In uno scritto dell'attore che oggi tutti ricordano con commozione per le sue qualità umane e per il suo talento artistico, è racchiuso un rapporto di particolare legame con Rimini: le scuole medie dai Salesiani, dove è sbocciata la passione che non l'ha più abbandonato, l'incontro con don Oreste Benzi e con don Giancarlo Ugolini. Ed è da qui che ha spiccato il volo verso il «mestiere rischioso».
Era nato a Rimini il 25 gennaio 1940. Ma il suo legame con la nostra città non era tutto lì. A Rimini per lui era accaduto molto altro. La sua esperienza la raccontò nel settembre del 2014, quando un gruppo di amici decise di raccogliere una omelia e alcune interviste che descrivevano, ognuna dalla propria angolatura, qualcosa del sacerdote fu per tanti anni il punto di riferimento della comunità di Cl: don Giancarlo Ugolini. Il materiale sarebbe poi confluito in un libretto nel dicembre del 2016. Ci furono i contributi di Stefano Zamagni, Fabio Zavatta, Ennio Grassi, due preti e lui, Paolo Graziosi.
Anche in altre occasioni sarebbe tornato, dialogando con realtà teatrali e con i media, ad accennare a qualcosa di Rimini: «Sono andato a scuola dai Salesiani, io sono di Rimini. Il primo fascino per il teatro l’ho ricevuto in quella scuola, dove c’era un oratorio e anche delle rappresentazioni continue, da lì ho cominciato ad essere affascinato dagli odori del camerino, dai trucchi, dal palcoscenico…», aveva detto ad esempio nel 2011 (qui il link al video).
Ma quello che ha ripercorso circa otto anni fa per confezionare il ricordo di don Giancarlo Ugolini, è qualcosa di unico, anche per la sua organicità. Parlò di essere stato tentato a Rimini dalla vocazione del sacerdozio, dopo essersi imbattuto, in adolescenza, in don Oreste Benzi. E poi delle medie ai Salesiani, della frequentazione dell’Istituto Tecnico di via Gambalunga, degli eventi teatrali che venivano organizzati da Gioventù studentesca.
Fu don Giancarlo «a darmi ‘il La nella vita” che mi accingevo a intraprendere, e … anche da questa distanza di secoli … non finirò mai di ringraziarlo», spiegò. E fu proprio quello il titolo della pubblicazione, edita dalla Fondazione Internazionale Giovanni Paolo II per il magistero sociale della chiesa: “Il La della vita“.
Merita di essere letto quel che ci ha lasciato scritto Paolo Graziosi, soprattutto oggi che non è più fra noi e che forse su un altro palcoscenico ha ritrovato i suoi punti di riferimento di gioventù.
di Paolo Graziosi
Negli anni della mia adolescenza avevo, come Direttore Spirituale, don Oreste Benzi, che allora era un sacerdote molto vicino all’Azione Cattolica, organizzazione per la quale io lavoravo con una certa assiduità in ambito cittadino. Don Oreste era un prete fortemente spirituale, con una mistica molto potente e coinvolgente che affascinava profondamente le coscienze dei ragazzi che lo avvicinavano. Parlava molto delle vocazioni sacerdotali, delle “chiamate” come lui le definiva in un afflato misticheggiante di incontro profondo e totale col Cristo. Tanto che per un lungo periodo fui tentato, anch’io come tanti, dal sacerdozio come naturale sbocco del rapporto con lui.
Fu a scuola, all’Istituto Tecnico di via Gambalunga, dove insegnava religione, che incontrai per la prima volta questo “strano” prete che rispondeva al nome di don Giancarlo Ugolini. Ma perché strano? Perché non aveva nulla del prete. Ti proponeva un rapporto amichevole, sciolto, scanzonato, quasi da coetaneo a coetaneo, senza nessun peso del ruolo che ricopriva, quasi che la confidenza con la quale si proponeva fosse una naturale conseguenza dell’amicizia che ti offriva. Scherzava continuamente, con leggerezza e ironia; era sempre allegro e simpatico, tanto da metterti costantemente a tuo agio.
Io all’epoca, mi ero già avvicinato al teatro in ambito parrocchiale. Avevo fatto le medie dai salesiani di Maria Ausiliatrice, frequentando la Schola Cantorum di don Masper e partecipato ad alcune rappresentazioni teatrali: operette, riviste, sketch, che mi avevano molto intrigato. E ora alle superiori, essendo don Giancarlo impegnato, oltre che a insegnare, anche in Gioventù Studentesca, dove, fra le altre tante attività, c’erano anche manifestazioni che riguardavano il teatro, ebbi la possibilità, incoraggiato da lui, di partecipare a un Reading sulla Tragedia Greca condotto da un dentista molto appassionato di teatro (dott. Volponi) che mi lasciò un segno indelebile.
E’ chiaro che io, uscendo dall’adolescenza, pieno di conflitti con la mia famiglia, con la scuola che frequentavo, col mio futuro incerto e sconosciuto, avevo bisogno di qualcuno che mi desse la possibilità di conoscermi, di fare un po’ d’ordine, che mi infondesse un po’ di coraggio per le scelte radicali e spregiudicate che dovevo fare. Insomma che mi facesse scoprire il senso di libertà responsabile che è alla base di qualunque vita. E dunque chi meglio di don Giancarlo poteva ricoprire questo ruolo? Per cui ad un certo punto il rapporto con lui divenne centrale per me. Venendo dal senso religioso della “vocazione” che mi aveva infuso don Oreste, dal suo meraviglioso senso del sacro e della serietà della vita, don Giancarlo mi fece capire che quella del sacerdozio non era la mia strada, che sarei stato un prete sbagliato e che tutto ciò che mi aveva insegnato don Oreste andava trasfuso nel mestiere rischioso che mi accingevo a intraprendere.
Con umiltà, senso del limite, ma anche determinazione (vedi la contrarietà dei miei genitori) e senso dell’infinito, in una ricerca continua di perfezione e d’amore per il mondo e per gli altri, per la conoscenza e la pietà, senza dimenticare l’ironia e la leggerezza, nella gravità. Insomma fu lui a darmi “il la della vita” che mi accingevo a intraprendere e… anche da questa distanza di secoli… non finirò mai di ringraziarlo.
Fotografia: Paolo Graziosi, immagine tratta da Teatro Miela (Guitto video Sguardo)
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