La triste fine della chiesa di San Martino “ad carceres”

La triste fine della chiesa di San Martino “ad carceres”

Fino ad oggi si conoscevano le ragioni che portarono alla demolizione di questo importante luogo di culto, abbattuto ai primi del '900 per far posto ai bagni pubblici. Ma grazie ad alcuni inventari conservati presso l’Archivio Diocesano adesso sappiamo molto di più.

Dopo avere visitato l’ormai scomparso Oratorio di San Nicola da Tolentino, di cui resta solo la bella ma trascurata facciata, è ora il turno della chiesa di San Martino “ad carceres”, che anticamente, prima di essere distrutta, ricopriva il sedime poi divenuto omonima piazzetta.
Proprio in quel luogo staziona una “plancia” posta quasi con imbarazzo, poiché defilata e poco visibile, sorretta da un piedistallo e con una scritta difficilmente leggibile, sotto la quale ne è stata appiccicata successivamente un’altra: anche in questo pannello che richiama un luogo storico della città, sono riusciti a infilarci l’ormai onnipresente Fellini Museum; cosa c’entrerà mai quel rimando? Può comprenderlo solo chi ha imposto che la storia di Rimini comincia da Fellini.

In mezzo alle sedie dei locali si può leggere un poco di storia di quello sfortunato edificio religioso che fu tanto importante in passato da essere Parrocchia a tutti gli effetti.
Leggendo sulla parte alta della plancia un aspetto balza subito all’occhio: “Da allora (1809) cambiò anche la sua destinazione d’uso: da magazzino per il grano a sede della tipografia Malvolti, fino alla demolizione avvenuta nel 1904, per lasciare spazio ai bagni pubblici.” Sebbene – continua la narrazione – il Tonini la raccontasse “di piccole dimensioni e in buono stato, con ancora nei soffitti le pitture settecentesche del Buonamici.” Pare proprio che il Dna dell’aspirante capitale della cultura venga da lontano, e ancora si perpetua senza soluzione di continuità con esempi simili, o quasi, assai recenti.
Nei brogliardi del Catasto Gregoriano la chiesa, distinta al n. 14, risultava di proprietà del “Regio Demanio e per esso il Ministero del Culto”, con denominazione “Chiesa ex Parrocchia di S. Martino” e quindi già in disuso; al n. 13 invece il fabbricato attiguo recava destinazione “Casa annessa alla soppressa Parrocchia di S. Martino ora goduta dal ex Parroco della medesima ad vitam”.

Non ci soffermeremo sulla storia della chiesa, peraltro resa nota da vari trattati storici, ma ci avventureremo in una visita guidata del suo interno grazie alle notizie contenute in alcuni inventari conservati presso l’Archivio Diocesano di Rimini, come al solito redatti con dovizia di particolari dai parroci titolari di allora e che consentono di azzardare la descrizione, seppure assai approssimativa, della pianta del suo interno. I testi sono quattro, alcuni senza data; noi prenderemo in considerazione quello del 1781, pur attingendo agli altri per ulteriori notizie. Ma prima parliamo della Parrocchia.

LA PARROCCHIA
Nella “Relatione della Chiesa Parrochiale di S. Martino et (?) di Rimino posseduta da me D. Pietro Giacomini”, risulta che la chiesa confinava con le Parrocchie di Santa Colomba Cattedrale, San Tommaso Apostolo, San Vitale, e Santa Maria in Corte.
Il Rettore di allora ne divenne titolare nel 1688 in virtù di una Bolla Apostolica del Vescovo di Rimini Corsi, per libera permuta con l’Arciprete di Santa Paola di Roncofreddo, di cui precedentemente il Giacomini era titolare.
La Parrocchia constava ben 243 “fedeli”, un numero importante e considerevole, che venivano suddivisi in tale modo:
“Dé quali sono da Comunione n° 181
Ragazzi e putte che non si comunicano n° 62
Si frequenta la Dottrina Cristiana le Domeniche di questo anno.”
Inoltre, tra i parrocchiani, si annoveravano importanti personalità religiose quali:
“Habitano nella Parrochia il Sig:r Girolamo Guidoni Archidiacono (?)
il Sig:r R. Pietro Ruggieri Canonico della Cattedrale
il Sig:r R. Carlo Rigazzi Canonico della Cattedrale
il Sig:r R. Antonio Montani Canonico della Cattedrale
il Sig:r R. Marino Giannini Canonico della Cattedrale
il Sig:r R. Gio: Antonio Martini Sacerdote semplice maestro della (?)
il Sig:r R. Domenico Felice Giacomini Sacerdote semplice mio Sagrista
sono tutti li Sacerdoti n°7”.

Il Vescovo Domenico Maria Corsi (fonte Wikipedia).

LA CHIESA
Come già accennato in apertura, i minuziosi particolari contenuti negli inventari ci permettono di capire come era questa chiesa ma addirittura, senza alcuna pretesa di nessun tipo, trecciarne una pianta di larga massima, avvalendoci dell’Inventario “Dè stabili e Mobili appartenenti alla Chiesa Parrocchiale di San Martino di Rimini esibito a Mons.re Illmo e Revmo Vescovo in occasione di Visita l’anno 1781” steso dall’allora parroco Arciprete Giuseppe Vannucci.
Il documento esordisce narrando di un consistente intervento edilizio che interessò la chiesa, avvenuto anche con la contribuzione dei parrocchiani. “La Chiesa Parrocchiale di San Martino di Rimini trovandosi mal ridotta dall’antichità fu rifatta tutta di nuovo dal mio Antecessore Sig.r Don Giuseppe Berzanti, e consacrata da Mons.re Vescovo Massa [n.d.r. Renato Massa (16 dicembre 1726 – 13 luglio 1744)] sotto il di 24. Nov.e 1728.” Quell’evento fu ricordato e tramandato ai posteri, con un’epigrafe apposta al di sopra della porta principale della chiesa, e si riporta che ciò sia avvenuto grazie all’interessamento di Gian Battista Gervasoni, peraltro poi sepolto all’interno della chiesa stessa e “onorato da lapida sepolcrale dal dottissimo Sig.r Dott.e Gio: Bianchi posta a man destra sul muro fra le due Porte.” Quindi, la chiesa aveva due porte. Inoltre: “fu innalzata, soffittata, dipinta, e nobilitata d’ogni pregevole abbellimento e vaghezza. L’architettura di essa e il lavoro insieme è opera a disegno dè Berzanti Padre cioè Fratello del Sig.r Rettore defonto e la Pittura del Catino è fattura dè Sig.i Bonamici Gaetano e Gianfrancesco Fratelli.”
Ma chi era Gian Battista Gervasoni tanto da essere onorato in tal modo? Il Gervasoni fu un nobile riminese di recente contea, che come “eletto alle fabbriche” fece costruire nel 1733 la Porta del Borgo di San Giuliano che poi prese il suo nome ed è tuttora esistente.

La porta Gervasona adiacente la chiesa intitolata alla Madonna della Scala.

Ma dopo questa doverosa introduzione, entriamo al suo interno. In fondo alla chiesa notiamo subito l’altare maggiore di “marmo nel quale vi è incastrata la pietra sacrata in una tela indorata”, posto in una sorta d’incavo a modo di piccola Cappella, con ai lati due nicchie chiuse con ante di colore giallo con bordi dorati. In una di esse trova posto l’olio Santo, mentre l’altra custodisce le reliquie di San Martino e altri Santi. Sull’altare si nota il quadro ora in mostra nella seconda cappella a sinistra della chiesa intitolata a San Francesco Saverio, altrimenti detta del Suffragio, opera del Frangipani.

Il quadro posto sull’altar maggiore, ora conservato nella Chiesa del Suffragio a Rimini. Fotografia di Lussi Pagammo.

L’opera, rappresentante S. Martino, la B.V. col Bambino, e S. Giovanni Battista, era contornata da una cornice dorata, ed ancona “di stucco con sua scalinata a due gradini verniciata di giallo, con rabeschi dorati e d° Altare ha l’Urna di gesso con sua Pradella d’abete”.
Poi la chiesa aveva altri due altari dirimpettai nel mezzo delle pareti laterali, simili tra loro “con ornamenti di stucco e pradella di legno verniciato”; occorre però dire che in un precedente inventario redatto dal sacerdote Pietro Giacomini, vi era solo un altare laterale; con tutta probabilità, il secondo fu edificato in occasione del grande intervento che interessò la chiesa, cui seguì la consacrazione, il 24 Novembre 1728, di cui abbiamo sopra già dato notizia.
In uno degli altari laterali vi era un quadro raffigurante la Pietà, del pittore Gian Battista Costa – Rimini il 3 dic. 1697 – (qui) e nell’altro lo sposalizio di Maria Vergine: “Quest’è pittura del nro~ Sigr Gian Battista Costa gentile ma non men che valente, e quello è una Copia assai buona del famoso Cristo deposto dalla Croce, che si conserva in non so quale Chiesa di Sinigallia per un’opra assai rara del Barocci”.

Il quadro raffigurante la Pietà di Federico Barocci, conservato nella chiesa della Croce in Senigallia (Fonte Wikipedia).

A lato dei due altari minori vi erano quattro “specchi” ornati di stucco (specchiature intese come riquadri), probabilmente due per lato; in tre dei quali erano presenti dei ritratti, e nel quarto una grata lignea. Dette immagini ritraevano vari sacri personaggi: la prima il Beato Arduino, la seconda il Beato Giovanni, canonico, ed il terzo l’esimio Belmonti: “son opra, di ciò che dicono gl’intendenti, a pittura del fu Nagli detto per sovranome il Centino scolaro di Guercin da Cento.” Documentato a Rimini tra il 1638 e il 1675.
In chiesa sono presenti due Confessionali d’abete dipinti a noce, una scaletta per accendere i lumi, quindici panche d’abete, quattro panche sempre di abete con spalliera per la Dottrina, uno sgabello e due arcibanchi d’abete con inginocchiatoio e spalliera.
Le due porte della chiesa erano al loro interno pitturate di colore giallo, con le relative serrature e catenacci. Nel lato settentrionale del tetto vi era poi il campanile torretta, e due campane non molto grandi. Ma entriamo nella sagrestia.
All’interno si nota un armadio dipinto color noce, “con diverse secrete a cassettini, e cassetti per commodo degli Apparati, e altre Robe sacre” e due inginocchiatoi. Due cassapanche, un armadio d’abete ottagonale e una piccola nicchia ad uso Sacrario, con anta di chiusura con serratura e chiave. Poi vesti e paramenti sacri ed accessori di ogni genere quali candelabri, calici, turiboli, crocifissi ecc., oltre a “tre ferri per far particole con loro tavoletta, e crivello“.
Come già accennato, la chiesa aveva due porte e quella principale era dotata di una tenda all’interno. Una tenda serviva anche ognuna delle tre finestre, ed anche per separare la sagrestia dall’aula principale, e la sagrestia dal campanile.
Infine, nell’attigua casa, si trovava un cantarano in noce lasciato in sua memoria da certo sig. Ciacci, un armadietto d’abete e un altro a uso archivio che conteneva i libri dei nati, dei morti, dei cresimati, dello stato delle anime, e contabile relativamente le entrate ed uscite della chiesa; oltre al sigillo con l’impronta di S. Martino.
La chiesa aveva vari possedimenti, tutti doviziosamente elencati con relative rendite, sparsi per il territorio riminese, i cui i proventi consentivano di far fronte alle varie spese a cui era sottoposta.

Ricostruzione di larga massima della pianta della chiesa, con l’allocazione degli elementi descritti negli inventari.

IL TERREMOTO
Come è ormai noto, il 24 Dicembre 1786 Rimini e il suo territorio furono colpiti da un grave terremoto che procurò molti danni. Cosa accadde alla chiesa di San Martino rimessa a nuovo nel 1728? Per questo ci viene in soccorso il trattato dell’architetto Giuseppe Valadier che in quell’occasione fu incaricato dal Papa Pio VI di redigere “Perizie dei danni causati alla Città di Rimini dal tremuoto nella notte delli 24 Decembre dell’Anno MDCCLXXXVI”, conservate presso l’Archivio di Stato di Rimini con la segnatura AP619 Volume 1758. E così a pagina 341 leggiamo quali danni subì la chiesa in questione.
“Questa Chiesa con tre Altari trovasi molto danneggiata, vedendovisi molte non leggiere crepature tanto né muri, quanto nelle volte di camera canna, che perciò avrà bisogno di non piccola servitù per riattarla bene. Entrandosi nella Casa contigua del Parroco si trovano varie crepature da rinacciarvi, e nelle stanze superiori occorrerà fare un muro divisorio nuovo, ed anche le volte di cannuccia, che sono moltissimo danneggiate. Dovranno risarcirsi moltissime crepature, con mettere varii architravi alle porte, e fenestre, ed anche collocarvi qualche catena di ferro, massime nel Campanile. Vi occorreranno poi altri risarcimenti, né diversi altri danni che veggonsi in tutta la Casa pé quali occorreranno circa (scudi) 198”.
In tutta la Parrocchia vi furono ben 46 edifici di ogni genere danneggiati, per una stima totale dei relativi danni di Scudi 7.084:50.
Ma proseguiamo. Negli Atti della Giunta Comunale del 1903 viene sancita quella che probabilmente è da considerarsi la fine ultima della chiesa. Anche questo documento è conservato presso l’Archivio di Stato di Rimini, che così recita.

“N°19_ Acquisto di fabbricato per pubbliche latrine
La Giunta Comunale
Considerato che l’attuale latrina pubblica non risponde alle norme più elementari dell’igiene e della comodità … Considerato che date le condizioni di abitato e di aree scoperte della nostra città, non era facile trovare una località molto adatta alla costruzione di una latrina centrale, che richiede spazio ampio per la libera circolazione dell’aria e per la facile fuga dei gas fetidi;
Considerato che la casa posta in Piazza S. Martino di proprietà del Sig. Berti Adamo, ha il vantaggio di essere centralissima … (omissis)
Delibera
1. Di proporre l’acquisto della Casa anzidetta per il prezzo di £ 3500.- (circa € 15.700 odierni) rimanendo nel proprietario l’obbligo della demolizione e l’asportazione del materiale.
2. ….. (omissis)
3. Di invitare la Giunta a presentare il progetto tecnico e finanziario per la costruzione della latrina.”
Segue la parte finale della delibera.

IN TEMPI RECENTI
Nell’anno 2020 furono eseguiti i lavori di rifacimento del complesso della Piazzetta San Martino e, ovviamente, emerse la storia (qui). Poterono finalmente respirare i resti anche importanti di quell’edificio, e una sepoltura comune, oltretutto povera, con i resti di molti defunti, in quella che doveva essere la corte compresa tra l’edificio religioso e la casa parrocchiale attigua.

Foto degli scavi in piazzetta San Martino (Salvatore de Vita).

Poteva essere l’occasione per mettere in evidenza un piccolo angolo di storia cittadina, a ricordo di una chiesa che, seppur piccola, fu importante nel passato; invece no, ovviamente accadde il contrario. Il tutto fu ricoperto dal solito massiccio strato di calcestruzzo simbolo del nuovo rinascimento riminese. Meglio far posto a un triste rinoceronte e dehors senza soluzione di continuità., con la solita banalizzazione di un sito pregno di storia.
E così tornando alla plancia esplicativa di cui abbiamo accennato in apertura, alla fine della descrizione possiamo leggere: “Lo stato di conservazione delle strutture documentate per le sole fondazioni e in diversi settori particolarmente compromesse, ha portato alla decisione di ricoprite quanto individuato”.

C’era qualche dubbio in proposito? Si direbbe proprio di no, il copione è ormai scritto e rappresenta una vera e propria rigida procedura; il solito ritornello che si ripete ogni qualvolta a Rimini riemerge un pezzo di storia. Perché mentre altrove, notizie pressoché quotidiane, emergono evidenze storiche dal sottosuolo e vengono subito valorizzate con orgoglio ed entusiasmo, chissà perché da noi sono sempre impicci e, guarda caso, mancano sempre le condizioni per far sì che ciò avvenga. Sarà una sorta di “damnatio” che incombe sulla nostra città, che si materializza con la propinazione continua di falsi modelli culturali, e dalla quale non ci libereremo più.

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