Le vendette e i molti bastoni fra le ruote che hanno fatto morire Eticredito

Le vendette e i molti bastoni fra le ruote che hanno fatto morire Eticredito

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“Con l’uscita di scena di Alfredo Aureli dalla Fondazione Carim, il nuovo corso non poteva permettere che prendesse corpo una esperienza bancaria di successo, soprattutto in settori d’intervento presidiati dalla stessa Fondazione”. Lo rivela colui che è stato vicepresidente della Banca etica dell’Adriatico, Bonfiglio Mariotti. Eticredito tre anni fa è stata un “salvagente” per Carim. Ma cosa è rimasto del valore che ha immesso nella Cassa di Risparmio?

E’ stata chiamata “una piccola banca con un grande progetto”. Piccola lo è stata davvero. Un solo sportello, in via Dante Alighieri 25 a Rimini, e una decina di dipendenti. Ma con un grande progetto: spalancare le porte del credito ai soggetti maggiormente in difficoltà, quando addirittura “non bancabili” e dunque ai margini del settore finanziario tradizionale: le famiglie che hanno beneficiato del microcredito hanno rappresentato il 52% della clientela di questa banca sui generis. E poi fornire una leva al terzo settore (al quale andava circa il 30% della erogazione degli impieghi totali della banca) e alle buone pratiche in ambito ambientale, ovvero il finanziamento a favore delle fonti energetiche rinnovabili. Due campi d’intervento che totalizzavano il 47% dei capitali impiegati. E tutto questo con “sofferenze” bancarie praticamente irrisorie, nell’ordine di qualche migliaio di euro.
E’ nata da alcuni imprenditori illuminati e decisi a concretizzare sul territorio riminese i principi della finanza etica, l’avventura di Eticredito, “Banca etica dell’Adriatico”, la prima e per ora anche l’unica banca etica “spa” (la Banca popolare etica di Padova, sorta nel 1998, ha avuto ed ha caratteristiche diverse). Ha però avuto vita breve. Nel 2013 si dovette fondere con banca Carim.

La mente ideatrice di Eticredito è stata quella di Alfredo Aureli. Al suo fianco si sono subito radunati, e con molta convinzione, Vittorio Tadei, che fu anche il primo presidente (il secondo è stato Maurizio Focchi), scomparso lo scorso luglio, Giovanni e Linda Gemmani, le famiglie Aureli, Bonfiglio Mariotti ed altri. Furono ben 54 i soci fondatori (seppure una decina quelli con il portafoglio più voluminoso), e fra questi anche la Diocesi di Rimini, Cbr, la Fondazione Cassa di Risparmio e Sums di San Marino. Se ne aggiunsero altri in una seconda fase, portando il capitale sociale da 7 a 14 milioni di euro. Fra i fondatori anche Carim e Fondazione Cassa di Risparmio.
La storia ufficiale di questa incorporazione è stata scritta in corpose relazioni di esperti e amministratori, progetti di fusione e, per l’opinione pubblica, in vari comunicati stampa (si può leggere tutto sul sito di Carim).
Un’altra storia la racconta colui che è stato il vicepresidente di Eticredito, peraltro proprio nella fase finale che portò alla fusione: “Il mancato decollo di Eticredito è soprattutto da attribuire ad un fatto: con l’uscita di scena di Alfredo Aureli dalla Fondazione, il nuovo corso non poteva permettere che prendesse corpo una esperienza bancaria di successo, soprattutto in settori d’intervento presidiati dalla stessa Fondazione”, spiega Bonfiglio Mariotti (nella foto).

Ma qui occorre una breve parentesi per tutti coloro che non seguono da vicino le vicende riminesi e men che meno tengono a mente le date. Alfredo Aureli diventa presidente della Fondazione Carim nell’aprile del 2008. Si dimette nel marzo del 2010. Spiegare cosa ci fu all’origine di questo clamoroso addio sarebbe troppo lungo ma la sintesi è questa, secondo le parole che lo stesso Aureli rilasciò in quei giorni alla stampa: “Mi dimetto, non voglio più perdere tempo con la Fondazione. Voglio essere libero, mentre all’interno del consiglio ci sono tanti, troppi consiglieri che la loro libertà l’hanno persa, facendosi condizionare da interessi e lobby”. Aureli spiegò ampiamente che durante la sua permanenza a Palazzo Buonadrata non gli fu permesso di operare liberamente e nemmeno di indirizzare come avrebbe voluto la banca di riferimento, guidata dal 2003 dal direttore generale Alberto Martini e dal vice Claudio Grossi, dopo una ultraventennale direzione Roccati (che poi si trasferirà armi e bagagli, con lo stesso ruolo, in Eticredito).
Nell’aprile del 2010 Massimo Pasquinelli diventa presidente della Fondazione (e resterà in sella per sei anni). Nel 2007 al vertice di Carim era arrivato Giuliano Ioni. Dal 2010 al 2012 Carim viene sottoposta da Bankitalia alla procedura di amministrazione straordinaria, con tutto quello che il commissariamento comportò. Tanto che per gli ex amministratori dell’istituto di credito di piazza Ferrari il 20 settembre si apre il processo, mentre domani l’assemblea dei soci Carim deciderà in merito all’azione di responsabilità verso gli stessi amministratori.

Torniamo a Eticredito. “E’ stata una banca a servizio della città e non dei soliti noti, ma purtroppo non è stata fatta decollare, le è stato impedito di crescere”, attacca Mariotti. “Era nata con tutti gli obiettivi e i valori di una banca etica, per aiutare le famiglie in difficoltà o le nuove famiglie giovani alle prese coi problemi della casa, così come le imprese innovative soprattutto nell’ambito del fotovoltaico e dell’edilizia sostenibile, fino al terzo settore. Erogava prestiti e mutui a tassi molto contenuti. Una banca vicina alla gente, che ha anche educato al credito, secondo lo spirito originario di fare banca che germinò le Casse di Risparmio, compresa quella di Rimini.” Ma come avrebbe potuto reggersi con un solo sportello e sobbarcandosi comunque tutte le spese e i macchinosi adempimenti di una banca? “Il business plan iniziale fu fatto ben sapendo che Eticredito non si sarebbe potuta reggere in piedi se non ‘appoggiandosi’ sulla rete delle filiali di Carim. Era la precondizione, insieme ad una struttura “leggera” e snella, per svolgere la propria mission. Ma quando Alfredo Aureli lasciò la Fondazione, ed Eticredito era ancora in una fase di “rodaggio”, incontrammo enormi ostacoli e il sistema della rete non decollò. Direi che ci misero molti bastoni fra le ruote. Nelle filiali Carim non è mai stata presente l’offerta dei prodotti bancari di Eticredito”. Non ci sono dubbi che questo fosse il problema principale perché lo si può leggere nero su bianco nelle relazioni redatte in vista della incorporazione, dove si dice che “la fusione consentirà a Eticredito di superare l’attuale stasi operativa dovuta alla mancanza di una rete di sportelli, cui supplirà la rete delle filiali Carim…”
Ci furono anche episodi che spiegano meglio di tante parole con quale ottica Carim guardasse a Eticredito: “Ricordo, ad esempio, che un socio di Eticredito voleva spostare 200 mila euro di depositi da Carim in Eticredito e venne fuori il finimondo, Carim la considerò concorrenza… Eppure si parlava di briciole e va comunque considerato che Carim e Fondazione erano socie rispettivamente col 9,92% e il 14,89%” in Eticredito.
Nonostante questo ostracismo, l’ultimo bilancio di Eticredito (anno 2012) evidenziava una raccolta di 40 milioni di euro, con un incremento sull’anno precedente del 13,39%. Impieghi per oltre 35 milioni di euro (+ 6,81%), il 61% dei quali rappresentato da mutui ipotecari per l’acquisto della prima casa. Va detto anche che consiglio di amministrazione e sindaci revisori di Eticredito lavoravano su base volontaria, senza percepire un euro.
Ma alla resa dei conti, i costi di struttura di una qualsiasi banca però con un solo sportello, la crisi economica (quella peggiore dai tempi della grande depressione scoppia fra 2006 e 2007) e soprattutto il fatto che Carim non mise a disposizione le proprie filiali per i particolari prodotti di Eticredito (come era invece previsto dal business plan), fanno sì che i bilanci si chiudano con perdite ripetute, seppure contenute. Nel 2011 arriva anche l’ispezione programmata di Bankitalia che fa i complimenti al consiglio di amministrazione per la gestione della banca, ma spinge per la fusione con Carim. Bankitalia che, a conclusione del periodo di amministrazione straordinaria, indicò pure a Carim la strada da seguire: rafforzamento patrimoniale anche tramite la fusione con Eticredito. “Il lavoro di Banca d’Italia sui due tavoli (Carim e Eticredito) e la presenza al nostro interno di due soci (Fondazione e Carim) che insieme detenevano quasi il 25% delle azioni, non ci lasciò molta scelta rispetto alla fusione in Carim”, aggiunge Mariotti. Quel che accadde in seguito, però, assume contorni inquietanti se osservati oggi.

L’atto di fusione è del primo ottobre 2013, ma con incidenza sul bilancio dal primo gennaio dello stesso anno (tutta l’estenuante trattativa fu condotta nei due mesi finali del 2012) per consentire una migliore operatività a Carim già nel 2013. “Con la fusione Eticredito apportò un capitale liquido di circa 14 milioni di euro. Per Carim l’incorporazione significò un apporto patrimoniale di 10,4 milioni di euro, una crescita della raccolta totale di 40 milioni di euro, maggiori impieghi per oltre 35 milioni di euro, soprattutto significò un miglioramento fondamentale del rapporto capitale-impieghi di Carim, come pretendeva Bankitalia”. Fu una trasfusione di sangue per Carim. Ma tirando una riga oggi si vede chiaramente che a rimetterci sono stati gli azionisti di Eticredito: “Acquisimmo le azioni Carim al valore nominale di 5 euro. Oggi non sappiamo come andrà a finire perché con la nuova ispezione di Bankitalia la ricapitalizzazione è stata stoppata, ma sappiamo che il prezzo di collocamento delle azioni era stato fissato in 2,90 euro. Potrebbe scendere ancora, anche sotto 1 euro. La morale è che Eticredito tre anni fa è stata un “salvagente” per Carim ed oggi il valore delle azioni si è più che dimezzato e rischia di andare in fumo”.
Nell’ultima relazione al bilancio di Eticredito il comitato etico si diceva convinto che “il seme di Eticredito germoglierà e crescerà rigoglioso in una Carim del territorio”. E’ andata così? “Abbiamo certamente messo un seme, che purtroppo non ha dato il raccolto atteso ma non certo per responsabilità nostre”, commenta Mariotti. “Abbiamo dato vita a progetti innovativi, come Sbankiamo (educazione finanziaria ed imprenditoriale rivolta ai giovani), abbiamo consentito a Carim di mettersi all’occhiello il fiorellino etico, ma mi sarei aspettato di verderlo crescere molto di più. Una delle condizioni che abbiamo preteso per la fusione è stata la costituzione di un comitato etico all’interno di Carim con funzioni consultive e la conseguente modifica dello statuto, ma non si sa bene come operi e quali risultati raggiunga perché sulla pagina internet relativa non c’è alcuna rendicontazione”. Che dire? “E’ stata sacrificata una piccola banca con enormi potenzialità e cosa abbiamo oggi? Penso che Eticredito sia la dimostrazione di come gelosie e divisioni, poteri arroccati su se stessi, scarsa lungimiranza, possano nuocere ad una intera città”. (c.m.)

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