Il nuovo corso del Meeting: internazionalizzazione o rottamazione?

Il nuovo corso del Meeting: internazionalizzazione o rottamazione?

Viene istituzionalizzata una parabola di espropriazione dell’identità locale cominciata trent’anni anni fa, quando la gestione del Meeting fu milanesizzata di fatto anche se non ancora di diritto. Ennesima occasione persa per Rimini.

Meeting di Cl, Pio Manzù di Filiberto Dasi, Giovanni XXIII di don Oreste Benzi e San Patrignano di Vincenzo Muccioli: sono le realtà di base, nate senza input diretti di tipo politico o ecclesiastico, che hanno innervato la vita della nostra città a partire dalla fine degli anni ’70 in poi.
A testimonianza di quanto fosse fervido e tumultuoso il nostro tessuto sociale e antropologico allora, grazie a una cordialità umana, a una disponibilità soccorrevole, a una capacità di incontro e accoglienza da cui è nato lo stesso fenomeno dell’industria turistica nelle nostre zone.
Pregio e limite d’una temperamentalità che in nessuno dei casi citati è però riuscita a sfociare in elaborazione culturale, in coscientizzazione di sé capace di sviluppare in discorso compiuto l’impeto che li aveva generati fino a resistere all’usura del tempo.
Stigma d’una città nella quale la cultura è sempre stata roba che si mangia, nonostante la barzelletta d’una “Rimini città d’arte” a cui nessuno crede.
E infatti.
Il Pio Manzù s’è estinto col suo fondatore, Sanpa ha dovuto passar la mano a una managerialità di origine milanese e la Giovanni XXIII è potuta continuare solo perché il carisma del suo fondatore, tutto rivolto alla carità familiare e di strada, non ha mai ambito a teorizzazioni intellettuali del tutto estranee alla sua ispirazione.
Per quanto riguarda poi il Meeting, è di ieri la notizia del passaggio di consegne tra la riminese Emilia Guarnieri e il nuovo Presidente Bernard Sholz.
Manager di origini teutoniche da decenni trapiantato in Italia in qualità di Presidente della Compagnia delle Opere a livello nazionale.
Ma la cosa più sconcertante è che nel CDA della Fondazione non compare il nome d’un riminese che è uno, come se quarant’anni di storia fossero stati non superati bensì rottamati da un Neuer Kurs ancor più internazionale che milanese doc.
Col che viene addirittura istituzionalizzata una parabola di espropriazione dell’identità locale cominciata trent’anni anni fa, quando la gestione del Meeting fu milanesizzata di fatto anche se non ancora di diritto.
Nessuna recriminazione, per carità, si tratta solo di constatare una tendenza che vede i riminesi sistematicamente perdenti nei confronti (vogliamo chiamarle così?) di ingerenze esterne da qualunque parte provenienti.
Perché questo?
Perché, come direbbe Cevoli, noi non abbiamo la testa, non mettiamo mai in campo risorse intellettuali che d’altra parte non abbiamo e per questo finiamo per essere sempre pieghevoli, accomodanti, magari un po’ opportunisti visto che poi la cosa torna sempre a vantaggio di qualcuno.
Come testimoniato, in altro campo, dalla genetica sudditanza politica del nostro territorio nei confronti dell’egemonia bolognese.
Quindi perché piangersi addosso?
Nella nostra ignorantezza, associazionistica e individuale, non ci meritiamo altro che Street Parade, Notti Rosa, popolo della notte e un Meeting che è stato fin dall’inizio un palcoscenico in cui altri si esibivano, altri pensavano e teorizzavano, altri manovravano una folla entusiasta capace solo di obbedir tacendo, da quei garzoni di bottega che noi riminesi siamo sempre stati.
Il Meeting insomma come ennesima occasione persa per venire fuori dal buco mentale in cui da sempre in questa città tutti ci arrabattiamo.
Ma va bene così, andiamo avanti così che è meglio.

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