Le epigrafi che raccontano la storia di Rimini: Sant’Agostino

Le epigrafi che raccontano la storia di Rimini: Sant’Agostino

Sono numerose nella chiesa che per importanza può essere classificata al secondo posto dopo il Tempio Malatestiano. Giovanni Rimondini ci guida alla scoperta di queste iscrizioni.

Proseguiamo il nostro viaggio nel mondo delle epigrafi presenti nella nostra città (qui), ed in particolare nei monumenti religiosi che ci sono stati tramandati, superstiti delle distruzioni belliche e delle insensate precedenti e successive demolizioni in nome di un brutale modo di intendere il progresso.
Passo dinnanzi alla chiesa intitolata a San Giovanni Evangelista, altrimenti detta e meglio nota come di Sant’Agostino ove si trovano quattro importanti epigrafi.
E nell’austera facciata scorgo la prima, che fa parte di un piccolo monumento sepolcrale di evidente rilievo data la sua ubicazione.
Sono curioso, appassionato di storia cittadina, e vorrei saperne di più: telefono quindi all’amico Giovanni Rimondini – Gianni per gli amici come ama dichiararsi -, che mi dà appuntamento il giorno successivo davanti alla chiesa.
Ci incontriamo come convenuto e prima di parlarmi di quell’epigrafe e del manufatto, di cui è parte integrante, mi invita a “leggere” l’esterno di quell’importante edificio e mi racconta la sua storia. Quale occasione migliore quindi.
«La chiesa è la seconda per importanza dopo il Tempio Malatestiano e fu eretta da un monaco architetto cistercense alla metà del ‘200. Nota alcuni importanti elementi architettonici», mi spiega, indicandomi con la mano. «Le bellissime paraste e la cornice superiore ad archetti lombardi, le monofore ogivali, e i tre piccoli rosoni in facciata; fu costruita per il nuovo ordine degli Eremiti di Sant’Agostino o Agostiniani da poco allora entrati in città. Il campanile invece è opera di un architetto veneziano dei primi del ‘300, con le bifore ogivali orientaleggianti, e balaustra superiore in pietra d’Istria, cimasa posteriore».
Già che ci siamo, ne approfitto per visitare l’interno e farmelo descrivere.
E cosa mi racconti riguardo agli interni? Lui mi invita a seguirlo, e una volta entrati inizia ad illustrare il contesto.
«L’interno fu modificato con un ordine gigantesco di paraste corinzie alla fine del ‘600, con stucchi e col soffitto su disegno del grande architetto bolognese, famoso in Europa, Ferdinando Bibiena (1657-1743)».
E così dicendo mi accompagna a visitare il resto.
«Vedi Salvatore, all’interno nella prima cappella a destra un Cristo deposto ligneo del secolo XIII proveniente dalla soppressa cattedrale di Santa Colomba. Nel secondo altare una splendida tela raffigurante la carità di San Tommaso da Villanova del pittore bolognese Marcantonio Franceschini (1648.1729). Nella cappella di fronte la brutta copia ottocentesca del Presepe del pittore veneziano Jacopo Palma il Giovane (1549-1528)».

Poi la bella circostanza non può che concludersi parlando della grande scuola pittorica riminese del trecento.
«Nei primi di maggio dell’anno dopo il terremoto del 1916, Vittorio Belli (1870-1953) – medico, politico, archeologo, antiquario, fondatore di Igea Marina – salì sulle impalcature dell’abside, erette per le riparazioni della chiesa di S. Agostino, grattò lo spesso strato di gesso delle pareti e scoprì un meraviglioso ciclo di affreschi. Con il suo amico Alessandro Tosi cercò con successo di farli restaurare del bravo Giovanni Nave. Pochi anni dopo la prima mostra della scuola riminese del ‘300, allora ritenuta la terza per importanza in Italia dopo quella fiorentina e quella senese. Nei musei di tutto il mondo si scoprivano croci, polittici, tavole e altro della scuola di Rimini. In S. Agostino gli affreschi della cappella che (non) si vede alla destra di quella maggiore con le storie della Vergine Maria, furono attribuiti a Giovanni da Rimini. Invece quelli della cappella maggiore sono tuttora attribuiti a diversi pittori, e gli altri che erano visibili sul muro sopra l’apertura dell’abside, tra il soffitto e il tetto, rappresentanti il Giudizio Universale, vennero staccati ed esposti nell’Arengo; l’autore fu chiamato il Maestro dell’Arengo. In seguito passarono poi nel museo della Città, oggi museo Luigi Tonini, e poi di nuovo nell’Arengo e mi dicono che Gnassi voleva farli ritornare nella sala di quell’edificio».
Probabile Gianni, interrompo; all’interno di una nuova galleria di arte moderna forse per darne più interesse, situato peraltro in un sito di alta valenza storica ben diversa da ciò che è esposto. Ma si sa, ormai è una peculiarità tutta riminese quella di creare musei con temi decontestualizzati rispetto i luoghi in cui vengono allestiti. Lui annuisce e prosegue.
«Nella chiesa sulla parete di destra è esposto il bellissimo Crocifisso che stava su una trave dell’entrata del coro davanti all’altare maggiore; si ispira al Crocifisso di Giotto, ma con una gamma di colori più brillanti.
Sulla parete di sinistra della navata un affresco staccato con la Vergine e Santi, proviene dal camerino della sala di proiezione dell’ex cinema Sant’Agostino».
È stata una piacevole illustrazione, ma torniamo all’epigrafe della facciata principale (e nel mentre ci rechiamo all’esterno).

LA TOMBA AD ARCOSOLIO CATACOMBALE DI GIOVANNI BATTISTA PACI, 1610, PER LA PRIMA VOLTA SPIEGATA

D[EO]. O[PTIMO]. M[AXIMO]
IOAN(NI). BAPTISTA. ARIMIN(ENSI). ILLVST(RI). GENER(I). PACIO. EXIMIIS. MERITIS
ORNATO. VIRO. S(ANCTI), STEPHANI. EQVTI. COME(N)DATARIO. QVI. P(RO). CLARISS(IMIS).GESTIS. TERRA. MARIQ(VE). HEROS. LAVDATI(S)S(IMVS). FAMAM. EXTE(N)DIT.
FACTIS. VIRTVTIS. OPVS. IV. ID(IBVS). SEPT(EMBRIS). M.D.C.XV.
SEPTVAGENARIVS. DECESSIT. Q(VALITER). PATRIAE. DECVS.
NICOLAVS. EQVES. SABAVDI. ET. FRANCISCVS. FILII. PIENTI(SSIMI). POS(VERE).

[LODE A DIO OTTIMO E MASSIMO
NICOLA CAVALIERE DEI SANTI MAURIZIO E LAZZARO, E FRANCESCO FIGLI AMOROSISSIMI, POSERO
QUESTO MOMUMENTO A GIOVN BATTISTA DELLA NOBILE ED ESIMIA FAMIGLIA PACI, RIMINESE, UOMO COLTO, CAVALIERE E COMMENDATORE DELL’ORDINE DI SANTO STEFANO, CHE PER FAMOSISSIME GESTA IN TERRA E IN MARE LODATISSIMO EROE ESTESE LA FAMA PER AZIONI OPERA DI VIRTÙ. MORÌ A SETTANT’ANNI IL 12 OTTOBRE 1615, QUALE DECORO DELLA PATRIA.]

Come accennavamo in apertura, all’interno della chiesa vi sono alcune epigrafi funerarie importanti che affronteremo; ma cominciamo dalla tomba esterna di Giovan Battista Paci, dalla simpatica e nuova forma ad arcosolio, come nelle Catacombe che cominciavano ad essere riscoperte a Roma.
Giovan Battista Paci, chi era costui che ha meritato un così importante monumento funerario, in un altrettanto rilevante edificio religioso? Lo chiediamo al nostro disponibile erudito.

[1 – continua]

COMMENTI

DISQUS: 0