Il nostro caffè letterario: un’aroma di classe nella storia di Rimini

Il nostro caffè letterario: un’aroma di classe nella storia di Rimini

Si completa l'affresco che ha al suo centro la famiglia di “caffettieri” Vecchi, che gestirà per quattro generazioni fino al secondo dopoguerra il Caffè della Fontana col nuovo nome di Caffè del Commercio, e più tardi la Pasticceria Vecchi. Agli inizi del '900 fa la sua comparsa l'espresso. Nel primo dopoguerra diventa punto d'incontro per Futuristi nostrani e Dinamisti. Elegante e in grado di soddisfare i gusti più raffinati (in vendita anche la mostarda romagnola al cedro), ospita mostre ed esposizioni. E finisce in un celebre sogno di Federico Fellini.

La gestione del Caffè del Commercio di Bonifacio Vecchi 1852-1876
Appare a metà Ottocento la famiglia di “caffettieri” Vecchi, che gestirà per quattro generazioni fino al secondo dopoguerra, il Caffè della Fontana col nuovo nome di Caffè del Commercio, situato, come sappiamo, al pian terreno della Casa Galli e più tardi la Pasticceria Vecchi.
Bonifacio Vecchi, il primo, è nato a Forlì nel 1805; figlio di Santa Treossi e di Francesco “industriale”, ha sposato Teresa Luciani, e ha due o più figli, uno si chiama Ermanno e l’altro Archimede che gli succederanno come i primi “Fratelli Vecchi” gestori del caffè.
Ermanno, nato nel 1844 sposato con Rita Laghi nel 1868, ha come figli Bruno, nato nel 1872 e Ugo nato nel 1874, le seconda generazione di fratelli Vecchi. Per lavorare sulle famiglie si deve usare l’anagrafe del Tribunale di Rimini – 1866-1910 – presso l’Archivio di Stato di Rimini.

Bonifacio rileva la gestione del Caffè di piazza della Fontana, nel palazzo Galli, intorno al 1852, come si può calcolare da un’affermazione in un numero del periodico “L’Ausa” del 5 luglio 1912: alla ditta Vecchi vengono accreditati “oltre 60 anni di esercizio“. Assai probabilmente fu lui a inventare il nuovo nome di Caffè del Commercio – Piero Meldini ci avverte di aggiustamenti del nome, fino all’attuale Bar o Caffè Commercio -. Bonifacio Vecchi morirà a Rimini il 25 maggio 1876 a 71 anni. (22)

Nel Ruolo de’ contribuenti della tassa di esercizio per le arti e commercio a tenore dell’Editto della Segreteria di Stato 14 ottobre 1850, successiva Notificazione del Ministero delle Finanze 24 detto mese e della Circolare del Ministero medesimo N. 76166 – 2804 del 1853, sono elencate, per le due piazze e la Strada Maestra – oggi Corso d’Augusto – 11 Caffetterie:
in Strada Maestra: esercitano i caffettieri Luigi Galvani, Rosa Magnani, Pietro Gessaroli, Giuseppe Bottini, Marco Cupi, Michele Balducci; mentre in Piazza S. Antonio – attuale Tre Martiri – ci sono i caffè di Biagio Amati e Luigia Ghetti; in Piazza della Fontana – dal 1859 piazza Cavour – ci sono due caffè uno, è del nostro Bonifacio Vecchi, che qui appare per la prima volta, e l’altro di Adamo Minardi. Pagano tutti 2 scudi l’anno di tassa d’esercizio. (23)
L’altro caffè di piazza della Fontana potrebbe essere quello che nella cronaca di Filippo Giangi, sotto il 4 gennaio 1846, è detto “Caffè vicino alla Pescheria.” (24)

Immagine dell’Archivio fotografico della Biblioteca Gambalunga.

Gestione dei Fratelli Ermanno e Archimede Vecchi
Nel 1859 era finito il regime di governo pontificio e l’anno seguente abbiamo il primo comune nazionale. Molte speranze di cambiamento, quasi tutte destinate ad essere deluse. Intanto si volle dotare la città di fogne sotterranee, già decise dalle ultime amministrazioni papali – esistevano ancora i maleodoranti fossi medievali al centro delle vie, spurgati due o tre volte l’anno – cominciando dalla Via del Rigagnolo della Fontana – Via Gambalunga -. L’operazione coinvolgeva tutti i proprietari di palazzi e case delle vie interessate alla fognature, con l’obbligo di mutare i cornicioni delle case con doccioni per far scorrere le acque pluviali in tubi, alternativamente aperti con un cubo di calcare – alcuni tuttora esistenti – a pulire le vie o interrati e confluenti nelle fogne. Le acque luride scorrevano lungo il pendio della città per finire nel fossato a mare e di lì nel Marecchia e nell’Ausa. Le uscite delle fogne erano protette da saracinesche che dovevano chiudersi in occasione di piene dei due fiumi.
La piazza della Fontana fu la prima a chiamarsi con un nome della storia politica nazionale: fu dedicata a Camillo Benso conte di Cavour (1810-1861). La Via del Mare e lo Stradone dello Stabilimento furono dedicati ai figli di Vittorio Emanuel II di Savoia, Principe Umberto e Principe Amedeo – Viale Principe Amedeo conserva l’unico nome omaggio ai Savoia rimasto -. Al re Vittorio Emanuele II venne intitolato il Teatro Comunale; che cambiò nome nel dopoguerra intitolato ad Amintore Galli, mentre la Via Principe Umberto è diventata Via Giovanni XXIII.

Ermanno Vecchi inventaria il caffè dell’Albergo Aquila d’oro di Pilade Casabianca 1890
Ermanno Vecchi è il figlio di Teresa Luciani e di Bonifacio, succeduto al padre come caffettiere del Caffè del Commercio.
Il notaio Luigi Borghesi lo chiama come perito per i vini e liquori da valutare nell’inventario dell’Albergo Aquila d’Oro, precisamente i vini e i liquori nella cantina, il 27 gennaio 1890, dopo la morte del proprietario Pilade Casabianca:

Come perito dei vini e bottiglieria ho chiamato ed è comparso il Signor Vecchi Ermanno fu Bonifacio nato e domiciliato a Rimini, Caffettiere, a me noto, il quale, previa le volute avvertenze ed ammonizioni, ha prestato il giuramento a norma di legge stando cioè in piedi col capo scoperto e pronunciando le parole:” Giuro di bene e fedelmente procedere alla prestazione che mi è affidata senza altro scopo di quello di far conoscere la verità.
Coll’opera di detto perito, ed in contraditorio delle parti come sopra
[gli eredi naturali e la Congregazione di Carità], ci siamo recati nella cantina ed abbiamo ritrovato quanto segue:

1. N.° 96 bottiglie Cognac stimato ….. £ 144
2. N.° 117 bottiglie di Porto a £ 2 ….. £ 234
3. N.° 8 bottiglie di barbera ….. £ 8
4. N.° 6 bottiglie di Capri bianco ….. £ 6
5. N.° 48 bottiglie di marsala a £ 1,20 ….. £ 57, 60
6. N.° 15 bottiglie di albano bianco ….. £ 7, 50

In altro ambiente.

7. N.° 266 bottiglie di vino Sangiovese ….. £ 159, 60
8. N.° 155 bottiglie mezze di Sangiovese ….. £ 45, 90
9. N.° 7 bottiglioni neri vino da pasto Litri 40 ….. ed 40 N.° 9 fusti Litri ….. 690
compreso il vetro Litri 73 a Cent 90….. £ 219
10. N.° 20 Bottiglioni Sangiovese ….. £ 12
11. N.° 9 fusti di mezzo vino Ettolitri N.° 10 ….. £ 70
12. N.° 2 vetrine da olio con Litri N.° 140 olio di oliva ….. £ 160.” (25)

Non si tratta dell’inventario di un caffè, ma di un ristorante d’albergo, che comprende anche il servizio di caffetteria; pertanto, al fine di avere un’idea degli utensili di servizio, è utile trascrivere un paio di parti relative alle prestazioni indicate:

Terraglie
133. Un finimento di porcellana con riga d’oro composto di una terina con coperto, due piatti reali, uno mezzano, sei fiaminghe, tre fruttiere, una salsiera, due piattini da formaggio, e 94 piatti ….. £ 50.
134. Servizio da tavola di terraglia Richar colle cifre dell’Albergo composto di piatti N. 86 piani, tondini 99, piatti piccoli 39, tazze 29, fiaminghe senza cifra N.4 grandi, dette mezzane con cifra N.4 piccole N. 6 e sei insalatiere ….. £ 70.
135. N. 14 piatti reali diversi, 4 terine con coperchio e piatto, N.° 80 piatti con 20 fondine diversi ….. £ 20.
136. Vasi da notte con marca dell’albergo ….. £ 7.
137. N. 4 cattini, 4 anfore con marca ….. £ 12.
138. Un lume a gas con due bracci e due Campane di cristallo ….. £ 18.
139. Un finimento di porcellana con riga d’oro da caffè, e piattini N. 95 ….. £ 17,50.
140. N. 18 fra lattiere, e caffettiere diverse ….. £ 9.
141. N. 2 lattiere e N. 2 Zuccheriere di porcellana ….. £ 8.
142. N. 24 tazze da caffè con piattini, con N. 12 tazze da caffè e latte diverse e numero 18 piattini diversi ….. £ 6.
143. N. 12 tazze da caffè con piattini e N. 11 con piatto da caffè e latte diverse e N. 18 piattini diversi ….. £ 2.
144. N. 10 porta ova di porcellana ….. £ 7.
145. N. 10 fruttiere, e 5 a foglia, e N. 5 a ritratto ….. £ 2.
146. N. 57 bicchieri diversi da marsala ….. £ 11.
147. Bicchieri da Sangiovese N. 27 ….. £ 6.
148. N. 46 bichieri comuni ….. £ 12.
149. N. 24 bichieri da Sampagna con piede quadro ….. £ 20.
150. Altri detti diversi N. 19 ….. £ 5.
151. N. 27 da Cognac ….. £ 5.
152. N. 7 da vermut ….. £ 1.
153. due bottiglie fiorate ….. £ 3.
154. N. 6 bottiglie di Boemia ….. £ 6.
155. N. 12 ordinarie ….. £ 4.
156. N. 6 bicchieri andati con cifra ….. £ 5.
157. Servizio da rosolio completo con due bottiglie e N. 9 bicchierini con relativo fusto ….. £ 3.
158. N. 102 bottiglie nere ….. £ 20.
159. N. 4 fusti di ferro porta bottiglie ….. £ 16
”. (26)

Infine, nella Saletta veniva inventariato un Servizio da Caffè:

704. Servizio da Caffè composto di otto tazze piccole, una grande, sei piattini piccoli e tre grandi, e una zuccheriera e uno sgomarello [mestolino] di porcellana con manico di legno, e un porta uova ….. £ 4”. (27)

Piazza Cavour, 1904. Sullo sfondo la sede della Cassa di Risparmio e il blasonato Caffè. Immagine Archivio fotografico Biblioteca Gambalunga.

Uno sciopero dei camerieri del Caffè Commercio 1903
Il panorama politico riminese dell’800 e dei primi del ‘900, così ben illustrato da Liliano Faenza, si articola nell’area di sinistra con i gruppi anarchico, repubblicano, socialista; al centro vi sono i liberali e a destra i cattolici. Ogni gruppo possiede un suo giornale. I lavoratori sono organizzati nella Camera del Lavoro. Carabinieri e polizia avevano il loro bel da fare nel controllare, denunciare, arrestare e contenere i movimenti insurrezionali dei partiti e movimenti “sovversivi”.

Su “La Riscossa” il periodico repubblicano di Rimini, l’organo dell’opposizione estrema del momento, il cui posto estremo verrà preso dai Socialisti e dal ’21 dai Comunisti, sotto il giorno 7 novembre 1903, troviamo una finestra aperta sulla gestione del personale da parte della ditta Fratelli Vecchi:

Lo sciopero dei camerieri del caffè Commercio
Troviamo inutile rifare oggi la narrazione dei fatti già esposti al pubblico dalla ‘Lega Camerieri’ e dai Fratelli Vecchi.
Diremo che prima origine dell’inizio del conflitto fu la quistione dei turni sulla quale non venne però la discussione, giacchè se si fossero iniziate delle trattative le cose avrebbero avuto una diversa soluzione. I camerieri e specialmente il Signor Mussoni per la Camera di lavoro ci hanno assicurato che sul turno la lega non avrebbe fatto per nulla ‘imposizione e quistione capitale’, pur sempre salvaguardando la dignità del suo istituto. Ciò che ha precipitato invece e che ha determinato l’allontanamento dei Camerieri dal Caffè Commercio fu l’imposizione che una dichiarazione dei proprietari volevano fosse firmata dal personale sotto pena di un licenziamento. “I sottoscritti di fronte al contegno ecc….dichiarano spontaneamente e promettono formalmente di cancellarsi dalla detta lega…ecc.”

Ci perdonino i fratelli Vecchi, ma questo è un atto di coercizione di coscienza che essi non dovevano mai compiere e si capisce e si giustifica perciò ora il contegno dei lavoratori che si assentono dal luogo di lavoro. Perché ammesso anche il retroscena, smentito però recisamente dai camerieri, esso non ha nessuna relazione con l’ultima pretesa avanzata dalla ditta Vecchi. E questo noi lo diciamo con molta franchezza, desiderosi che il conflitto sia risolto.
Circa il ‘regolamento interno’ che doveva firmare la ‘lega’ secondo il desiderio dei Vecchi possiamo assicurare che sfogliati alcuni statuti di leghe e precisamente quello della ‘Lega Zolfatai’ organizzata dal nostro Comandini abbiamo trovato un articolo che dice: non dovere la lega firmare regolamenti che regolano i rapporti interni fra personale e proprietari. Questo per rispondere ad alcune domande poste dai nostri amici.

Ed ora mentre ritorniamo ad esprimere l’augurio di un sollecito componimento, smentiamo recisamente quelle voci calunniose con le quali, ad arte, si trovò modo di raccontare una storiella di ingiurie mossa dal Signor Gualtiero Cenci all’indirizzo del partito repubblicano, nella sede della Lega, nel momento dell’adunanza.
I nostri compagni Mancini, Ghinelli e Carlini presenti alla seduta dell’assemblea negano assolutamente che il Cenci abbia proferito le frasi ripetute ieri in qualche caffè.
E il Cenci, da noi interrogato alla presenza di molti compagni, ha smentito pienamente la diceria maligna, fatta circolare a scopi illeciti.
Noi poi, per conto nostro, aggiungiamo che questo metodo denigratore è semplicemente vigliacco.”

Questo articolo testimonia, raffreddando di sicuro le nostre emozioni passatiste, l’aspetto drammatico del mondo del lavoro, dove sempre c’è la lotta, l’accordo o il disaccordo delle parti, ma spesso c’è anche la disperazione di chi è nato o finito in un cul de sac, e sono sempre le classi basse a soffrire, specialmente quando la legge economica del mercato spietatamente viene portata alle sue ultime conseguenze. Ma oggi, momento di dura crisi economica, nel cul de sac ci sono finiti, con gli affitti esagerati degli immobili fissati dai proprietari urbani, i gestori stessi dei caffè, e di tutte le altre attività in affitto strozzati dalla rendita, per il guadagno ridotto vicino ai livelli di quelli dei loro dipendenti. Avevo scritto questo testo nel 2014 prima della pandemia e della guerra di Crimea, a maggior ragione mi sembra valere oggi, inizio della primavera del 2022.

Esposizioni di disegni e foto nelle vetrine del caffè Commercio 1893 – 1901
Una vetrina del Caffè Commercio venne usata per esposizione di disegni, quadri, fotografie e manifesti. Le notizie che seguono non sono certamente complete né in relazione all’arco cronologico né al numero delle occasioni; servono peraltro per avere un’idea dell’uso pubblico di una vetrina deciso dai proprietari dell’esercizio.
Il 3 giugno del 1893 “L’Ausa”, giornale clericale, scrive di un “PROGETTO DI TEATRO tutti hanno ammirato nella vetrina del Caffè Cavour un nuovo progetto di teatro, studiato e compiuto dal sig. Gaspare Rastelli [il futuro ‘restauratore’ del palazzo comunale]…1500 spettatori… tavole dipinte dal sig. Marino Mancini…favorevole giudizio dell’ing. Buriani a cui la Giunta lo ha mandato…
Ne “Il Marecchia” “periodico popolare del 19 settembre 1896:

Un bel quadretto è quello esposto del giovane Addo Cupi, studente di ingegneria nella vetrina dei fratelli Vecchi. Esso rappresenta una vecchierella che va raccogliendo, fra l’alata neve che ricopre una campagna, i rami secchi cadenti dagli alberi. Abbiamo sentito lodare questo quadretto per la proprietà delle tinte, per la giustizia della luce e per lo sfondo indovinatissimo“.

Il 27 ottobre 1900 “L’Ausa”: “Nella vetrina dei F.lli Vecchi in piazza Cavour due bozzetti di Architettura dell’ing. Arch. Antonio Linari insegnante di architettura nell’Accademia di belle Arti di Ravenna, ad acquerelli, uno la Facciata di un villino, l’altro il Prospetto di una palazzina”.

“Il Martello”, giornale repubblicano, del 9 febbraio 1901: “Paolo Trevisan espone nella vetrina del Caffè Commercio i ritratti di Carducci, Bonci (tenore), Wermer e Farneti cantanti”. Il 14 agosto 1901 “esposizione di foto nella vetrina del Caffè Commercio.

Lo stesso giorno: “Ammiriamo nella vetrina del Caffè Commercio l’esposizione di alcune fotografie dell’illustre artista Novelli eseguite dalla rinomata Ditta fotografica Pozzi e Trevisani di Bologna. Novelli è ritratto nel suo delizioso giardino colla sua famiglia.

“L’Ausa” del 16 febbraio 1901 pubblica:
MOSTRA FOTOGRAFICA Giorni sono nella vetrina del Caffè del Commercio vennero messe in mostra quattro belle fotografie, l’una dell’esimio professor Carducci e le altre dei celebri artisti di teatro Sig. Bonci e Signorina Farneti e Signor Wermer. La finezza, precisione di questi lavori fotografici rivelano l’abilità e la maestria del nostro concittadino Paolo Trevisani giovane di uno dei principali stabilimenti fotografici di Bologna“.

Immagine dell’Archivio fotografico della Biblioteca Gambalunga.

Giovanni Pascoli nel Caffè di piazza Cavour a Rimini, settembre 1897
Avevo pensato che si fosse trattato del Caffè del Commercio, ma una particolare osservazione topografica – via della Pescheria – fa pensare che si tratti dell’altro Caffè di piazza Cavour.
Dobbiamo la notizia a Giulio Tognacci figlio di Enrico, un caro amico del poeta.
Nel suo libro Ricordi pascoliani, il capitolo Giovanni Pascoli a Rimini, ricorda un incontro tra il poeta, l’autore e il padre Enrico, detto Rico, amico del Pascoli:

Nel pomeriggio di un lontano settembre del 1897, il mio povero babbo, il fratellevole Rico, come lo chiamava Zvanì, ricevette da Bologna questo telegramma: “Stasera ore otto trovati Caffè Commercio Rimini – Zvanì”.
[…] Ricordo l’affettuoso incontro, in una saletta riservata in fondo al Caffè di piazza Cavour, dove un Papa bronzeo, coronato di santità, colla mano alzata, benedicente, tra una veemenza di ali, sorride al rinnovato Arengo.
Giovannino mi baciò e accarezzò, chiese dei miei studi, avvivò le mie speranze. Ad un tratto il mio babbo, dopo aver fatto un cenno al cameriere, cavò da un’ampia tasca della giubba una bottiglia di Champagne la Tour [proveniente dalla tenuta la Torre di San Mauro oggi Pascoli] e l’alzò a saluto e ad invito. Sorrisero, dai quadri appesi alle pareti, le bionde vergini immerse tra i fiori dai larghi petali di fuoco, con gli occhi ardenti di voluttà.
Zvanì bevve, plaudì, abbracciò fraternamente l’amico, dagli occhi pieni di gioia, umile, puro, alto, nell’affetto, nella venerazione. Ricordò la sua bianca casina, colle verdi persiane, che aveva ai piedi tante verbene, fiorita al muro di rose rampicanti, dove dolce sarebbe stato vivere; mio nonno, il buon Vanènna, il santo vecchio che vedeva cogli occhi dell’anima, i fidi compagni di San Mauro, Pirozz, Dico, Jacmin, Zacari, Celso, il forte lavoratore Leopoldo Tosi di Rimini, che reggeva quella Torre in cui tubarono le tortori, così dolci ai richiami dei bimbi canori, il 10 agosto del 1867, mentre la cavallina storna scalpitava irrequieta […] Uscimmo e ci incamminammo verso il monumentale teatro comunale. Di fronte alla pescheria si fermò e mi parlò commosso, con larghi gesti di ricordi lontani, vicini, profondi dell’anima […]
Zvanì parlava e gli occhi lucevano di bellezza. Ardevano di memorie. Il 19 ottobre del 1871 era morto di meningite il fratello Luigi e per il nuovo anno scolastico, la famiglia superstite si era raccolta a Rimini, per aver modo di frequentare le scuole con minor spesa. Giacomo faceva pratica di perito agrimensore presso un certo Fiorani che lavorava molto.
Nel 1871 aveva stampata a Rimini, nella tipografia Malvolti l’ode “Nelle nozze della principessa Maria Torlonia col principe Giulio Borghese”. Nel numero del febbraio del 1878, il periodico riminese “Il Nettuno” pubblicava la lirica “La morte del ricco”.
” (28)

A Rimini i Pascoli avevano abitato “in uno stabile di via San Simone” nel 1871. (29)
Nel 1877 per un paio di giorni aveva preso alloggio in un piccolo albergo di piazza San Gregorio, gestore Matteo Barbiani, che non venne pagato – dove nel 1962 hanno murato una “lapide bugiarda” (30)-. A Rimini abitava la sorella della madre, Luigia Vincenzi sposa di Alessandro Morri e madre di Imelde, la cugina di cui Giovanni Pascoli si diceva fosse stato innamorato.
Quella sera, continua Giulio Tognacci:

Giovannino aveva riacceso il mezzo toscano, succhiato con lenta ebbrezza, e si era voltato verso la via Pescheria, incrociando le braccia e tacendo. Tremava un pianto di campane. Lessi negli occhi accesi che qualcosa cercava. Pensava, forse, a quel Caffè dell’Unione, al vecchio Barbiani Matteo, a quella cameretta sei “dove passava tutta la giornata rinserrato e sdraiato sul letto, studiando e dormendo, ed agli amici che alla sera venivano a tirarlo fuori dal covo e andavano a zonzo nei dintorni e nelle bottiglierie….” Siamo tornati nel 1877, e ai tempi di estrema povertà del poeta, ma anche nei momenti di formazione politica, della sua adesione al socialismo.

1896 I fratelli Vecchi aprono “la Pasticceria del Commercio”
“Il Marecchia” del 14 dicembre 1896: “CAFFE’ COMMERCIO. I proprietari del Caffè Commercio, fratelli Vecchi ànno aperto un nuovo negozio di pasticceria e confetteria…
Il primo dì gennaio del 1898, “L’Ausa”: “Alla Pasticceria del Commercio in piazza Cavour dei fratelli Vecchi” sono segnalati i prodotti di richiamo la “mostarda romagnola al cedro” e il “vino chinato”.
Questi fratelli devono essere i figli di Bonifacio, Ettore e Archimede.

Un furto nel Caffè Commercio 1902
E’ “L’Ausa” dell’11 gennaio 1902 a denunciare un furto al Caffè Commercio; il suo giornalista è tanto bravo da condensare in poche righe – non poche però per la media consistenza degli articoletti – un intero racconto giallo. I Fratelli Ugo e Bruno Vecchi sono la terza generazione della famiglia:

L’ingente furto al Caffè del Commercio. Tal Pellegrineschi Primo di Bologna da circa 8 anni pasticciere al Caffè del Commercio, pur avendo numerosa famiglia e uno stipendio di centoventi lire al mese, sciupava moltissimo in oggetti di lusso di ogni specie e nel riordinamento di una casa da lui comprata scusando queste spese con vincite al lotto ed una eredità. Ma mentre nella sua cassa i quattrini crescavano, venivano meno in quella dei Signori Vecchi proprietari del Caffè del Commercio i cui affari andavano al ribasso. Per questo sorsero naturali sospetti, e già nel Settembre scorso e altre due volte in seguito si erano fatti appostamenti per scoprire la causa ma invano. La mattina di domenica 5 però i Signori Bruno e Ugo Vecchi colle guardie di P.S. Ottolini e e Sante Martino posti in agguato in un camerino dietro il banco dove quasi quotidianamente si perpetrava il furto scopersero in flagrante il Pellegrineschi e subito gli furono addosso.
Il ladro cadde a terra dando un grudo. Gli fu trovata in tasca una rivoltella. Venne subito tradotto in Rocca. Si è poi scoperto che egli venendo la mattina presto per attendere al suo lavoro, si giovava di diverse chiavi false per compiere i suoi disegni. Il Delegato Signor Guido con una guardia di P.S. si recarono poi alla sua casa, sequestrando Lire 5320 in denaro, vari oggetti riconosciuti di proprietà dei Fratelli Vecchi, e quattro biciclette due delle quali a motore. Pare che il furto da vari anni continuato cercando a volte migliaia di lire
”.

Come si preparava il caffè nel 1906
Ne “L’Ausa” il battagliero giornale clericale, letto dai componenti delle famiglie devote e ‘per bene’, compaiono di quando in quando articoli con consigli sulla salute e sui cibi da consumare. Uno di questi, del numero del 31 marzo 1906 riguarda la preparazione del caffè, in casa, ma al momento, anche nelle botteghe dei caffè. Le conoscenze chimiche del tempo, identificata la caffeina, non prevedevano il mantenimento del gusto del caffè dopo la decaffeinizzazione. Per quanto riguarda la preparazione della bevanda, in due modi o con la “borsa” in cui chiudere il macinato, o in appositi recipienti con acqua calda versata direttamente sul macinato di grani di caffè tostati, abbiamo visto negli inventari la presenza di cuccume e chicchere adatte a mescere e a servire da uno a sedici caffè per volta. Curiosa la testimonianza dell’ottenimento di un mezzo-caffè, analogo al mezzo-vino, ottenuto mettendo acqua nelle vinacce spremute. La cosa interessante sul finale dell’articoletto è il consiglio, poco seguito, crediamo, di tostare le ghiande per fare un caffè meno costoso.

Per fare un buon Caffè.
Occorre la buona qualità, e che la brustolitura sia fermata al marrone chiaro, onde evitare per quanto è possibile la dispersione e perdita della Caffeina sostanza dell’aroma.
Macinato si ottiene con la borsa a filtro versandovi l’acqua bollente, ripetendo se si vuole.
Anche colla coccoma, od altro vaso si può ottenere un buon Caffè, però bisogna ricordarsi che il bollore fa evaporare la Caffeina, e la decima più o meno, per cui conviene che la bollitura sia breve.
Il fondo che rimane nella borsa, o nella coccoma contiene ancora un residuo dell’aroma.
Il migliore modo di utilizzarlo, ossia di cavare un mezzo Caffè, non colla bollitura, ma a bagno maria, ossia a circa 95 gradi per circa 20 minuti mescendo a quando a quando.
E’ molto importante la qualità dell’utensile, sia pel filtro, sia per la bollitura. La migliore è la porcellana, poi il ferro smaltato, la terra cotta smaltata, ed è tollerabile il ferro stagnato e la latta.
In tali vasi il caffè si mantiene buono anche per due o tre giorni.
Nel vaso di rame o di ottone, se non è assolutamente con ottima stagnatura, il Caffè diventa cattivo dopo poche ore, e il taso della coccoma che si scioglie in una polvere nera finissima, si mesce col liquido, e lo intorbida rendendolo, anziché gradito dannoso allo stomaco.
La ghianda Castagnola brustolita nel forno, pestata e ridotta in polvere si presta per avere un buonissimo Caffè e a buon mercato.
Colla polvere di ghianda mestando quella di Caffè si ottiene un prodotto ottimo,  grato al palato, ed anche nutriente. (Assiduo)

Rimini Corso d’Augusto. Sulla sinistra il Caffè Pasticceria del Commercio. Archivio fotografico Biblioteca Gambalunga.

Il caffè con “lo schizzo”
L’uso di correggere il caffè con liquori ed altre sostanze doveva essere antico quanto l’invenzione del caffè. Lo si sospetta leggendo questo annuncio dei gestori del Caffè del Commercio sul periodico “L’Italia” – anno XIII n. 12 – fine 1884:

Nel Caffè del Commercio si legge il seguente avviso:
I sottoscritti conduttori del Caffè del Commercio, in seguito agli aumentati prezzi delle materie prime di loro consumo e al continuo inasprimento di tasse, hanno dovuto, loro malgrado, venire nella determinazione di non concedere più gratuitamente – a cominciare dal 1 gennaio 1895 – l’aggiunta di qualunque specie di liquore nel caffè.
Fratelli Vecchi.
Se i conduttori ci daranno il Caffè buono – e ho sentito di farlo migliore del solito non sarà poi un gran male se gli mancherà lo schizzo e l’odore del mistrà e del cognac.

La macchina del caffè “Ideal” del 1906
Anche la storia delle macchine per caffè, una gloria nazionale, ha i suoi cultori ed esistono musei approntati dalle ditte storiche, come si può vedere su google. Sintetizziamo quanto si trova su Internet, in particolare alla voce Pavoni di Wikipedia.
Il primo brevetto per una macchina per caffè espresso sarebbe del 1884, progetto del torinese Angelo Moribondo, presentato all’Esposizione generale del Valentino a Torino. Abbiamo però visto nell’inventario del Caffè della Speranza di Rimini una macchina per il caffè a vapore di dieci anni prima. E’ un enigma su cui sarebbe importante fare delle ricerche.
Il torinese Moribondo fa produrre artigianalmente le prime macchine per il caffè esclusivamente per i suoi bar e alberghi. E’ il milanese Luigi Bezzera a brevettare e a produrre industrialmente una macchina per caffè espresso, la prima volta, nel 1901. Il Bezzera nel 1902 vende i diritti a Desiderio Pavoni che attrezza la sua officina a Milano. La prima macchina da caffè espresso prodotta da Pavoni era chiamata Ideale.

La macchina Ideale è di forma cilindrica di ottone cromato a sviluppo verticale con caldaia mantenuta in pressione da un fornello a gas. Nei primi anni ne vendevano una al giorno.
Le industrie della macchina del caffè si moltiplicano. Ricordiamo la produzione del torinese Pier Tiresio Arduino, col modello Victoria brevettato nel 1910. Dopo la seconda guerra mondiale, Achille Gaggia, modernizzando un modello col pistone a vite di un inventore conosciuto solo col nome di Cremonese, produce macchine a leva in cui la pressione dell’acqua, anziché del vapore, ottiene un nuovo sapore: “la crema caffè”.
Negli anni successivi nuovissime macchine con “pompa oleodinamica” e componenti elettroniche si presentano sul mercato mondiale. Ma malgrado le numerose perfezioni tecnologiche, il saper fare un buon caffè dipende non solo dalla macchina, o dalla qualità del caffè, ma anche dalla perizia e dall’esperienza del barista, attento, quando è bravo, com’è ben noto, persino alla qualità dell’aria e del clima. Dal 1999 il World Barista Champion Ship organizza un campionato mondiale dei baristi per diffondere la cultura del caffè espresso. Dal 1974 il modello di macchina del caffè Europiccola Professional della Pavoni S.p.a. è esposto nel Museo d’Arte Moderna di New York.

A Rimini la prima macchina del caffè arriva nel Caffè del Commercio nel 1906, salutata dai periodici locali di diversa prospettiva ideologica.
Il 16 giugno troviamo su “L’Ausa”, il giornale della curia:

Al Caffè del Commercio,
nella ventura settimana, saranno ultimati i lavori di ristauro che sono veramente promettentissimi. La sala principale riuscirà di grande illusione, e sarà abbellita con 12 grandi specchiere che ne copriranno quasi completamente le pareti. I divani coperti in marocchino rosso conferiranno all’ambiente un aspetto gaio e signorile.
Eleganti saranno le scansie e il banco, (lavoro della Ditta Melandri) sul quale sarà collocato il nuovo e sorprendente apparecchio “Ideale” per la preparazione istantanea del caffè.
Ciò costituirà l’innovazione più importante che i solerti proprietari hanno apportato al loro accreditato esercizio dotandolo di un ultimo ritrovato della meccanica moderna, che permette di preparare in presenza dell’avventore un’ottima tazza di caffè. In mezzo alla sala saranno appesi eleganti lampadari. L’esercizio sarà poi provveduto oltre che dei giornali quotidiani di maggior importanza anche di quelli illustrati. Ai proprietari fratelli Vecchi che, non guardando a spesa hanno abbellito sì riccamente il loro esercizio rendendolo non inferiore a quelli delle grandi città, facciamo rallegramenti ed auguri di crescente favore della numerosa clientela.

Su “La Riscossa”, il periodico repubblicano di Rimini, il 27 giugno 1906 troviamo:

Il Caffè del Commercio è stato messo completamente a nuovo. Rivestimenti di legno, grandiosi specchi alle pareti, mobili artistici, un tutto elegante di buon gusto degno d’un grande centro. I Fratelli Vecchi, che meritano davvero una calda lode per questi lavori di rinnovamento, resisi ormai necessari e impostasi dall’importanza che va assumendo Rimini, hanno ancora acquistati la splendida macchina Ideale, apparecchio dello Stabilimento Pavoni, con cui si prepara e si serve istantaneamente il caffè.” (31)

Nevio Matteini, riporta l’avvenimento in un brano del diario di un certo Luigi Contessi:

Luglio 1906. Vidi posti, nel Caffè Commercio in Piazza Cavour, alle pareti quattro grandiose luci da specchio senza cornici. Effetto splendido. Sono reclami di 4 fabbriche liquori. Appresi poscia, da Ettore Soci che in detto caffè oltre le dette luci da specchio, ve ne sono due, coi prezzi di molti liquori e pasticcerie, e che nel centro sul panco esisteva una elegantissima macchina, per avere istantaneamente bollente il caffè. Abituato io di marcare possibilmente ogni novità nella mia Rimini, mi presentai al panco, ove era la signora Rita Laghi in Vecchi, per vedere tale effetto. Essa gentilmente accudì al mio desiderio, ordinando al cameriere di farlo: questi pose la scattoletta del caffè macinato, al posto dove doveva passare l’acqua bollente, e con tre brevi giri di elegante manubrio, in men che non si dica, scatturì fatto nella sottoposta cuccuma.
Io esclamai bene! Bene! Ed essa: ora ne gusti il sapore. Sorpreso da tanta gentilezza ringraziai…ed il promotore di questo apparecchio? Ripetè l’invito, accettai e gustai eccellentissimo caffè: rinnovando i ringraziamenti, chiesi di che fabbrica erano gli specchi, mi rispose, di Bologna…ed il promotore di questo apparecchio? Fu il mio maggior figlio Bruno. Ne feci i rallegramenti. Mi fu aggiunto che, per l’intero effetto degli specchi, era d’uopo vederli coi lumi accesi. Così feci e vidi uno squisito effetto.
” (32)

I Futuristi riminesi o Dinamisti nel Caffè del Commercio nel primo dopoguerra
Non più esclusivo ritrovo di lusso il Caffè del Commercio rimane però un luogo assai vivace culturalmente, come un locale di Parigi diventa un caffè letterario. I fratelli Vecchi concedono una sala ai Futuristi di Rimini, detti più propriamente Dinamisti. E’, come scrive Ennio Grassi, il primo gruppo letterario riminese, influenzato dalla presenza estiva e da pubblicazioni balneari sulla stampa locale di personaggi come Filippo Tommaso Marinetti:

Luigi Pasquini […] ne segnala la presenza nel suo romanzo autobiografico, La professoressa, uscito nel ’64; rievocando attraverso il personaggio del professor Alberto Angeli insegnate di disegno, la Rimini del primo dopoguerra accenna tra l’altro, all’esistenza di un gruppo di intellettuali futuristi che si ritrovavano nella Saletta Rossa del Caffè Commercio: “La gente dice che, questa, è la sede del Dinamismo, un partito nuovo, più su di un gradino del Fascismo, la cui parola d’ordine è ‘zoca e manera’, ceppo e mannaia, un motto tolto da una poesia libertaria di Giovanni Pascoli, scritta quand’era studente a Rimini e stava di casa nella piazzetta delle Poveracce…Ogni tanto il commissario Protani fa l’ispezione. Nessuno che non sia del gruppo, ha diritto d’entrata, nella saletta.”
Continua ancora Pasquini: “I congiurati portano con sé, oltre alle carte e ai libri, il caffè in grani, il macinino, il fornello a spirito e lo zucchero. Al Biondo, cameriere anarchico, portare il resto: chicchere, cucchiaini e acqua. Avvengono discussioni interminabili sulla poesia, sulla musica, sulla pittura”. L’ironia affettuosa con cui Pasquini evoca quell’esperienza di cui era stato lui stesso un esponente, cogliendone l’aspetto anche goliardico e semiserio, nulla toglie al significato culturale che essa veniva ad assumere in quegli anni come indicatore di novità e di aperture al nuovo.
” (33)

I Dinamisti erano il filosofo di Savignano Giacomo Donati, autore del manifesto, l’architetto, pittore e poeta, Addo Cupi – che aveva disegnato la grafica dei due numeri della rivista del gruppo, “L’Arco”, il giornalista Benso Becca, interventista, che aveva concionato sui tavoli del Caffè Commercio in favore della guerra – “fu tirato giù a legnate” (34) -, col fratello, Giovanni Tonelli, il giovane Pasquini e pochi altri.
Tra questi Ludovico Pugliesi, repubblicano poi fascista e suicida, che scrive “in una cronaca locale del 22” sulla persistenza del fermento letterario ancora vivace nel Caffè del Commercio:

Dopo la visita alla città, la visita immancabile al Caffè Commercio, un locale di moda che ha già una storia. Ma non è uno dei soliti caffè, invece di avere le caratteristiche di un ambiente tranquillo per sorbire in pace la tazza di moka, ha piuttosto quello di un club rivoluzionario descrittoci da Michelet nella sua Rivoluzione. Tutti parlano ad alta voce, tutti gridano; vi è il tavolo dei ‘pipi’, vi è quello degli artisti in vena di diventare celebri, quello dei poliziotti, vi è infine il tavolo delle lingue schiette che si muovono scoppiettando, che agitano tutte le questioni di politica, di arte e di filosofia, che marcano il profilo di tutti gli uomini illustri della cronaca riminese.” (35)

Ennio Grassi conclude:
Ma si tratta di bohème casalinga, innocua e pretenziosa.” (36)

Immagine Archivio fotografico Biblioteca Gambalunga.

La Pasticceria del Commercio poi Caffè Vecchi rinnovata nel 1912
La Pasticceria gelateria Vecchi, apparteneva ai padroni del Caffè del Commercio fin dal 1896, come abbiamo visto; viene rinnovata nel 1912 e in seguito avrà un destino di caffè separato. In un articoletto de “L’Ausa” apprendiamo che l’esercizio Vecchi ha 60 anni circa, come è confermato dai documenti già citati. Un paio di immagini del tempo illustrano l’elegante prima sala della Pasticceria Vecchi con mobili definiti nell’articolo “New Styl”, equivalente inglese dell’espressione “Art Nouveau” che qualche sprovveduto tradurrebbe malamente con l’espressione popolare ma sviante “Liberty”.
Tale termine bastardo è stato diffuso, purtroppo, dal 1905, malgrado le proteste degli architetti intelligenti del tempo, da Alfredo Panzini nel suo Dizionario moderno. L’espressione Liberty è sbagliata perché indica gli stili di un negozio londinese specializzato in artigianato inglese, mentre col termine Art Nouveau, riferito alla prima fase dell’opera di Victor Horta, a Bruxelles, e alle architetture di Barcellona di Anton Gaudì, si intende quell’architettura di discendenza gotica, a carattere lineare e con la caratteristica curva a “colpo di frusta”. Né l’Art nouveau né il c.d. Liberty vanno poi confusi col Floreale, che ha altre sia pure vicine caratteristiche. Da noi, in Romagna e nelle Marche settentrionali, esiste solo un edificio del tutto chiaramente New Styl ed è il villino Ruggeri di Pesaro, tutta la restante architettura, pur in diversi linguaggi espressivi – come la pittura del resto – è principalmente ‘classicista’ – cioè con colonne o pilastri, trabeazioni, frontoni interi e spezzati, e con decorazioni floreali, e solo qualche volta le decorazioni e le inferriate sono vagamente New Styl o Art Nouveax. Da questo nucleo classicistico si passa senza sforzo all’Art Dèco, finché negli anni ’30 comincia a diffondersi e a prevalere il linguaggio moderno. (37)

Su “L’Ausa” del 5 luglio 1912:

L’inaugurazione della Pasticceria F.lli Vecchi in Piazza Cavour completamente rimodernata, ampliata ed artisticamente abbellita, è uno degli avvenimenti cittadini più importanti della corrente settimana. I locali che soddisfano a tutte le prescrizioni igieniche sono arredati con sfarzo di mobili ‘New Style’ e con decorazioni in bronzo e vetri legati in metallo.
La Ditta F.lli Vecchi che arricchisce la nostra città di un negozio così bello, e che ha saputo formarsi in oltre 60 anni di esercizio una così buona riputazione colla Pasticceria e gelateria, vadano i migliori auguri, ed alla città il voto che altri esercizi sappiano mettersi all’altezza che la nostra stazione balneare comporta.

Si trattava della specializzazione di un settore del Caffè del Commercio; su “L’Ausa” del 19 gennaio 1907, i fratelli Vecchi avevano rassicurato la loro clientela sulla qualità dei prodotti del caffè che vengono elencati, compresi quelli di pasticceria:

Pasticceria-Confetteria / del / Commercio / Ditta Fratelli Vecchi – Rimini / Torroni / Panforti / Panspeziali / Panettoni / di qualità finissime / Bomboniere / in legno e ceramica e cartonaggi per regali / Liquori / Vini / Biscotti / Cioccolato / Confetture / Canditi / delle marche più rinomate / Birra Liesing / Specialità in / Punch diversi / Vino brulè preparato / per famiglie / Mostarda al cedro / qualità extra / Si eseguiscono Pacchi Postali verso rimborso delle spese.
Malgrado i forti aumenti del costo delle materie prime, la Ditta mantiene i soliti prezzi ed assicura l’identica qualità dei prodotti di sua fabbricazione.

Il vicino concorrente: il caffè pasticceria Persico
Ma nello stesso anno, a pochi metri di distanza, il bolognese Persico aveva aperto un altro caffè con pasticceria, e i giornalisti dell’Ausa, il 20 luglio 1907 subito l’avevano battezzato come il migliore della città:

L’apertura di un nuovo grandioso Bar sull’Angolo dei Corsi d’Augusto e Umberto I° probabilmente avrà luogo domenica sera. Il proprietario il Signor Persico di Bologna ha, non badando a spesa, allestito un locale di gran lusso. Tutte le decorazioni tanto all’interno che all’esterno e sui vetri delle bellissime insegne, sono opera dei Signori Ettore Zambelli e figli di Cremona. Le pareti sono coperte di specchi sormontati da lavori d’intaglio, eseguiti dalla casa Bandera Luigi pure di Cremona. Nell’interno, sull’elegante banco, spiccano le macchine automatiche “Ideal“ pel caffè; un’altra per la preparazione della cioccolata; e quella bellissima per la Soda Watter con serpentini di vetro specialità della casa Elbecera di Milano. Il Signor Persico è ancora proprietario del Bar Acquario di Cremona, di Brescia e dello Stabilimento Torrefazione del caffè in Bologna. Il gran Bar, del quale la nostra città ne era mancante, è corredato di pasticceria e gelateria alla Lombarda e nell’inverno metterà in vendita il ricercatissimo squisito torrone Cremonese.

Piazza Cavour 1960 circa con l’insegna Vecchi. Archivio fotografico Biblioteca Gambalunga.

Il Caffè del Commercio in un sogno di Federico Fellini 1970
Il Caffè del Commercio fa parte dell’immaginario filmico di Federico Fellini, lo troviamo, come la fontana, il teatro, il tempio, il porto – mai il castello -, ne I Vitelloni e in Amarcord, anche se con nomi diversi – Caffè 2000 in Amarcord -. Ma appare anche in un sogno trascritto nel suo libro dei sogni nel novembre del 1970. Dal sogno di quella notte proviene un disegno: è notte e Federico si trova in piazza Cavour, c’è l’imbocco di Via Gambalunga e c’è la fontana, e dietro a lui ci sono due portoni del Caffè Commercio”, come recita la scritta. Davanti ci sono tre triglie gigantesche, due morte rovesciano il loro sangue sul piancito e una è moribonda.
Il testo recita:
A Rimini, di notte (molto buia), parlo con Comencini. Vedo Giulietta allontanarsi e rifletto così. “Anche questa nuova moglie ha pur sempre qualcosa di Gelsomina”. In effetti era Giulietta ma nel sogno era come una nuova moglie. Apparizione di tre gigantesche triglie agonizzanti. Due sono già morte, sgozzate, sangue in terra a rivoli, la terza sta per morire ma si muove ancora sulle pinne come volesse seguirmi, ma l’occhio è vacuo, da moribonda. Dico sdegnato a Comencini:
“Ma come è possibile fare questi massacri con la giustificazione che dobbiamo nutrirci?”. Mi allontano nella direzione opposta a quella di Giulietta, angosciato, sconfortato.
” (38)

Federico Fellini è stato, dagli anni ’50 – un paziente dello psicoanalista junghiano Ernst Bernhard, e quindi i suoi sogni si potrebbero interpretare con la chiave simbolica universale degli ‘archetipi’, cioè di simboli onirici comuni a tutti. Ma, se si segue invece, la psicoanalisi freudiana, solo chi ha sognato è in grado di interpretare i propri sogni, salvo per alcuni ‘sogni tipici’ che sono universali.
Se qualcuno volesse interpretare il sogno e i sogni di Fellini, attività onirica da lui messa in stretta relazione con quella filmica – “i sogni sono il cinema dei poveri” – si legga il saggio di Tullio Kezich a prefazione del Libro dei Sogni di Fellini.

Non resisto però a proporre un’interpretazione junghiana del sogno basata sugli archetipi classici: l’archetipo principale qui non sembrerebbe l’archetipo della moglie – Hera o Giunone – ma il personaggio sognato, la vecchia moglie che è anche la nuova moglie “hanno qualcosa di Gelsomina”, cioè di un personaggio non-moglie, e non-donna, una bambina asessuata, rapita da Zampanò-Ade, che è invisibile e spaventoso, ma è un non-padre e un non-maschio, perché non può generare figli.
Gelsomina-Giulietta è Core, figlia di Demetra e di Zeus, la Fanciulla che poi diventa Persefone – colei che porta la distruzione – e Proserpina – la temibile -. E i quattro cavalli neri che trascinano il cocchio d’oro di Ade-Zampanò nel film diventano la traballante motocicletta con sopra una sorta di tenda. Le tre Triglie ripetono il trio femminile, delle divinità degli Inferi, due morte, una morente. Si capisce l’angoscia di questo sogno, una chiave per capire cosa si nasconde dietro le immagini deformi e apparentemente felici delle sue tettone culone.

Primavera del 2022
Ha chiuso uno dei caffè longeva creatura della famiglia Vecchi, il Caffè Commercio, trasferito nel secondo dopoguerra da piazza Cavour a piazza Ferrari. Che tristezza. Il Caffè Pasticceria Vecchi trasferito qualche anno fa nel Borgo San Giuliano vicino al ponte di Augusto e Tiberio, volta pagina nella gestione.
Certamente i lettori potrebbero dirmi di pensare alla tragedia della guerra in Ucraina dove i missili spazzano via città grandi come Bologna…e magari anche alla guerra da non molto passata nei Balcani, di là dal mare…e alla rivelazione che il terrore che non rispetta la vita dei popoli e della gente è di nuovo vicinissimo a noi.
Vero…ma, come tutti, credo, l’angoscia senza nome di quelle morti non riesco a reggerla e la incisto, la rimuovo, non dico che faccio bene, dico che non vedo alternative. Una marcia della pace? Ferma i missili e i carri armati? Pregare? Beato chi ci riesce. Questa guerra ci rende tutti disumani…

2-fine (la prima parte)

NOTE

22) ASR, Anagrafe di Rimini, Anni 1876 Comune di Rimini Provincia di Forlì Indice decennale degli atti di morte, n. 376; Anno 1876 Comune di Rimini Provincia di Forlì Indice annuale degli Atti di Morte, p.95.
23) ASR, ASCR, Tassa d’arti e commercio, Carteggio B.770.
24) BGR, Filippo Giangi, Cronaca, SC –MS 343, sotto il giorno.
25) ASR, AN, notaio Luigi Borghesi, 1890, rogiti 5073, al giorno 27 I 1890.
26) Ivi.
27) Ivi.
28) Giulio Tognacci, Ricordi pascoliani, Tip. Garattoni, Rimini 1955, pp.37 e ss.
29) Luigi Ferri, Giovanni Pascoli e la città di Rimini, in I.T.S.C. E P. G. “Roberto Valturio”, Monografie a cura di Remigio Pian, n.5, 1962, p.99.
30) Antonio Montanari, “Zoca e manèra” Giovanni Pascoli studente a Rimini (1871-1872), in Gianfranco Miro Gori (a cura di), Pascoli socialista, Patron, Bologna 2003.
31) I periodici citati sono conservati nella sala periodici della Biblioteca Alessandro Gambalunga di Rimini; si possono rintracciare alla data segnata.
32) Nevio Matteini, Rimini negli ultimi due secoli, I, Maggioli, Santarcangelo, s.d., p. 276.
33) Ennio Grassi, Cultura e ideologia letterari nel riminese (1909-1940), in Storia di Rimini dal 900 ai giorni nostri, 5, Ghigi, Rimini 1981, pp. 253-254.
34) Ivi, pp. 269-270.
35) Ivi, p. 254.
36) Ivi.
37) Sull’architettura sostanzialmente ‘classicista’ o ‘classica’ del ‘900 si veda Antony Vidler, Il perturbante nell’architettura, Einaudi, Torino 2006. Sul mal uso universale del termine sbagliato “Liberty” si veda Giovanni Rimondini, Un insieme di linguaggi e di stili diversi. Il “Liberty” nel “Dizionario moderno” nella definizione di A. Panzini, in “Ariminum” a. XX n. 4 VII-VIII 2013.
38) Federico Fellini, Il libro dei sogni, Rizzoli, Milano 2007, pp.441,557.

Fotografia d’apertura: la pasticceria Vecchi ai primi del ‘900. Collezione di cartoline Mauri, archivio fotografico Biblioteca Gambalunga Rimini.

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