Il mercato (coperto) dei progetti irrealizzati

Il mercato (coperto) dei progetti irrealizzati

Nel 1959 sbucò all'improvviso una nuova proposta di iniziativa privata: un fabbricato spartano, esteticamente molto discutibile e, a differenza del precedente datato 1926, addossato al Tempio Malatestiano. Nemmeno questo andrà in porto, ma la pessima idea di costruirlo affiancato al capolavoro dell'architettura rinascimentale e all'ex convento di S. Francesco diventerà realtà negli anni '60 e mantenuta anche nell'opera affidata a Renco.

Dopo avere scoperto il progetto del Mercato Coperto che un’iniziativa privata, poi finita nel nulla, intendeva realizzare nel 1926 (qui) proseguiamo la storia di questo edificio commerciale in cammino fino ai giorni nostri. Però prima di giungervi, vi furono altre importanti tappe intermedie che conosceremo; e lo faremo tramite i documenti della Busta b.07.1571 conservata presso l’Archivio di Stato di Rimini.
Mentre la soluzione, poi irrealizzata, del 1926 a parità di proponente privato ricercava una certa qualità estetica e di decoro, quella che vedremo appartiene al più squallido brutalismo architettonico. Inoltre la prima era pure rispettosa del vicino Tempio Malatestiano e dell’area storica che lo circondava, al contrario delle successive soluzioni appiccicate al monumento. Prima ancora, nel progetto di ricostruzione del quartiere Via Castelfidardo del 1947 l’area destinata al mercato era unica e coincidente con l’attuale.

Il progetto datato 16 agosto 1947.

In seguito con la Variante al Piano di Ricostruzione del quartiere Castelfidardo del 9 giugno 1949, si pensò di suddividere in due aree le sedi deputate alla vendita: l’ortofrutta nel Piazzale Gramsci e il pesce nella sede attuale.

Variante approvata con D.M. N°1172/2894 in data 9/6/1949.

Inizieremo la storia grazie ad un articolo del Resto del Carlino del 20 novembre 1959 a firma di Mario Macina, allora membro del Consiglio Comunale e capogruppo consigliare del P.S.D.I., che nella pagina della cronaca cittadina scriveva sarcasticamente e a ragione, di apprendere da fonti giornalistiche, e non istituzionali, “la prossima realizzazione di una grande tanto attesa opera di interesse cittadino: la costruzione di un nuovo Mercato Coperto nell’area di S. Francesco per la vendita di prodotti ittici e ortofrutticoli”. Lamentava però il fatto che non si era al corrente di concrete trattative in corso con un soggetto privato, affinché tramite un progetto di 300.000.000 di Lire venisse costruita e gestita la struttura, e che l’affare fosse in dirittura di conclusione. Biasimava quindi che, contrariamente a quanto accaduto per altre minori operazioni, la Giunta non aveva assolutamente interpellato il Consiglio comunale. Proseguiva poi stigmatizzando il fatto che “se tutte, o quasi tutte, le Amministrazioni comunali, siano politicamente di destra, di centro o di sinistra, gestiscono direttamente i mercati, e per delicatezza del servizio che non suggerisce cessioni ai privati, e perché tali gestioni sono largamente attive e fonte di sicuro reddito per le finanze comunali…”. L’articolo continuava elencando gli aspetti, a suo dire, contrari all’interesse pubblico, indicando alternative tanto da affermare: “Anche in questo campo, signori della Giunta, ci vogliono provvedimenti coraggiosi che diano valore sostanziale alla parola democrazia”. In effetti si palesava un’operazione apparentemente avvolta nella nebbia della politica dato che, come vedremo, i documenti di una certa valenza decisionale recavano tutti una data antecedente al succitato articolo.
La fonte giornalistica da cui Mario Macina aveva appreso la notizia, di cui – come tanti altri – si dichiarava all’oscuro, era stata in realtà messa in pagina nel mensile Corriere di Rimini, del 31 ottobre 1959.

L’articolo, che annunciava l’imminente realizzazione del Mercato Coperto, era impostato in una indiscutibile forma enfatica, con affermazioni del genere: «Felice soluzione per un’opera di assoluta necessità e urgenza»; ma anche nel sottotitolo: «Il progetto Mariotti può assicurare alla città un complesso di servizi degni di una città che si appresta a divenire una delle maggiori d’Italia. Solide garanzie per un’ottima riuscita. Le trattative in corso col Comune garantiscono da ogni sfruttamento monopolistico privato…». Frasi che costituivano solo la premessa di un pomposo scritto incensante sia a gloria del personaggio che della sua iniziativa.
Ma allora già doveva esserci un certo dibattito in merito, perché in fondo al “pezzo” si legge che un altro mezzo d’informazione, Il Messaggero, in un articolo di pari oggetto sosteneva che l’investimento di 300.000.000 di Lire era eccessivo, quando ne sarebbero bastate solo 50.000.000; pochi, incalzava il Corriere “per un mercato che deve servire una città ormai prossima ai 100 mila abitanti!”.
Nella rubrica “La voce ai lettori” del quotidiano in cui il Macina esternò la sua obiezione sulla validità dell’operazione, e per come era stata condotta, un lettore scrive sostanzialmente quel che segue.
Dimostra gratitudine verso il Macina per avere reso nota la questione, e specie alcuni articoli della Convenzione in attesa di delibera, che lasciano perplessi. Pur riconoscendo il fatto che un imprenditore agisca a proprio vantaggio per l’investimento che andrà ad attuare, ritiene però che esso debba essere sempre contenuto nella misura equa trattandosi di un’opera pubblica. Poi aggiunge che quegli articoli presentano tanti sospetti di “egemonia monopolistica”.
Questo il preambolo, ma ora arriviamo al fatto.
Una lettera del Comune di Rimini all’allora proponente Comm. Mario Mariotti, non si sa se per proprio conto o in nome di qualche società, del 4 febbraio 1959, data di ben lungi antecedente il predetto articolo di stampa, avente ad oggetto “Trattative per ampliamento sede mercato coperto”, narra di un incarico conferito al futuro candidato concessionario nella giornata precedente, autorizzato a trattare i rapporti della situazione riferita all’area in questione, per gli aspetti che coinvolgono il rapporto tra il Comune ed il Capitolo della Cattedrale. Prosegue precisando che si era saputo che l’interessato aveva già per suo conto raggiunto un accordo di massima, per cui lo si invitava a produrre uno schema preliminare…, “per la successiva, regolare stipulazione del contratto…”.
Ma intanto, evidentemente convinti dell’operazione, il Sindaco di allora, con missiva del 1 agosto 1959 Prot. 12743, convocava gli assessori coinvolti a vario titolo, allo scopo di intervenire ad una riunione in merito.

IL PROGETTO
Ma com’era questo progetto? Orribile, inadatto, lesivo di ogni minimo senso estetico, e profondamente dannoso al contesto dell’intorno al Tempio Malatestiano; e lo apprendiamo dalla scarna Relazione Tecnica accompagnatoria – si badi, di una sola paginetta per un’opera tanto importante – prima ancora che dalle tavole progettuali.
La parte principale, di vendita al minuto, si prevedeva venisse realizzata con una struttura portante verticale reticolare in acciaio ed una doppia copertura a due falde, di pari materiale, chiusa con lastre ondulate di cemento–amianto, “frammiste a lastre ondulate di materiale plastico trasparente”. I negozi, nelle parti perimetrali erano in realtà dei box attrezzati con le dotazioni essenziali, e l’impianto fognario avrebbe scaricato nella sottostante famosa Fossa Patara. Poi si descriva la fattura dei banchi, nella loro forma e natura del materiale impiegato.

Veduta tridimensionale del Mercato Coperto.

Prospettiva interna del Mercato Coperto, con a lato le file di negozi.

La pianta del Mercato Coperto. Nel corpo di fabbrica centrale la suddivisione dei banchi tra quelli per la vendita al minuto del pesce, a sinistra, mentre a destra gli altri dedicati al commercio di prodotti ortofrutticoli e pollame. A sinistra sulla via Michele Rosa, il fabbricato del Mercato del pesce all’ingrosso.

Nel cartiglio dell’Elaborato n.3 del progetto, primeggiava la seguente affermazione a corredo: “le grandiose e luminose corsie per la vendita dei prodotti. Costruzione in acciaio zincato e copertura con lastre ondulate di plastica traslucida” (sic!).

Elaborato n. 1 del giugno 1959 con indicata l’area di intervento e la pianta della copertura. Si noti l’assurdo accostamento tra il capannone ipotizzato ed il vicino Tempio Malatestiano.

Elaborato n. 1 del giugno 1959 con indicata l’area commerciale di vendita.

Elaborato n. 5 del giugno 1959 con indicate le sezioni e i prospetti.

Il giorno 11 luglio 1959 il Comune di Rimini acquisiva la bozza di convenzione dal titolo “Presentazione Mario Mariotti”, nella quale erano fissati tutti i termini dell’accordo quali, tra gli altri, gli aspetti progettuali, la durata della concessione pari a 30 anni e, nell’allegato “1”, i canoni di affitto mensili che variavano a seconda dell’attività merceologica, differenti da banco a negozio.
Ma a questa assurdità si aggiungeva un ulteriore paradosso: l’idea di posizionare nella parte dell’area prospicente con la via Michele Rosa, il mercato all’ingrosso dei prodotti ittici; avete capito bene? Figuriamoci quale via vai di automezzi pesanti avrebbe interessato quella zona già di per sé tanto frequentata. La struttura, che in seguito vedremo meglio nel dettaglio progettuale, si intendeva dare in concessione di costruzione e gestione alla Cooperativa Lavoratori del Mare.
Il verbale dal titolo “Riunione per trattative costruzione del mercato coperto” del 11/10/1959, redatto a seguito della stessa cominciata alle ore 16:15, chiarisce molti aspetti ma non tutti.
In quella sede erano presenti, oltre il Sindaco, gli assessori Gentilini, Muratori, Anticoli e Diotallevi; partecipe, ovviamente, anche il commendatore Mario Mariotti.
Nella circostanza emerge che nell’eventuale affidamento al Mariotti della costruzione del mercato coperto, si dovranno fissare i termini precisi. Inoltre lo stesso dovrà definire i rapporti che saranno necessari con la Cooperativa Lavoratori del Mare, a cui verrà affidata la costruzione del mercato del pesce all’ingrosso.
Il Mariotti in quella sede esibisce una lettera della BNL con la quale vanta la disponibilità dell’istituto bancario a concedere un finanziamento dell’operazione, a patto che in contropartita ottenga una ipoteca sull’area; di proprietà comunale, pubblica quindi (!). Lo stesso poi afferma che in mancanza di quel finanziamento, ovvero l’accettazione della clausola, non può intraprendere l’operazione.
Ma emerge un altro fatto importante. La Cooperativa si trova in difficoltà economiche, per affrontare il costo degli espropri degli immobili presenti nella zona di sua competenza. Ma l’assessore Diotallevi propone di affrontare quella spesa in quota parte in percentuale tra la superficie di ognuno dei due soggetti che dovranno intervenire. Paventando che, in caso contrario, l’onere esclusivo ricadrebbe inevitabilmente sul prezzo del pescato e, quindi, del consumatore finale.
Nel finale il Sindaco preme affinché il Mariotti giunga al termine eseguendo le pratiche di espropriazione, a suo carico, con la richiesta di quest’ultimo purché i valori degli immobili fossero stati stabiliti dall’Ufficio Tecnico Comunale.
A questo punto su richiesta del Sindaco, il proponente Mariotti dichiara di poter realizzare l’opera completa nell’arco di un anno dalla data della firma della Convenzione. Tempistica verosimile, data la puerile banalità del progetto.

IL MERCATO DEL PESCE ALL’INGROSSO
Come accennato, il progetto del 14 agosto 1959, a firma dell’ingegnere Sergio Fabbrini, aveva l’accesso principale da Via Michele Rosa come si evince dalla planimetria.

Planimetria.

Il piano terra.

Come poi risulta dalla pianta del piano terra, era fornito di tutto quanto occorreva e della organica logistica, compresa pure la tribuna per ospitare i commercianti che avrebbero partecipato alle aste.

Prospetto su Via Michele Rosa.

Sezioni con in evidenza la tribuna dei partecipanti all’asta.

Veduta prospettica del Mercato all’ingrosso del pesce, su Via Michele Rosa.

GLI ESPROPRI
Nella parte prospicente la Via Michele Rosa, al contrario del resto dell’area, esistevano alcune proprietà immobiliari private, che si necessitava di acquisire per unirle all’area già di disponibilità pubblica.
Nel piano particellare di esproprio, tra terreno e fabbricati, l’Ufficio tecnico comunale stimava un importo pari a Lire 11.179.573.

Anche in questo caso non si conosce il motivo per cui – fortunatamente – l’operazione non giunse al termine; non sono stati trovati documenti in proposito. Sarebbe stata una operazione inspiegabile dal punto di vista estetico e finitimo al Duomo, e come accennato apparentemente avvolta nelle nebbie della politica, ma di certo avrebbe costituito l’ennesimo colpo messo a segno dalla corrente riminizzatrice, che tanto fece in quel periodo, lasciando ancora fino ad oggi tanti esempi e seguaci. Una sorta di gravame al quale, per malasorte, la città pare destinata.
Cosa successe in seguito? Ne parleremo nella prossima puntata.

2-Continua

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