Prof eroico: con i miei ragazzi a studiare gli archivi del Premio Riccione

Prof eroico: con i miei ragazzi a studiare gli archivi del Premio Riccione

Partiamo con una scoperta (un testo teatrale di Foà contro i dittatori, scoperto a Riccione) per arrivare alla proposta. Un insegnante riminese vuole salvare i documenti storici dall’ignavia e dall’indifferenza civica.

Il fascino sottile del dittatore
Su questa testata Moreno Neri, uno a cui andrebbe intitolata una piazza in vita, per lo meno una sacra pietra del ponte di Tiberio, ha rievocato l’attimo in cui a Rimini il titanico Arnoldo Foà vestì i panni di Sigismondo Pandolfo Malatesta. Era il 1969 ed evidentemente Foà, dittatore del teatro italico, gradì almeno due cose: i tiranni e la Riviera romagnola. Il ‘gancio’ lanciato accidentalmente da Neri, infatti, mi offre l’opportunità di spiattellare una recente scoperta – per così dire – d’archivio. Nel 1972 Arnoldo Foà fa la sua comparsa a Riccione. Partecipa al Premio Riccione per la drammaturgia con un suo testo. Ritiene, probabilmente, di avere buone speranze di vincere, almeno, il premio in denaro per la produzione dello spettacolo. All’epoca Foà è già il genio da palcoscenico che conosciamo: è stato diretto da Orson Welles (ne Il processo, ad esempio, del 1962, con Anthony Perkins e Jeanne Moreau) e un paio di anni prima era in tivù con Renato Rascel per I racconti di Padre Brown secondo Vittorio Cottafavi. Presenza scenica inimitabile e voce indimenticabile (ha donato l’ugola a Toshiro Mifune per Rashomon, a Anthony Quinn, a Kirk Douglas, a John Wayne e a tantissimi altri), Foà è tra i primi a registrare le sue letture poetiche: sono un successo le registrazioni di Dante e Lucrezio, Garcia Lorca e Leopardi. A Riccione Foà partecipa con una sua rara drammaturgia – la prima, Signori buonasera, è del 1957 – dal titolo La corda a tre capi. “Questa commedia mi è stata ispirata da alcuni versetti dell’Ecclesiaste che io ho creduto di interpretare nel senso per il quale ho provveduto allo svolgimento della presente commedia”, si giustifica Foà in una serie di “Note” piuttosto interessanti per lo storico. Il testo, evidentemente, piaceva a Foà, che lo mette in scena nel 1985 per il Teatro Stabile dei Giovani, e che ricorda ancora, nel 2006, in una intervista rilasciata a Rodolfo di Giammarco per Repubblica, definendolo “un copione contro la dittatura”. Il testo, in effetti, racconta, con scatti grotteschi, l’ascesa e lo schianto di Polo, un tiranno che è la fotocopia di tanti tiranni del Novecento e di oggi (“Gente, non ho nessuna voglia di litigare con nessuno”, scrive Foà, “in Polo non ho voluto descrivere un dittatore in particolare: non è quindi né Mussolini, né Tito, né Castro, né Stalin; ma ‘anche’ Mussolini, Tito, Castro ecc. ecc.”). Il bello del testo è che – al di là della trama, banalotta – levita in un trattato sulla tirannia pieno di aforismi secchi: “Gli uomini hanno bisogno di un uomo da seguire, amare… e perdonare”; “Si guarda sempre con invidia chi sta in alto: non si capisce il sacrificio di chi è costretto a vivere una vita esemplare sotto gli occhi di tutti”; “Io non ho mai aspettato la morte, semmai le sono andato incontro”. Sugose, per lo più, dicevo, le “Note” con cui Foà commenta il suo testo – e lo giustifica. A suo dire, i dittatori hanno tutti le stesse caratteristiche: “la disperata volontà di vivere, una presunta assoluta indispensabilità, l’uso di una semplice divisa militare nella vita di tutti i giorni e l’abuso di decorazioni per l’uniforme da cerimonia, un malinteso moralismo, l’esaltazione di se stessi quali campioni specifici del popolo che credono di rappresentare; il dittatore non si sente uomo ma superuomo”. La visione della Storia secondo Foà è ragionevolmente truce, dacché “tutti i popoli sono egoisti e tutti i governanti che li rappresentano sono egoisti per loro”; l’unica cosa “che può soddisfare e beare l’uomo nel travaglio dell’esistenza” è “il diritto di amare”. Giù applausi.

Il titano rimandato
Per la cronaca, il testo di Foà non vinse il Premio Riccione e non fu neppure segnalato. I giurati – tra cui spiccavano Ezio Raimondi, Aldo Trionfo, Gian Maria Guglielmino e Maurizio Scaparro – preferirono altri. Il primo premio andò a Renzo Rosso, scrittore di nitido talento ormai dimenticato, con Esercizi spirituali e a Emilio Jona e Sergio Liberovici – per cui Calvino scrisse un balletto, La panchina – con 29 luglio. Per trovare il testo di Foà bisogna scavare nei gangli dell’Archivio del Premio Riccione, che sta negli inferi della Biblioteca civica. Il nome di Foà, però, scordatevi di trovarlo: “il nome dell’autore sul copione è stato tagliato”, come già denunciato da Valeria Buscaroli in Il destino della scena (1990). Chissà, forse qualche cleptomane di autografi si aggirava tra corridoi e faldoni.

Colpo di teatro: una lettera piena di buone intenzioni
Non tutti sono citrulli. Il testo di Foà mi è servito per introdurre qualcosa di civilmente alto. Finalmente. In seguito agli articoli (Baricco (s)comparso a Riccione e Addio per sempre a Luca Ronconi) sullo stato d’incuria degli Archivi del Premio Riccione, aureolato da un vergognoso disinteresse civico, ci ha scritto Aurelio, “un insegnante di lettere, da pochi anni a Rimini”. Beh, l’impavido insegnante ha capito che quella che andiamo narrando è “una preziosa e ricca esperienza” che “meriterebbe studio e ricerca”. Al di là delle buone parole, il prof ci mette pure le buone intenzioni. “Se può servire metto a disposizione il mio tempo e quello dei miei studenti (che da settembre prossimo saranno coinvolti in progetti di alternanza studio-lavoro) in lavori di ricerca negli archivi”. Evviva, per fortuna ci sono ancora prof che guardano oltre l’ombelico dei programmi ministeriali e oltre l’oblò degli affari propri. Ne parleremo con i diretti interessati, cioè con i vertici dell’Associazione Riccione Teatro. E, da meri recensori di fatti culturali, seguiremo tutto. Pigliando per i capelli Foà ed esagerando la metafora: cerchiamo lentamente di uscire dalla dittatura dell’ignoranza in cui vogliono costringerci.

Fotografia: Malatesta (Arnoldo Foà) e il Papa Paolo II (Tino Carraro), foto Minghini.

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