Melucci ucci ucci sente odor di disastrucci anche alle amministrative del prossimo anno

Melucci ucci ucci sente odor di disastrucci anche alle amministrative del prossimo anno

E Sergio Pizzolante già si preoccupa per Gnassi: "C'è chi vuol provocare una reazione per mettere in crisi la Giunta"

L'ex vicesindaco e assessore regionale al turismo ha fatto la parte del leone alla direzione provinciale del Pd. Assestando colpi al suo eterno rivale e al principe di palazzo Garampi. E su quel che attende il Pd fra un anno non è molto ottimista: "Sento dire che sono altre elezioni, contano i programmi ed i profili dei nostri candidati. Ricordo che le ultime tornate amministrative le abbiamo perse. A Rimini ed in Italia".

Dopo i tentativi di spegnere sul nascere il dibattito interno al Pd riminese, è arrivato il momento di bere l’amaro calice. Ieri sera nella direzione provinciale del Pd c’è chi si è tolto i macigni dalle scarpe. Fra gli interventi resi noti, la lectio magistralis l’ha pronunciata l’ex vicesindaco e assessore regionale al turismo, che ha fatto la parte del leone, ma senza doverla recitare: Maurizio Melucci è un “animale” politico come pochi altri e uno dei pochissimi che a Rimini quando parla di politica sa quel che dice. Ora, poi, che è stato costretto ad un ruolo di panchina dal nuovo corso di palazzo Garampi, ha cominciato a sfoggiare il gusto dell’analisi senza badare ai contraccolpi, va via liscio e bombarda leggero, sgancia bombe con aria innocente, mette pallettoni nel suo cannone come stesse spargendo margherite.

Cosa ha detto Melucci? Tralasciamo i voli di gittata nazionale e limitiamoci ai contenuti locali.

Primo. Discutere, anche col coltello fra i denti, non si può ma si deve. “Spiace che questa discussione, vera e partecipata, dopo anni, venga relegata a un litigio. Oppure come è stato scritto ieri, la solita musica, che ricorda quella suonata sul ponte del Titanic”. E così ha anche alzato un iceberg davanti all’ingresso della redazione del quotidiano di piazza Cavour. Ma ha soprattutto zittito la tromba del segretario del partito, Stefano Giannini, e arato al di fuori del campo riminese del Pd: “Non ci sono conti da regolare, ma stiamo discutendo di una sconfitta senza precedenti per la storia della sinistra italiana. Forse in altre parti della regione ad iniziare da Bologna si suona sul ponte del Titanic”. Si aprono prospettive diverse sul presente e sul futuro del Pd: affrontarle a viso aperto non equivale a litigare. “Ritengo sia utile poter fare questa discussione senza essere richiamato all’ordine oppure venire bollato come rancoroso, gufo o rosicone”.

Secondo. Ci sono troppi verginelli in giro, c’è chi ha perso alla grande e bisogna che lo capisca il prima possibile. Vi è “una classe dirigente travolta dalle proprie responsabilità” che vorrebbe “rovesciare su altri colpe che sono interamente sue” e non mancano “militanti e iscritti tuttora convinti che la via di una possibile riscossa passi dalla insistenza su una strategia che gli eventi hanno dimostrato paurosamente fragile”. Ragionamenti rivolti al Pd di Renzi ma anche a quello di Rimini.
E fra coloro che sono stati travolti ci sono i fautori del “modello Rimini”. Chi ha detto dopo il voto che “il modello Rimini non esiste” (leggasi Emma Petitti), ha fatto solo “una considerazione politica conseguente al risultato delle elezioni”.
Qui ha addolcito un po’ la pillola per farla ingerire al compagno Andrea, ma la medicina ha mantenuto tutto il suo sapore amaro per il “rivale” di sempre: “Non vi era nessuna critica all’azione amministrativa, ma l’idea di esportare la coalizione che ha vinto le elezioni amministrative del 2016 sul piano romagnolo e forse regionale. Il Pd alleato di una lista (Patto Civico) che doveva rappresentare il ceto medio riminese con una visione programmatica lontano dai populismi. Modello in qualche modo riproposto a Riccione (con i noti risultati). Il voto alle politiche ha dimostrato la totale inconsistenza politica di quel progetto, nonostante fosse candidato una dei teorici di questa proposta, Sergio Pizzolante, ed ampiamente sostenuta in campagna elettorale dal Pd. L’elettorato di quella lista civica ha votato centro destra, anzi una buona parte Lega”. Il passaggio successivo è stato ancora più tagliente: “Ebbene, questa valutazione politica ha fatto innalzare un fuoco di sbarramento per stroncare sul nascere questa discussione. Non è lesa maestà al sindaco Gnassi. E’ un confronto necessario. Non funziona, semmai ha funzionato, un uomo solo al comando. E non funziona neanche prendere atto di scelte fatte in pochi e poi che debbono essere ratificate senza poter obiettare nulla”. Come non leggere una bastonata anche a chi, con tanto impegno, ha tirato la volata a Pizzolante, cioè l’uomo solo al comando del palazzo?

Terzo. Il mantra del populismo, ovvero non avere capito nulla. “In Italia non è in atto un confronto/scontro tra populismo e riformismo, ma tra inclusi ed esclusi”. Su questo foglio online avevamo parlato dei “fighetti” del Fulgor e dei riminesi alle prese coi problemi quotidiani. “Non bolliamo tutto come populismo o demagogia”, ha puntualizzato Melucci. “In realtà è stata una campagna elettorale tra chi nella società si sentiva in qualche modo incluso e chi invece si sentiva escluso. Gli esclusi del Sud senza prospettiva, gli elettori del Nord preoccupati dalle tasse e dai migranti, per questo si sentivano esclusi dalle politiche di governo. In Italia non è in atto un confronto/scontro tra Populismo e riformismo. Ma tra inclusi ed esclusi”. Pd e Forza Italia, è stata ancora la lettura di Melucci, “riferimento degli inclusi, Lega e 5 stelle degli esclusi per la questione sociale o preoccupati per la sicurezza. Inclusione ed esclusione non solo per motivi economici ma anche legati alla qualità urbana in senso ampio”.

Quarto. Il 2019 è vicino e tira una brutta aria. “Il prossimo anno vi saranno elezioni amministrative importanti. Sento dire che sono altre elezioni, contano i programmi ed i profili dei nostri candidati”. Che è stato il punto di vista di Gnassi. “Ricordo che le ultime tornate amministrative le abbiamo perse. A Rimini ed in Italia. La differenza di voto è sempre più debole, anche in Emilia Romagna. Non abbiamo molto tempo.”
Chi pensa ai “ricollocati”, come Domenica Spinelli da Coriano, non ha capito nulla, ha chiosato Melucci, non sarà certo lei, né altri come lei, “l’asso nella manica” del centro sinistra.

La pensa così, sul punto della prossima tornata elettorale, anche Emma Petitti: “I nostri territori, la nostra regione, sono contendibili e se non individuiamo insieme uno scatto, sul piano della reazione, probabilmente non riusciremo a recuperare. Per la prima volta sappiamo che la nostra regione è contendibile da parte del centro destra a trazione leghista e una lettura del voto in tutta la nostra regione dice chiaramente che non esistono più zone dove lo ‘zoccolo duro’ ci protegge dal rischio di perdere le elezioni. Semplicemente perché lo ‘zoccolo duro’ non c’è più”. Al massimo esistono delle enclave ma Rimini non fa parte di queste.

I ceti popolari non votano più il Pd. “I voti li abbiamo mantenuti nei centri urbani, dove la gente sta meglio, perdendoli nelle periferie che una volta davano voti sicuri alla sinistra. E anche da noi, anche in Emilia-Romagna, il centro destra è competitivo trainato dalla lega che è alimentata dai voti dei ceti popolari in particolare dagli operai, dal mondo del lavoro dipendente, piccoli imprenditori e categorie minacciate dalla globalizzazione dei mercati. Il movimento cinque stelle attraendo il voto di sinistra deluso ci indebolisce nella nostra compagine favorendo la maggior capacità competitiva del centro destra”.

Le ha fatto eco Juri Magrini: “Siamo diventati antipatici e siamo percepiti come il partito delle Banche e degli interessi“.

Andrea Gnassi non ha dato l’impressione di avere elaborato il lutto. Nessuna analisi sul modello Rimini e sulla debacle di Pizzolante.
Si è detto convinto che il voto amministrativo del 2019 il Pd se lo possa giocare costruendosi “un’identità, una riconoscibilità, una nettezza su proposte che alla base devono avere il coraggio delle scelte”. Puntando su “welfare di comunità, riconversione di un modello di sviluppo non centrato sul consumo di territorio, ma sui grandi motori della cultura, dei servizi e delle tecnologie su cui si formano e trovano occupazione i nuovi lavoratori”. Coraggio delle scelte, ha aggiunto, “sull’accoglienza delle persone, che implica solidarietà, ma anche fermo rigore verso chi non si vuole integrare e non sta alle regole”. Coraggio delle scelte è quello, secondo Gnassi, “dell’area vasta della sanità romagnola” o “il recente processo di unificazione delle agenzie della mobilità e del trasporto pubblico romagnolo, realizzato per dare al futuro della mobilità un ambito adeguato e prospettico per gli investimenti ecocompatibili e per continuare a garantire la fruibilità nei territori più disagiati e per le fasce sociali meno autonome”.
Il sindaco di Rimini vede “un PD perno di un progetto riformatore che si allarga al centro e a sinistra, a un civismo sociale e ad un civismo dell’intraprendere, dell’impresa, delle professioni. Un allargamento non centrato su alleanze politiciste o accordi elettorali immediatamente percepiti come ‘di plastica’ e dunque con scarsa o nessuna capacità espansiva, ma centrato su idee dichiarate di città e di Paese, capaci di dialogare e includere forze dinamiche e attive nelle nostre comunità”. Cioè la linea seguita fin qui da lui e da Pizzolante. Sarà vera gloria?

Pizzolante già si preoccupa per Gnassi. Sergio Pizzolante sulla sua pagina Facebook ha pubblicato un post (“Il Pd e la realtà”) nel quale, prima di dare spazio alla analisi del voto a Rimini realizzata dal centro studi della Luiss, scrive: “Siccome ho letto in queste ore analisi sconclusionate e malevole, non per polemica politica, cosa della quale non mi importa più nulla, ma perché ogni uomo ha diritto a difendere la sua dignità, la propria storia e il pensiero che origina ogni sua azione. E perché si dichiara morto ciò che è vivo”. Dai dati del centro studi “è dimostrato che è il Pd a non esistere più! Almeno il Pd di 5 anni fa. Il Pd di chi ha dichiarato di non votare Pd nell’ultima campagna elettorale. È il Pd che ha perso metà del suo elettorato verso la Lega e i 5 stelle.  Lo studio che ripubblico dimostra che senza un 10% di voto moderato (e sempre lo stesso studio, non io, sostiene che questo è successo anche per la mia candidatura. E il voto si è espresso su più fronti, sulla persona, sul Pd, su liste collegate) proveniente dal centro destra e dal centro, il centro sinistra a Rimini avrebbe preso il 17%. Con il Pd sotto il 15.  Questi sono i dati. Se qualcuno che non ha votato Pd non vuol vederli… problemi suoi. E dire che l’alleanza di Rimini è finita è da irresponsabili! Significa che vuol provocare una reazione per mettere in crisi la Giunta Gnassi”. Siamo o no nei giorni della passione?

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