Fellini conteso: Gambettola rivendica di essere all’origine di «tutto il sogno felliniano»

Fellini conteso: Gambettola rivendica di essere all’origine di «tutto il sogno felliniano»

Secondo i riminesi l'influenza gambettolese nel cinema del regista sarebbe limitata ad «una celebre sequenza di 8 1⁄2». Ma nel comune del carnevale la pensano molto diversamente e con la residenza dedicata alle arti del cinema, del circo e del teatro lanciano il guanto di sfida al carrozzone felliniano di Rimini. Su questi temi abbiamo intervistato un esperto, Miro Gori, che non solo sottolinea il «peso importantissimo di Gambettola in tutta l'opera di Fellini», ma dice la sua anche sul Fellini Museum, sullo stravolgimento dell'originario progetto relativo al Fulgor («riducendo le potenzialità di uno dei cinema più famosi del mondo») e sulla «esagerata» fellinizzazione del centro storico.

Secondo l’amministrazione comunale di Rimini, Federico Fellini sarebbe tutto riminese. Sulla mappa dei luoghi felliniani realizzata a Rimini (immagine sotto), accanto al nome di Gambettola viene indicata «la casa dei nonni paterni: è la cascina di campagna di una celebre sequenza di 8 1⁄2» (qui). Fine. Tutto il resto è Rimini: il Grand Hotel, il Fulgor, la palata, la casa in cui è nato (via Dardanelli), quella abitata con la famiglia a Palazzo Ripa, poi in Corso d’Augusto, in seguito a Palazzo Ceschina in via Gambalunga. E tanto altro. Ci è stata infilata anche “Fellinia”, la macchina fotografica realizzata da Elio Guerra (“Ferrania“), indicandola come atto di nascita nell’anno 1948, anche se così non fu, e che soprattutto versa in uno stato pietoso e meriterebbe un restauro vero.

E in effetti Rimini è Rimini, ma da Gambettola fanno la voce grossa. La sindaca Maria Letizia Bisacchi, va ripetendo ai quattro venti che nella casa dei nonni «è nato tutto il sogno felliniano» e che proprio nel casolare di campagna in via Soprarigossa 821, bisogna ricercare la «forte ispirazione per la creazione delle sue opere cinematografiche». Parole impegnative, a partire da quelle che indicano la genesi di «tutto il sogno felliniano» nel paese del carnevale e delle tele stampate a mano colpendole col mazzuolo, noto nei secoli col nome di «E’ Bosch», il bosco. Sta di fatto che a novembre è stata inaugurata Casa Fellini, «la casa dell’infanzia» di Federico, tornata a nuova vita come residenza dedicata alle arti del cinema, del circo e del teatro. Con meno di 500mila euro i gambettolesi si sono regalati una struttura funzionale e un luogo vivo di produzione culturale, nel senso che a movimentarla saranno le attività proposte da artisti in carne ed ossa desiderosi di mettersi alla scuola dei maestri. A Rimini la spesa è stata di 12 milioni di euro, i luoghi felliniani hanno invaso tutto il centro storico (con le ripercussioni di cui si discute da tempo sul Castello e su piazza Malatesta) e non sarà per niente facile mantenere in vita finanziariamente una cattedrale di questa mole e pretese con gli ingressi del pubblico pagante. Chissà quale delle due realizzazioni avrebbe più gradito il Maestro.
Rimini ha messo insieme i fastosi festeggiamenti per il centenario, «Fellini 100», che si sono snodati lungo due anni. Gambettola lo scorso gennaio ha celebrato il 102esimo compleanno di Federico dando l’impressione di non voler scomparire nel cono d’ombra di Rimini: «come è noto a tutti i gambettolesi, il grande Federico Fellini nacque a Rimini, ma fu concepito a Gambettola. A Gambettola Federico tornò per molte estati della sua infanzia a trovare i nonni, gli zii, le cuginette: quello che vide fu per lui fonte di meraviglia e di turbamento, si trasformò e ingigantì nella sua mente incline alla fantasmagoria, finì per popolare il suo immaginario cinematografico». Così recitava il comunicato stampa ufficiale del Comune di circa diecimila abitanti. Viene insomma rivendicata con orgoglio quella «galleria di personaggi, tutti estremamente felliniani e rigorosamente gambettolesi», che va dal figlio del Diavolo alla moglie di Toro Seduto, da Tarzan, fino al babbo Urbano e allo zio Domenico. Eppure anche chi non conosce nulla di Fellini avrà almeno una volta sentito nominare La mia Rimini, e non La mia Gambettola. Ma un passo alla volta.
A fornire le basi teoriche della centratura di Fellini su Gambettola è Gianfranco Miro Gori, ex sindaco di San Mauro Pascoli, che un ruolo non da poco ha avuto anche a Rimini nello studio, nella riscoperta del regista e in una miriade di eventi. Proprio lui nella celebrazione di Gambettola ha disquisito su «C’era la nonna Franzchina (Francesca Lombardini, ndr). Gambettola nei film di Fellini», spiegando dall’alto del suo magistero cinematografico che la magia del cinema di Fellini comincia a Gambettola, con il «fascino della campagna», per il giovane Federico «una scoperta straordinaria, uno scenario favoloso, un po’ magico». La nonna Franzchina, «che sembrava la nonna delle favole», dirà Fellini, e quella Gambettola che sarebbe «all’origine di tutto (o quasi) il suo cinema», come amano sottolineare gli amministratori comunali.
Miro Gori è considerato un navigato conoscitore del regista ed ha all’attivo circa quindici libri sul cinema, è stato (insieme a Farassino, Grosoli e Meldini) l’ideatore del “premio Fellini” assegnato a John Turturro nel 1994, fondatore e direttore per ventisei anni della Cineteca di Rimini, ha messo le mani nel pasticcio di Adriaticocinema, ha lavorato al primo progetto (di cui Gnassi non ha salvato nulla) di recupero del Fulgor, solo per ricordare qualcosa di lui. Accenna anche a quest’ultima vicenda nel suo recente Le radici di Fellini romagnolo nel mondo, edito da “Il Ponte Vecchio”, che già nel titolo amplia la prospettiva da Rimini alla Romagna: «Quando questo libro va in stampa, il comune sta portando a compimento le ultime fasi della ristrutturazione del cinema Fulgor, per ricavarne due sale cinematografiche, gli spazi per la cineteca e il Museo Fellini. All’inizio era previsto anche un corso di laurea breve in cinematografia poi caduto. Quest’impresa, che rimonta all’inizio degli anni Novanta del secolo scorso, dovrebbe essere condotta a termine nel giro di poco tempo». Il libro è del 2016, l’inaugurazione del cinema Fulgor del gennaio 2018 e del palazzo tutto intero nel dicembre del 2021, ma al di là di questo gli allestimenti di quegli ambienti si scoprirono ben diversi da come immaginati da Miro Gori. Ne parleremo fra poco.
Il volumetto si legge con piacere e permette di capire fra le altre cose che a Rimini e dintorni, fra gli anni 70 e 80, ci fu un’aria davvero frizzantina e ricca di idee ed eventi dal punto di vista culturale, che il presente nemmeno si sogna, lungo il filone che Gori chiama della «ri-valutazione, nel doppio senso di valutare di nuovo e attribuire maggior valore, della cultura romagnola». Molto lucido il saggio conclusivo di Piero Meldini sui rapporti fra Fellini e la sua città natale («dove capitava di rado e clandestinamente» ma con la quale si riconciliò con Amarcord, «una vera e propria dichiarazione d’amore alla città; un’esplicita, quasi orgogliosa professione di riminesità»), con pennellate non comuni su alcuni tratti distintivi di Rimini («una città dall’identità debole e scarsamente solidale») e dei riminesi.

«Gambettola sta lavorando bene» dice Miro Gori a Rimini 2.0. «Io penso di avere fatto tanto a Rimini su Fellini ma più di recente ho collaborato anche con Gambettola, che ha un peso importantissimo in tutta l’opera di Fellini, non lo dico io ma lo afferma lo stesso regista in tante sue dichiarazioni e lo attestano i suoi film».

Miro Gori.

Gori, quindi non c’è solo la sequenza di 8 1⁄2, come si sostiene a Rimini.
«Assolutamente no, c’è ben di più… gran parte del suo cinema è stato influenzato dalla esperienza gambettolese dell’infanzia, e d’altra parte anche freudianamente questo è più che giustificato. Fellini ha trascorso alcune estati dalla nonna e per lunghi periodi. I riferimenti costanti a Gambettola li troviamo sin dalle origini. Tullio Kezich ha ben spiegato, riassumo molto schematicamente, che il cinema di Fellini deriva dai ricordi urbani riminesi e dai ricordi campagnoli di Gambettola. Ed è la verità. La prima parte del cinema di Fellini, quella cosiddetta degli umili, della Strada, è tutta campagna, il borgo riminese non c’entra nulla. Il primo film in cui Fellini compare come attore insieme ad Anna Magnani, Il miracolo, è tratto da un episodio gambettolese che riguarda il castratore di porci. Ma potrei citare Luci del varietàLa StradaAmarcordI clown8 1⁄2, fino a La voce della luna. La campagna, la nonna Franzchina, figura davvero centrale, i guitti, i personaggi strambi… tutto questo e molto altro ci parla di Gambettola. Potrei aggiungere i tantissimi riferimenti fatti da Fellini a Gambettola che si possono leggere in Il mio paese (poi in La mia Rimini), Fare un film, o in interviste, ma l’elenco sarebbe lunghissimo».

Poi si sostiene che Fellini è nato a Rimini ma è stato concepito a Gambettola, dove sta la prova?
«La prova scientifica (sorride Miro Gori, ndr) non può esserci, ma si tratta di un dato verosimile, anzi quasi certo. I genitori di Federico, Urbano e Ida, abitarono a Gambettola nella casa dei nonni paterni fin verso la fine del 1919, poi si trasferirono a Rimini ma se si considera che Fellini nasce il 20 gennaio 1920, è chiaro che è stato concepito a Gambettola».

Nonna Franzchina l’azdora che valore ha avuto nell’infanzia di Fellini?
«Lo spiega bene, tra i tanti riferimenti che si potrebbero fare, la realizzazione di 8 1⁄2, il film che costituisce un momento di enorme crisi per Fellini. Si mette all’opera, investe, chiede ed ottiene le risorse finanziarie necessarie dal produttore, ma non riesce a fare nessun passo avanti perché gli manca l’idea. Oltre a realizzare i film a Fellini piaceva moltissimo andarsene in giro con le sue troupe enormi, come una sorta di circo Barnum itinerante. E comunque dopo aver speso un sacco di soldi e impiegato non poco tempo senza essere approdato a nulla, tanto da pensare al suicidio, la svolta arriva quando comincia ad essere ricostruito in studio il casolare della nonna. Fellini ha l’illuminazione: raccontare la storia di un regista che non riesce a fare il film. L’ispirazione scatta proprio davanti all’immagine del casolare, che porta con sé tutta una serie di aspetti magici della cultura contadina che tanto hanno significato nella vita di Fellini uomo e artista».

Comunque leggendo Le radici di Fellini romagnolo nel mondo ci si forma la convinzione che Rimini sia la patria di Fellini, non è così?
«Certo che è così, ed è diventato poi chiarissimo nell’ultima fase, cioè con la malattia, la morte e la sepoltura a Rimini. Così come nei luoghi dell’immaginario felliniano, a parte Roma, prima viene Rimini. Nei confronti di Rimini ha però sempre avvertito sulla propria pelle quel complesso del traditore di cui più volte si è parlato e scritto, perché Fellini ha avuto un rapporto molto conflittuale con la sua città natale e con i riminesi, se ne era andato e non amava ritornarci. Non gli è accaduta invece la stessa cosa con Gambettola».

Gambettola e Rimini dovrebbero lavorare insieme nel nome di Fellini?
«Lo vedo molto difficile, anche se io l’ho consigliato ai gambettolesi di trovare la strada per una collaborazione con Rimini, che però non so quanto sia interessato, avendo ormai tracciato il suo percorso, a mio parere anche un po’ discutibile…».

In che senso?
«Mi riferisco alla totale “fellinizzazione” del centro storico, mi è sembrata esagerata. Invadere anche la Rocca, senza entrare nel merito dei modi e delle forme, non l’ho trovata una scelta opportuna anzitutto dal punto di vista della politica culturale. E lo dico da felliniano in servizio permanente effettivo. Non so se Fellini l’avrebbe gradita».

Come valuta invece il progetto della Casa Fellini?
«Molto interessante e anche coraggioso. Finalmente la casualità di una nascita è diventata un elemento narrativo spendibile. Inizialmente sulla Casa c’erano varie ipotesi: la più semplice, ma a mio parere anche la meno coraggiosa, era quella di farne un ristorante puntando sulla cucina felliniana, impresa molto difficile perché Fellini non amava mangiare, gli interessava poco il cibo, e accanto realizzare una installazione museale a tema. Invece con la residenza per le arti del cinema, del circo e del teatro è stato avviato un percorso davvero interessante, ricco di prospettive che col tempo potrà diventare un riferimento ben oltre i confini di Gambettola».

Lei fu uno dei primi a lavorare intorno all’idea di un recupero del Fulgor, in un modo diverso però da come è stato concretizzato dalla giunta Gnassi, e pensando di dislocare il Museo non nel Castello ma in un altro luogo. Può dirci brevemente come andarono le cose?
«Il progetto era quello di puntare tutto sul Fulgor e sul Museo della città, una interazione molto sensata. Nacque, quando sindaco era Giuseppe Chicchi, dalla proposta di due architetti che individuava il Museo Fellini nel Fulgor. Era in effetti l’uovo di colombo. Quel progetto, che fu poi affidato all’architetto Annio Maria Matteini, a grandi linee prevedeva nell’edificio del Fulgor due sale, una grande e una più piccola, la sede della Cineteca e della fondazione Fellini, riunendo anche tutti gli archivi, previsti nel piano ammezzato, e ricavando inoltre uno spazio espositivo. La nuova ala del Museo della città, che è gigantesca, era invece pensata per il Museo Fellini. Tutto questo è stato completamente stravolto e ridotte le potenzialità del Fulgor, uno dei cinema più famosi del mondo».

Fotografia d’apertura: la “Casa Fellini” a Gambettola.

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