Il delitto del podestà, la multa rifilata dai bolognesi e il manifesto della libertà: l’Arengo parla con le epigrafi

Il delitto del podestà, la multa rifilata dai bolognesi e il manifesto della libertà: l’Arengo parla con le epigrafi

Continuando a leggere la storia di Rimini dai muri di chiese e palazzi siamo arrivati al “Palatio Comunis”. Nell'anno del Signore 1204... A guidarci sempre lui, il prof. Rimondini.

Dopo avere parlato dell’Antica Pescheria prima di accomiatarci, Gianni mi accenna a due epigrafi che, come sempre, hanno qualcosa di singolare da narrarci. Si riferiscono all’Arengo e mentre la prima è ancora murata nel pilastro centrale del palazzo, la seconda è conservata nel Museo della Città.
Ci diamo appuntamento di lì a poco davanti l’Arengo ed ecco l’epigrafe dinnanzi a noi; veramente mi aspettavo qualcosa di più imponente, ma Gianni mi dice che è comunque importante.

A(NNO) D(OMINI) MCCIIII.TE(M)
PORE D(OMI)NI MADI
I ARI(MN)I POT(ESTATIS)
H(OC) OP(US) FAC
TU(M) EST

Nell’anno del Signore 1204 al tempo del podestà di Rimini Madio fu fatta quest’opera.

Gianni, a cosa si riferisce il testo dell’epigrafe?
«E’ un’epigrafe del 1204, era sotto una trave del salone dell’Arengo e ricorda l’anno di fondazione dell’Arengo e il podestà bolognese Madio de Carbonesi che lo fece costruire. Tuttavia il Tonini nella sua Storia di Rimini al volume III, asserisce che tale evento ebbe compimento ben più tardi; ancora in quell’anno il Consiglio si teneva ancora in Santa Colomba, la cattedrale di Rimini, e solo nel 1207 si teneva in “Palatio Comunis”. Sempre lo stesso autore poi ci dice che nel marzo del 1206 è ricordata la campana del Comune, al suono della quale fu convocato il Consiglio, e che a quella data fosse quindi già compiuta anche la torre».

Chi era Madio Carbonesi?
«Madio proveniva da una famiglia nobile bolognese, ma pare originaria del ravennate ed in seguito conobbe un certo primato in Bologna, tanto che sin dai primordi della repubblica bolognese salirono ben quindici volte al consolato e ventidue volte assunsero la carica di rettori di città (notizia trovata qui). Gli storici bolognesi hanno studiato i loro personaggi; vai a vedere nel sito della Biblioteca Archiginnasio di Bologna, e troverai i loro stemmi gentilizi.»

«Si tratta di uno stemma “parlante”, cioè illustra il cognome, perché presenta sei carboni accesi: Carbonesi appunto.»

Prima mi accennavi al fatto che fece una brutta fine …
«Sì Salvatore. Quello che ricordo di Madio dei Carbonesi è che, finito il suo anno di podesteria – gestiva il potere esecutivo sotto il controllo dei notabili – mentre tornava a Bologna, venne assalito e ucciso.»

Chi fu l’autore del delitto?
«Da chi non si seppe, se ricordo bene. Si può congetturare che fu ucciso da qualcuno che aveva multato, imprigionato o mandato in esilio, dato che aveva il potere per farlo. Ma i Bolognesi, stimolati dagli eredi di Madio ritennero responsabile il Comune di Rimini, che per evitare guai decise di pagare una multa e rifondere i danni dei beni rubati a Madio. Sempre nel predetto testo del Tonini, si legge che ciò avvenne da parte di Alberto da Casale Podestà di Rimini nell’aprile del 1206, promette per conto del suo Comune amministrato, piena osservanza ai precetti d’Isacco da Dovara Podestà di Bologna intorno all’uccisione di Majo de’ Carbonesi»

Ma torniamo all’Arengo, si conosce chi fu l’autore del progetto?
«Il nome non lo sappiamo. Possiamo pensare che sia stato un monaco lombardo cistercense, della famiglia benedettina che portò in Italia l’arte gotica. Vedi che il portico ha delle ogive o archi a sesto acuto, mentre le grandi finestre sono in stile romanico con archetti a tutto sesto, rifatte negli anni ’20 del ‘900 dall’architetto Gaspare Rastelli (1867-1943) dopo che il terremoto le aveva rivelate – le parti figurative dei capitelli sono originali -. Bisogna pensare che questi monaci architetti, ai quali si deve riferire anche la chiesa di S. Agostino di circa mezzo secolo dopo, erano piuttosto bravi. Vedi come l’asse dell’Arengo è parallelo ai cardini della “forma urbis” del III secolo avanti Cristo, e l’asse di S. Agostino è perfettamente parallelo al decumano; l’architetto monaco se ne era accorto, e non doveva essere facile ricostruire la perfetta geometria delle strade romane. E poi ci sarebbe da notare anche quel mescolarsi di vecchio e nuovo, romanico e gotico, non ti ricorda un’altra chiesa così bipolare?»

Come no? il Tempio Malatestiano che è gotico e rinascimentale, come se a Rimini non si volesse abbandonare il vecchio pur accogliendo il nuovo.
«Bravo Salvatore. Questo compromesso col vecchio che faccia parte del carattere riminese?»

Secondo me Gianni occorre distinguere il carattere riminese a seconda dell’epoca. I monumenti citati ci hanno tramandato degli ottimi esempi di armonia e convivenza tra “il vecchio e il nuovo”, ma soprattutto evidenziano il rispetto per ciò che si trovava in precedenza, dovuto alla cultura e alla conoscenza della storia nonché dell’arte, da parte di chi realizzava quelle opere. Poi invece, e specie in un recente passato, abbiamo assistito ad una sgangherata forzatura tra i due elementi, frutto di improvvisazioni estemporanee da parte di chi non aveva quelle peculiari conoscenze, ma neppure si è sforzato di avvalersi di coloro che avrebbero potuto evidenziarle e fargliele comprendere. Ed ecco così i tanti tristi e dozzinali esempi sparsi per la città, propinati per riqualificazione culturale. In sintesi una continua “riminizzazione”.

Ma parliamo della seconda epigrafe che si trova nel Museo della città, che non è intera ma tuttavia esplicita, e Gianni mi mostra una fotografia.

[…] ERIT IN PREFATA CIVITATE AC
EJUS SUBURBIIS NOMINE CIVIS, ET IN COMUNI CONCIONE SEU CONSILIO
HABITACIONEM PREDICTE URBIS JURAVERIT, ET PER ANNUM ET
DIEM UNUM STETERIT, ET DOMINUS EJUS NON CONTRADIXERIT VEL
NON REQUISIERIT, DE CETERO EUM AB OMNI JUGO SERVITUTIS, SEU
HOMINII AC HABITACIONIS ABSOLVIMUS, ET LIBER ET INGENUUS CIVIS
IPSIUS URBIS DE CETERU ESSE DECERNIMUS. EXCEPTAMUS ET SERVOS
ET ANGARIALES AC HABITATORES NOSTRORUM CIVIUM, QUI MODO
SUNT VEL IN ANTEA ERUNT, ET SEMPER ET COTIDIE IN EA CIVITATE
PERPETUO HABITANT, ET NOBIS COLLECTAM DANT SEU IN ANTEA DABUNT.

“[…] SE IL SERVO] SARÀ NELLA PREDETTA NOSTRA CITTÀ E NEI SUOI BORGHI COL NOME DI CITTADINO, E IN PUBBLICA RIUNIONE O CONSIGLIO AVRÀ GIURATO DI AVERE UNA CASA, E VI AVRÀ ABITATO PER UN ANNO E UN GIORNO, E IL SUO PADRONE NON AVRÀ FATTO OPPOSIZIONE O NON L’AVRÀ RICHIESTO, PER IL RESTO LO ASSOLVIAMO DA OGNI GIOGO DI SERVITÙ, O DI DIPENDENZA PERSONALE, E DI RESIDENZA COATTA, E DECRETIAMO CHE SIA LIBERO E INGENUO CITTADINO. ESCLUDIAMO PERÒ DA QUESTE DECISIONI I SERVI E QUELLI CHE HANNO OBBLIGHI PERSONALI O SIANO FISSATI ALLA GLEBA DI NOSTRI CITTADINI, CHE ORA SONO O IN FUTURO SARANNO NOSTRI CITTADINI, E ABITANO O ABITERANNO SEMPRE E OGNI GIORNO NELLA NOSTRA CITTÀ, E PAGANO O PAGHERANNO LE NOSTRE TASSE.”

«Sulle pareti dell’Arengo c’era poi l’epigrafe della Libertà, oggi conservata in museo. Un servo della gleba, fuggito dal suo signore feudale, che fosse riuscito a vivere un anno e un giorno a Rimini, veniva considerato un libero cittadino; così in sintesi recita.»

Una cosa fantastica Gianni, sembra proprio che Rimini in quei tempi fosse all’avanguardia a proposito dei diritti umani…
«Aspetta Salvatore, fermati. Ma anche qui c’erano delle forme di compromesso col vecchio: erano esclusi i servi dei Malatesta, dei Carpegna, dei Montefeltro e altri, tanto che il provvedimento sembrava invalidato dalle eccezioni.»

È proprio vero che la storia si ripete; sempre. Anche allora esistevano favoritismi che persistono tutt’oggi, e che fanno la differenza tra le persone componenti la stessa comunità.
Saluto Gianni; altre epigrafi dell’Arengo ci attendono per narrarci altre storie interessanti, come vedremo in seguito.

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