposta, ammetteva che, malgrado il suo divieto, l’anfiteatro era stato frequentato dai bambini guidati “da giovani insegnanti non al corrente di ogni usanza della scuola”, assicurando che ciò era cessato negli ultimi mesi. Ribadiva la fine di questa pratica segnalando però che le intrusioni avvenivano da parte di ragazzi di età maggiore.
Ma come è cambiato il sito archeologico, definito da chi ne aveva titolo e competenza “unico anfiteatro romano superstite in tutta l’Emilia, e …rarissimo esempio di opera laterizia di edifici del genere”, oppure “l’unico esempio parzialmente visibile di anfiteatro laterizio in tutta l’Italia settentrionale e uno dei pochissimi del mondo romano”, dopo ben 66 anni?
Il restauro è stato eseguito, e qualcosa fu fatto in seguito, ma il povero testimone culturale resta ancora inutilizzato, peraltro alla mercé di chiunque abbia la malsana intenzione di vandalizzarlo (qui), senza una recinzione che lo possa evitare, piuttosto abbandonato a sé stesso si direbbe, nonostante si sfalci l’erba.
Nessun presidio fisso come auspicato in passato, e – credo – neppure una di quelle telecamere installate qua e là sempreché attive; ma solo alcune plance in cui si può leggerne la storia ma non la malasorte. Resta difficile per un turista capire cosa gli appare una volta giunto sul posto, vedendo un edificio che sovrasta la parte scavata e che insiste sulla parte negata; oggi questa dimensione è una forzosa abitudine tutta riminese, certamente incomprensibile per coloro che visitano monumenti nelle città d’arte. E ciò nonostante tutti gli strumenti urbanistici emessi e susseguitisi nel tempo, ampiamente trascurati dai loro fautori. E in questo siparietto dilatorio, l’ennesima puntata: i sondaggi – di cui peraltro ancora non si hanno termini temporali ed operativi – per capire quello che già si conosce da anni, ovvero l’esistenza di strutture seppellite nell’area superiore.
Con buona pace di fondi da spendere al riguardo, molto più utili da dedicarsi alla sistemazione dell’annoso problema cittadino.

Ma intanto, chiacchiere a parte, il vandalismo perpetrato di recente è ancora presente nonostante la nostra segnalazione e in precedenza anche gli articoli della stampa quotidiana. In altri casi del genere, figuriamoci poi se fossero occorsi a cimeli felliniani, si sarebbe dato grande risalto sui mezzi di informazione locale, con grande ridda di commenti; e prontamente “chi di dovere” dopo l’indignazione di rito, vi avrebbe provveduto celermente.

In questo caso non è stato così perché nonostante il tempo trascorso dalle segnalazioni dell’accaduto, nulla è successo finora. Ma per pietà, del monumento, tralasciamo il suo stato di fatto, che lo vede transennato da improbabili visitatori e da piante infestanti le sua strutture murarie.
Sarà per il fatto che si attende qualche imprenditore locale che grazie all’Art bonus elimini quello scempio come è accaduto per il degrado del Tempietto di S. Antonio?
Basterebbe essere realmente solo un paesone della cultura, e non una capitale, lasciando perdere ambizioni al di sopra delle possibilità a cui ambisce una politica impreparata in tale settore.

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