San Nicola da Tolentino: l’oratorio ritrovato

San Nicola da Tolentino: l’oratorio ritrovato

Grazie a un inventario del XVIII secolo conservato presso l’Archivio Diocesano di Rimini, possiamo immaginare gli arredi interni dell'antico edificio religioso. Una piccola "bomboniera" d'arte e di religiosità.

Nel precedente articolo ho cercato di restituire memoria e dignità al bell’oratorio di S. Nicola da Tolentino, sconosciuto a tanti, di cui ci è pervenuta solo la bella, elegante e armonica facciata, peraltro sotto tutela ma “alla riminese”, visto lo stato in cui versa.
Partendo da ciò che recita l’epigrafe si è cercato, per quanto possibile, di ricondursi alle figure che ruotarono attorno all’edificio religioso; il santo titolare, l’architetto fautore del progetto e il vescovo che ne approvò la ricostruzione dopo la scomparsa di quello del XVII secolo. Ma ora andiamo avanti, cercando di immaginare (basandoci però su fonti certe) l’interno di quella chiesa di cui – purtroppo – non esiste più alcuna traccia.
Per far ciò ci siamo affidati ad un inventario del XVIII secolo conservato presso l’Archivio Diocesano di Rimini, classificato ”V45 inventari”, redatto con una minuziosissima e precisissima descrizione di tutto ciò che si trovava in quel sacro edificio, ma anche dei beni immobili che la Congregazione possedeva. Ovviamente per non annoiare il lettore, sintetizzeremo gli aspetti più salienti; ma, credetemi, purtroppo in tal modo sarò costretto ad omettere altri particolari dettagli.
Ma entriamo assieme in chiesa; seguitemi. L’edificio è ad unica navata, con la sagrestia in fondo a sinistra nel corpo laterale che riporta anche la mappa del Catasto Gregoriano al mappale 700, come poi vedremo.

All’interno vi sono sette panche di abete, e una cassapanca per “conservare la cera” e, probabilmente non distante dalla porta principale d’accesso, un banco di legno di noce – inginocchiatoio – ad uso confessionale con suo sgabello. Nelle vicinanze un’acquasantiera di marmo infissa nel muro, ed un’altra con il suo supporto da terra dello stesso materiale lapideo; forse un fonte battesimale? Oltre ad una cassetta di legno d’olmo con serratura, murata, probabilmente per le elemosine. Ma proseguiamo verso l’altare maggiore, soffermandoci su uno dei due minori.
Ecco l’altare situato a sinistra, sopraelevato dal piano generale con un sopralzo a due gradini, sul quale campeggia un quadro che rappresenta la Beata Vergine con il Bambino, S. Giuseppe e S. Maria Maddalena, con la sua cornice di abete verniciato con fondo turchino e filetti dorati. Al collo della Vergine, “otto Buttoncini d’oro con i suoi [?] granati intramezzati”; forse intramezzati da pietre colorate o simili.
Poi sei candelieri in legno verniciato, e un crocefisso col suo piede simile a quello dei candelabri, e quattro coppe di stucco.
Ora spostiamoci nell’altare di destra dove vi era una nicchia con l’immagine della Beata Vergine Maria con il suo manto di seta colore turchino, e lo sfondo di pari tinta ma con arabeschi dorati e “con un Altarino cò suoi Supeletili simili all’altro Altare del Santo Crocifisso = una cassetta di marollo appesa nel muro di mano manca di detto Altare per l’elemosina con sua serratura, e chiave e cassettina piccola di noce = per cercare l’elemosina”.
Infine arriviamo all’altare maggiore, diviso dal resto dell’aula con una balaustra, formato come nella descrizione originale che riporterò per intero: “Un quadro grande con l’imagine di S. Nicola da Tolentino la B~ma Vergine con il Santo Bambino, e l’Anime del Purgatorio (non dimentichiamo che S. Nicola da Tolentino, era il protettore delle anime purganti, ndr) con diversi Angeli, con tre Corone d’argento una sopra la Testa della B~ma Vergine l’altra sopra la Testa del Santo Bambino, e l’altra sopra la Testa di S. Nicola sudetto, la qual Corona è di detto con un collo di nove Buttoncini di oro, e d’ingranata rosso al Collo di detta B~ma Vergine, ed un sole di detto di argento posto in petto al imagine di detto S. Nicola con sua Ancona e Colonna di legno, e scalinare simile di due gradini con il fondo vernigiato di color carminio, et indorato con il suo Baldacchino di sopra di tela colorito di diversi colori con il suo ferro lungo, e con un velo di seta rosso per coprire detto Santo.
Sei Candeglieri d’ottone con sua Croce, e piede simili quanto cappa di stucco vernigiate di color verde e giallo con quattro rame di fiori finti usi = Tre cartelle per detto Altare del medesimo colore con due Candeglieri di noce con suoi spontoni di ferro, e padelle di (?) con tre tovaglie dimesse una sopra detto Altare e una coperta di tela per coprire il mede[si]mo con suo paglio di scaiola con cornice di legno nero con sua pradella di abeto [abete] con sua Balaustra inanzi detto Altare, et un legio [leggìo] di noce per il Messale”.
A lato dell’altare, verso la sagrestia, vi era una nicchia che conteneva un Crocefisso dorato con un piccolo altarino di legno con cornice nera, e palietto di scagliola. Sempre nella parte che confinava con la sagrestia, era presente una campanella con la sua intelaiatura infissa nella muratura.
Ed ora entriamo in sagrestia. Qui, tra l’altro, erano conservati due cataloghi in legno, con l’immagine di S. Nicola, in cui erano trascritti i nomi dei confratelli e sorelle civili della Confraternita, ed uno dedicato a quelli appartenenti al clero. Poi mobili contenenti vesti e oggetti per le sacre funzioni, un’acquasantiera a muro, “un quadro grande, ma vecchio rappresentante S. Nicola con sua cornice nera”, e altre tantissime cose minuziosamente descritte; oltre ad “un credenzone d’abeto [abete], che è sopra la cantoria”, quindi in quella chiesa doveva pure esserci una cantoria.
Infine il citato inventario riporta anche l’esistenza di “un quadro novo con l’imagine [immagine] di S. Nicola da Tolentino sopra la porta piccola fuori dalla Chiesa”. Particolare curioso perché fa supporre dell’esistenza di una porta secondaria di accesso all’oratorio, magari verso l’attuale via Garibaldi unico lato libero oltre alla facciata; ma – ahimè – non lo sapremo mai con certezza.
La confraternita era ben munita e fornita di beni immobili quali case, siti in parrocchia di S. Agnese e in quella di S. Colomba, e “possessioni” di terreni agricoli in varie località circostanti tra le quali la “Colombarina”. Il quadro economico si completava con l’elenco del bestiame presente nei fondi agricoli, che arricchiva complessivamente l’importante rendita.
Ma c’erano anche le spese sottoforma di messe da celebrare, manutenzioni agli immobili di proprietà, stipendi al sagrestano e al fattore, ed altro. Anche il bilancio era ben documentato con dovizia di particolari.
Nel 2013 un istituto bancario locale, oggi trasformato in altro analogo, commissionò ad un noto ed importante studio tecnico del circondario, un progetto per il restauro della facciata. Nonostante le ricerche, non siamo riusciti a comprendere quale ne fosse il fine per via del fatto che i personaggi che allora seguirono la questione non sono oggi più operanti nella professione. È comunque evidente che la cosa non ebbe seguito, arrestandosi per qualche ignoto motivo.
In questa nostra seppure modesta indagine, abbiamo voluto dare un senso reale a quello che è di fatto un estemporaneo relitto di quel passato caratterizzato dalla ben nota “riminizzazione”, abbastanza incomprensibile ai più, sottoscritto compreso, e partendo come sempre da ciò che ci racconta un’epigrafe apparentemente muta. E speriamo di avere raggiunto l’obiettivo.
Non si è trattato di un’operazione nostalgica, ma di far rivivere un aspetto del nostro passato che sebbene sia stato cancellato ne è rimasto un segno, la facciata, che, sebbene assai bistrattata, è lì e reclama la sua storia; e da qui una considerazione. Quello che avvenne nell’oratorio in questione risale al periodo dell’immediato dopoguerra; quindi c’è chi lo inquadra in un clima di veloce ricostruzione, con poche regole e ancor meno pregiudizi e molta speculazione; non è una giustificazione ma – si accampa – essere stata la necessità del momento. Quello che invece è avvenuto nell’ultimo ventennio, non ha neppure finti alibi come quello citato in precedenza ma è solo il frutto di ignoranza e spregio della nostra storia, l’apoteosi di una presunzione culminata nella rovina e ridicolizzazione di importanti testimonianze del passato che ci erano state tramandate, tali erano nella loro forma ed importanza.
Il riferimento va ovviamente al Castello Malatestiano con il suo fossato e intorno negati, votato ad un museo posticcio, improvvisato e improbabile, oltreché di scarso provato interesse (qui). Alla cancellazione della storia riminese emersa in Piazza Malatesta, e tutti gli improvvidi interventi perpetrati al Ponte di Augusto e Tiberio.
La sostanza? Molte cose cambiano nel tempo ma, nonostante le mutate condizioni oggettive e temporali, Rimini è sempre la stessa quando si trova dinnanzi all’eredità storica e culturale ricevuta dal passato.

COMMENTI

DISQUS: 0