«Il Ceis vale un anfiteatro»: il sindaco fa la frittata

«Il Ceis vale un anfiteatro»: il sindaco fa la frittata

Jamil Sadegholvaad si è spinto dove i suoi predecessori non erano mai arrivati (pur avendolo probabilmente pensato). Ma è desolante che il primo cittadino "di tutti", in presenza di vincoli, impegni e promesse disseminate lungo 70 anni, ma anche di esiti di verifiche puntuali condotte dai propri uffici, se ne esca con queste dichiarazioni.

Il Ceis “vale un anfiteatro”. L’avrebbe detto il sindaco in carica, Jamil Sadegholvaad, secondo quanto riferisce Newsrimini, intervenendo alla prima proiezione del documentario “Lo spazio che vive”, dedicato appunto all’asilo italo-svizzero, prodotto dal Gruppo Icaro, Ceis e Fondazione Margherita Zoebeli. In sala tutta la schiera dei massimi rappresentanti del Pd nelle istituzioni, dal primo cittadino alla vicesindaca Chiara Bellini, dall’ex sindaco Andrea Gnassi alla presidente dell’assemblea legislativa dell’Emilia Romagna, Emma Petitti, a tutti i vertici del Ceis, il direttore del Ponte Giovanni Tonelli e tanti altri. Riproduciamo l’intera frase: «Il sindaco ha detto che il Ceis “vale un anfiteatro”, in riferimento all’ipotesi che ciclicamente torna in primo piano di spostare il centro per consentire un recupero completo dell’anfiteatro».
La dichiarazione è sconcertante e illuminante allo stesso tempo. Perché nel corso degli anni sia le amministrazioni comunali che i responsabili del Ceis si sono barcamenati di volta in volta nel sostenere che il problema del mancato spostamento dell’asilo fosse da ricercare nei costi e nella mancanza di location idonee. Invece il sindaco ha fatto cadere il velo della ipocrisia e ha dato voce al vero e profondo sentire della classe dirigente di questa città: il Ceis vale un anfiteatro. Un anfiteatro, fra l’altro, non l’anfiteatro. Quello, unico e insostituibile, di Rimini.
Alla faccia dei vincoli (“è proibito fare qualsiasi costruzione”) a tutela dell’area archeologica, degli impegni presi dai sindaci che si sono succeduti (già Walter Ceccaroni nel 1969 metteva per iscritto la volontà di trasferire la sede del Centro Educativo Italo-Svizzero in un’altra ubicazione diversa dall’attuale), delle sollecitazioni venute dai diversi soprintendenti a liberare l’area archeologica, dai ministri e dai sottosegretari, ed anche alla faccia della relazione dell’ufficio edilizia del Comune di Rimini stilata dopo il sopralluogo svolto nell’estate del 2018 che aveva portato ad identificare “l’assenza di titolo” per numerose costruzioni edificate nel corso degli anni.
Non entriamo nel merito del Ceis e della sua valenza educativa, non avendola mai messa in discussione. Ma è desolante che un sindaco, in presenza di vincoli, impegni e promesse disseminate lungo 70 anni, ma anche di esiti di verifiche puntuali condotte dai propri uffici, se ne esca con queste dichiarazioni. Dal sindaco di tutti i cittadini, che aveva promesso di aprire «una pagina nuova per Rimini», che in ogni caso ha la responsabilità di esercitare le funzioni che gli sono attribuite dalle leggi, questo atto di fede che mette sullo stesso piano una esperienza educativa privata (che poteva avere un senso in quel luogo nel dopoguerra ma non oggi) con un monumento culturale della Rimini romana – che gli esperti collocano nella scia dell’Arco di Augusto e del ponte di Tiberio – suona come una stecca. Si prenderà gli applausi degli estimatori del Ceis ma non certo quelli, e sono tanti, che vorrebbero vedere riconsegnato alla città, all’Italia e al mondo, l’anfiteatro romano.

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