Il castello sotto assedio è ormai un caso nazionale, a Rimini Rufo Spina dice «troppo tardi piangere ora»

Il castello sotto assedio è ormai un caso nazionale, a Rimini Rufo Spina dice «troppo tardi piangere ora»

Lo storico dell'arte Roberto Manescalchi firma un articolo dal titolo «Il guitto (Federico Fellini) abusivo in casa del Principe (Sigismondo Pandolfo Malatesta)». E' un'altra voce che si leva. Il consigliere comunale di Fratelli d'Italia annota: «Rimini è una città strana». Si sveglia solo adesso?

«Rimini è una città strana», attacca Carlo Rufo Spina, consigliere comunale di Fratelli d’Italia. «Solo ora che i lavori di distruzione di Piazza Malatesta stanno volgendo al termine e l’ennesimo scempio è ormai consumato, una parte significativa della città si solleva e si accorge delle malefatte del Sindaco cattivo e dell’amministrazione incapace», spiega.
«…basta per favore con il guitto… giù le mani dal Castello» scrive lo storico dell’arte Roberto Manescalchi su stilearte.it. E il guitto è lui, il regista: «che Fellini sia stato un guitto lo testimonia, nel senso di aggettivo (persona che vive in condizioni di estrema miseria) e nel senso di sostantivo (teatrante di infimo ordine -ricordiamo la rubrichetta alla radio per Giulietta-) il suo amico di vita Alberto Sordi», prosegue. Nel pezzo non mancano i rimandi ai testi ma per chi lo preferisce c’è anche il video che arriva da lontano, in bianco e nero. Avanti. Procediamo per sintesi, perché poi ognuno potrà fiondarsi su StileArte e leggersi per intero il punto di vista di Roberto Manescalchi. «Eppure Sigismondo dimenticato e Federico sugli altari come si spiega? Sempre con “le leggi sulla stupidità umana” che nel frattempo è stato tradotto». Ma torneremo fra breve su qualche altro passaggio del suo intervento.

Riprendiamo il filo interrotto con Carlo Rufo Spina. Solo ora la città si sveglia dal letargo, era l’incipit. «Eppure il sottoscritto era partito in anticipo denunciando in piena estate 2020 la criminale manovra di cementificazione ed ennesima fellinizzazione di Castel Sismondo e della sua piazza, promuovendo nel settembre 2020 – come atto ufficiale e formale – il consiglio comunale tematico, poi svoltosi l’8 ottobre successivo, per la salvaguardia di Piazza Malatesta e la sospensione dei lavori come scritto nell’ordine del giorno allegato. Però come sempre accade quell’8 ottobre l’indignazione doveva essere non ancora sufficiente dato che tutto il Pd, forte dei suoi numeri, respingeva il mio ordine del giorno che avrebbe salvato sia Castel Sismondo, sia la Piazza, sia gli scavi archeologici». Di quella cronaca ci siamo ampiamente occupati.

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Aggiunge Spina: «Troppo tardi piangere ora dopo nove mesi. Chiudere la stalla quando i buoi sono ormai scappati. Si dirà che i lavori sono ulteriormente cambiati? Certo, ma quando sono queste le persone che gestiscono la città non ci si poteva aspettare di meglio, perchè la vasca in cemento armato c’era, la fontana/vasca c’era, e il rex c’era. Sapere che da proiezione diventerà istallazione cambia? Sì, cambia, ma cambia relativamente perchè tutti noi abbiamo sentito il ragionamento fatto dalla Sovrintendenza per autorizzare il progetto: il principio espresso dell’Autorità preposta al vincolo è pienamente rispettato anche con l’istallazione perché basta salvaguardare le strutture archeologiche sottostanti che non sono state intaccate. E allora torniamo a monte, ovvero al discorso iniziale: è il merito politico che conta e che deve contare in una città consapevole della propria storia e del proprio retaggio culturale: non il Tribunale, non la Sovrintendenza, non le denunce.
E’ Rimini che si merita di meglio!
E’ Rimini che si merita amministratori che la sappiano rispettare, restaurare e migliorare, e non gente che, in perfetta continuità col passato, la distrugga, la cementizzi e la brutalizzi.
Chi deve intendere intenda. Il prossimo ottobre è vicino!».

Rimini è una città strana. Se potesse, il primo a sottoscrivere sarebbe Federico Fellini. Memore del bidone (casetta sul porto). E probabilmente il sindaco continuerà come ha sempre fatto, filando dritto verso quello che si è messo in testa. Si è convinto che il Fellini Museum (mai presentato in consiglio comunale e alla città) sarà la svolta epocale per Rimini, per l’Emilia Romagna, per l’Italia, per l’Europa e per il mondo intero. E infatti stando attenti al labiale, si è colto nel faccia a faccia fra Mario Draghi e Biden al G7 che il premier ha rassicurato Joe: «Fellini’s Museum is ready. Don’t worry». L’altro è sembrato felice e rassicurato.
Per il sindaco in scadenza non contano piani strategici e regolatori (che infatti avevano pianificato di riaprire il fossato attorno al castello), o meglio contano quando sono strategici alla propria visione di Rimini. Poi frigna «sulla fatica del mestiere di sindaco», costretto a «rispondere di tutto: dai TSO ai fiumi che rischiano di esondare, a vicende di espropri vecchi di 30 anni, a simultanei rischi di abuso d’ufficio o omissioni d’atti d’ufficio o altro se firmi le tonnellate di atti riguardanti tutto e preparate dagli uffici». Che non pare essere proprio la casistica riminese, perché se si esclude il processo Aeradria (manco del fallimento della società di gestione dell’aeroporto devono rispondere gli amministratori pubblici della città che decidevano le sorti dello scalo?) il decennio non ha registrato chissà quali scossoni provocati dalle inchieste giudiziarie. Anzi, ci sono esposti scottanti per ora in sonno.

Ma chiudiamo il capitolo dei sindaci che passano e riaccendiamo un faretto sullo storico dell’arte. Il titolo merita: «Il guitto (Federico Fellini) abusivo in casa del Principe (Sigismondo Pandolfo Malatesta)». Nota Manescalchi che «oggi il castello del principe è occupato impropriamente da quelli che Rimondini definisce a buon titolo i “ciaffi di Fellini”. Non contento il primo cittadino di Rimini sembra aver partorito un’idea geniale: Una enorme prua che richiama quella del transatlantico di Amarcord verrà piazzata davanti alla rocca». Sembra aver colto le manie di grandezza di Gnassi e ne accarezza l’ego: «Faccia uno sforzo Sindaco lasci perdere il Rex… faccia partorire ai suoi scenografi un enorme, felliniano e grasso culo nudo gonfiabile. Lo faccia ancorare alla enorme massa muraria del castello. Annichilisca Boullée e Ledoux e faccia si che quel cupolone sia: “Structura sì grande, erta sopra e’ cieli, ampla da coprire chon sua ombra tutti e popoli di Romagna” e parafrasando l’Alberti del De pictura… passerà alla storia come Brunelleschi lui con la cupola lei con un simbolo di Fellini».
Ma conclude: «Ovviamente, va da se, che a me per Fellini parrebbe sufficiente il chioschetto che riproduce la macchina fotografica della Ferrania. Era nella rotonda di Piazza Tripoli… C’è sempre? Riservate al regista una stanza al Grand’ Hotel se il chioschetto non c’è più, ma basta per favore con il guitto… giù le mani dal Castello».

Quella di Roberto Manescalchi è solo l’ultima, in ordine cronologico, cartuccia sparata da voci esterne alla città per richiamare l’attenzione su quanto sta accadendo al castello di Rimini. Patrimonio storico, culturale e artistico dell’Italia e del mondo. Tommaso Montanari, Vittorio Emiliani, rappresentanti del mondo accademico, della cultura, delle istituzioni, riminesi e non, chiedono al sindaco di fermarsi. C’è uno spazio per il circo e uno per i beni culturali, ogni cosa a suo tempo e al suo posto. Piazza Malatesta non è uno chapiteau con la pista circolare di segatura e il castello non è Cinecittà.

Il guitto (Federico Fellini) abusivo in casa del Principe (Sigismondo Pandolfo Malatesta)

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