Fronte del Porto. Parla Gianfranco Santolini

Fronte del Porto. Parla Gianfranco Santolini

Intervista all'uomo che da una trentina d'anni si dedica alla promozione della pesca sportiva in mare, del diporto nautico in genere e dell’indotto che ne deriva. E che va orgoglioso della Consulta che riunisce tutti i portatori di interesse della zona più strategica di Rimini. In una città ben più che litigiosa, questo non è un "comitato del no". Un no, convinto, però l'ha detto: ai project della giunta Ravaioli e annessi palazzinari. Vola alto sulle polemiche interne al Club Nautico e chiede un assessorato al porto.

“A Rimini ci vorrebbe un assessorato al Porto”. Un altro assessorato?, dirà qualcuno. Non bastano quelli che già ci sono? Se non si sa cos’è il Porto di Rimini, quali interessi economici muova, quante attività imprenditoriali e commerciali trovino in quest’area il loro “humus”, l’interrogativo può essere lecito. Ma se a chiedere l’assessorato al Porto è Gianfranco Santolini, qualche riflessione bisogna farla. “Non intendo un assessore che si occupi solo della materia “demanio” ma di una realtà economica vitale, che trova nella Consulta del Porto la sua espressione condivisa”, chiarisce Santolini. “Dall’inizio dell’amministrazione Gnassi in parte l’abbiamo avuto un assessore che ha svolto, di fatto ma senza deleghe formali, questo ruolo: è stato prima Roberto Biagini, tanto che mi è dispiaciuto che sia uscito dalla politica, perché noi della Consulta del Porto gli abbiamo sempre riconosciuto capacità e onestà intellettuale, è stato l’interlocutore costante e attento del Porto, ha saputo ascoltare e lavorare insieme a noi in un vero gioco di squadra e grazie a questa eredità di cui abbiamo beneficiato tutti, anche oggi i rapporti col Comune sono ottimi, con un grande interesse dell’amministrazione locale per il Porto come uno dei principali fulcri operativi della città. Il Porto per noi della Consulta parte dal Ponte di Tiberio e finisce alla palata (rock-island) allargandosi a sud fino alla rotonda del Grand Hotel ed a nord fino alla foce del Marecchia.
Chi non conosce Gianfranco Santolini? Commercialista, instancabile regista del pullulare di iniziative e di soggetti organizzati nati in questo segmento strategico della città di Rimini, Santolini da almeno 30 anni si dedica alla promozione della pesca sportiva in mare, del diporto nautico in genere e dell’indotto che ne deriva.

Un mare di impegni da Rimini a Bruxelles
Ha avuto incarichi a Bruxelles, dove in anni lontani ha cominciato a lavorare in direzione del riconoscimento dell’importanza economica e sociale della pesca ricreativa per il destino del Mediterraneo, è stato consulente del ministero delle politiche agricole (che ha anche la “delega” alla pesca), fa parte del Club Nautico di Rimini, di cui è diventato presidente lo scorso novembre… Ma strappargli una polemica a proposito della guerra interna che tiene banco sulle cronache cittadine da qualche tempo è assai difficile. E’ uomo pragmatico e così la mette: “Parlano i fatti, oltre ad una storia che per me è iniziata nel 1986, quando sono diventato socio ordinario del Club; poi, per i risultati raggiunti nella pesca sportiva (che gli sono valsi anche una medaglia al valore atletico e sportivo ricevuta dal Coni, ndr), socio benemerito nel 1991 e nel ’92 per la prima volta ho fatto ingresso nel consiglio direttivo a fianco di Pietro Palloni come presidente. Insieme a Pietro ed agli amici consiglieri che si sono succeduti nei vari mandati abbiamo completamente ristrutturato e riqualificato il patrimonio immobiliare e mobiliare del Club Nautico Rimini, anche grazie alla grande fiducia e stima conferitaci dai soci, fino a far dichiarare il nostro sodalizio uno tra i più importanti Club nautici a carattere nazionale. Un fiore all’occhiello per la nostra città e per il nostro territorio, per le Federazioni a cui siamo affiliati, e che al contrario di tante altre realtà associative locali è stato aperto alla città diventando un punto di incontro e di riferimento cittadino, ma qui il discorso si farebbe lungo e …”, meriterebbe un’altra intervista? “Forse sì”. Proposta accolta.
Andiamo avanti nella sommaria presentazione. Da circa tre decenni è socio dell’International Game Fish Association (IGFA) ed è rappresentante italiano per l’Adriatico, ha guidato e presieduto il Club Bertram Yacht Italia, nei primi anni 90 è stato campione italiano di pesca d’altura ed ha rappresentato il Belpaese agli europei di pesca “big game” della Federazione italiana pesca sportiva. Una passione, questa, che si è impossessata di Gianfranco Santolini sin da quando era bambino, e che da adulto l’ha portato ad esplorare nuovi traguardi, a frequentare biologi marini e ad essere uno dei “costituenti” di Big Game Italia. Con sede a Rimini, BGI è un’idea partorita alla fine degli anni 80 da un gruppo di pescatori sportivi dell’Adriatico che hanno seguito la illuminate filosofia del socio fondatore Paolo Cortiglioni.
Big Game Italia è una delle più importanti e conosciute organizzazioni di pesca sportiva del Paese e partner, insieme a Portogallo e Spagna, della Federazione europea della pesca ricreativa responsabile con sede a Madrid (Santolini è stato ai vertici di entrambe).

La battaglia per un’etica nella pesca sportiva e ricreativa
“Oltre la metà della mia vita l’ho dedicata al terzo settore nel mondo della pesca sportiva e ricreativa”, spiega lui, “e Big Game Italia è uno dei progetti ai quali sono più affezionato perché ha una valenza etica”. Ovvero? “La pesca sportiva non finalizzata alla cattura del pesce, tanto meno a qualunque costo e con ogni mezzo”. Il fine è nobile: “Salvaguardare la fauna marina, collaborare alla ricerca, proteggere il mare. Le nostre regole sono state da subito chiare e ci siamo fatti promotori della pratica del cosiddetto “tag and release”, ovvero la marchiatura dei pesci e il loro rilascio, un metodo che ha permesso di compiere studi sulla crescita e la migrazione dei pesci del Mediterraneo. Siamo stati i primi in Italia e forse in Europa a praticare la punzonatura degli squali”. Il database che raccoglie i dati sulle marchiature è diventato un archivio gigantesco contenente informazioni preziose (dimensioni, sesso, data e luogo della cattura) continuamente implementate da successive catture. “Ci ha fra l’altro permesso di dimostrare che le verdesche vengono nel nostro mare per riprodursi, essendo anche ghiotte di cefalopodi (seppie, polpi, calamari…), quando invece si era convinti che fossero stanziali. Grazie al nostro lavoro ed alla collaborazione con i vari istituti scientifici il nord Adriatico è stato dichiarato una nursery area di riproduzione dello squalo blu (verdesca)”.
Bisogna sottolineare che tutto questo muoveva i suoi passi già negli anni 80, “grazie anche alle idee chiarificatrici della dottoressa Irene Bianchi” (scomparsa nel maggio del 2015, ndr), spiega Santolini, “quando liberare il pesce catturato nella pesca sportiva suonava come una bestemmia. Irene è stata una grande amica, una guida o meglio, come si dice in mare, un faro per tutti noi della pesca sportiva del Club Nautico Rimini: ci ha insegnato come apprezzare e rispettare la risorsa e a preservarla per le future generazioni. Questo per noi pescatori sportivi non ha significato non praticare più la nostra passione, il nostro sport, anzi ci ha dato una ulteriore mission che ha aumentato la passione e le motivazioni delle uscite in mare”.
Nella scia della priorità etica, furono anche fissati parametri ben precisi: ad esempio, almeno 150 chili di peso minimo per la cattura dello squalo volpe (e quindi andava liberato se di peso inferiore). Portare a casa un pesce che deve essere liberato equivale ad una squalifica sicura ed un comportamento non etico fuori dalle competizioni ufficiali. “Nel caso del tonno, prima che la Comunità europea normasse la materia, grazie anche al mio supporto tecnico in Commissione a Bruxelles ed a Roma, si poteva pescare fino ad un tonno a persona per barca e al giorno, quindi nel caso di 5 persone a bordo si potevano prelevare fino a 5 tonni il cui peso a quei tempi era sempre oltre i 100 chilogrammi. Ma quella, per noi del Big Game Italia, non si poteva considerare pesca sportiva, piuttosto una sorta di attività commerciale al limite della legalità, perché era abbastanza chiaro che tali quantità potessero spesso avere solo lo scopo della vendita illegale. Per cui facemmo un regolamento prevedendo che si potesse portare a terra non più di un tonno al giorno”.
Pratiche virtuose, anticipate sia da Big Game Italia che dal Club Nautico Rimini, che hanno precorso i tempi e che solo molti anni dopo sono state codificate in normative. La battaglia per un’etica della pesca sportiva in ambito europeo e italiano, nel 2010, dopo protocolli e tavoli tecnici, è sfociata nel famoso decreto ministeriale sul censimento della pesca sportiva: “Ha istituito l’obbligo del censimento gratuito dei pescatori sportivi e ricreativi del mare collocando l’Italia tra i primi Paesi Ue per trasparenza e tracciabilità della pesca ricreativa e sportiva in mare”.

La Consulta degli operatori del Porto, il fiore all’occhiello
Finito? Neanche per sogno. Nel 2011 Gianfranco Santolini è fra gli artefici e presidente della Consulta degli operatori del Porto di Rimini, carica che mantiene fino al 2016, quando gli subentra Pietro Palloni, e che quest’anno, a seguito del rinnovo della compagine sociale, ha riassunto. Lo definisce, senza tentennamenti, “un fiore all’occhiello di Rimini, unico in Italia”. Anzitutto, cos’è? Di cosa si occupa? “E’ l’associazione che riunisce gli operatori del Porto, una quindicina in tutto: non il singolo operatore ma i portatori di interesse (gli stakeholder come li chiamano in Europa), che alla fine rappresentano migliaia di persone e tutto l’indotto di questo ambito economico”. Ci sono il Club Nautico, il Circolo Velico e la Lega Navale per il diporto nautico, la Cooperativa dei pescatori per il mondo della pesca e delle navi da trasporto, Cna per il mondo della cantieristica, sub Gian Neri e AMNI, il Consorzio del Porto per gli operatori commerciali della zona, eccetera. Capito che forza? “Rappresentiamo gli interessi del comparto economico-produttivo del Porto di Rimini e aree limitrofe. Sembra scontato ma non lo è: lavoriamo perché il Porto esista, sia attivo e aperto alla città e al mondo, non sulla carta ma come realtà socio-economica pulsante che, grazie alle autostrade del mare, sia collegato all’Europa che avanza”.
Quando il demanio marittimo è passato dal controllo “militare” a quello della pubblica amministrazione, ovvero dalle Capitanerie alle Regioni, in molti hanno esultato. Ma le Regioni significano politica, e come al solito la medaglia ha due facce.

Project e palazzinari
“L’unica zona di Rimini che è non è stata riempita di palazzi e palazzine è stata quella dell’ambito portuale, proprio perché sotto una sorta di giurisdizione con un interesse militare che conosce l’importanza di un Porto e la protezione del bene pubblico nonché del confine di Stato. Se nei tempi d’oro dei palazzinari riminesi questo ambito fosse stata in mano alla politica, immagino che le cose sarebbero andate diversamente”, commenta Santolini. “D’altra parte in che direzione andava il ben noto project financing che la passata amministrazione voleva portare avanti in questo comparto attraverso Coopsette? Con la scusa della riqualificazione ci stavano rifilando indici di edificabilità da far spavento”. Project comunque abortito, dopo aspre battaglie combattute da gran parte degli operatori del Porto (e Santolini ci ha messo del suo, anche ricorrendo al Tar) per sbarrare la strada al modello Dubai in salsa romagnola, poi buttato alle ortiche da Andrea Gnassi: “La reciproca stima fra Consulta e attuale sindaco di Rimini nasce ai tempi in cui Gnassi non era ancora a Palazzo Garampi, ma sulla negatività dei project il giudizio è sempre stato comune”.
Morale: c’era bisogno di un soggetto, rappresentativo di tutti gli interessi, che facesse da leva per lo sviluppo del Porto e, allo stesso tempo, da argine per le incursioni dei moderni pirati, pronti a saccheggiare il territorio. “Nell’ambito portuale ci sono da sempre dei conflitti, anche importanti: bisogna far convivere la pesca sportiva e la pesca professionale, gli ormeggi turistici delle darsene e quelli sociali-sportivi dei Club, la cantieristica, e poi gli eventi, le diverse attività commerciali e tanto altro”, spiega Santolini. Ed è inutile fare i moralisti: la sana conflittualità è l’anima della vita, economica, politica e sociale. Si tratta solo di saperla gestire per l’interesse comune e generale.

La darsena, il Pil della città
Ma è dopo la costruzione della darsena che la Consulta del Porto mette bene a fuoco la sua mission: “La darsena è stata una grande conquista, che abbiamo voluto e ottenuto e che abbiamo sempre concepito come strumento utile per portare avanti lo sviluppo di tutto l’indotto portuale e, in fin dei conti, per produrre Pil per la città di Rimini. Un bene di interesse pubblico, seppure a gestione privata”, sottolinea Santolini.
Cosa succede però? Che la costruzione della darsena cambia gli “equilibri”: il venir meno del molo di ponente, con la diga foranea che creava un’onda di ritorno, aveva reso il Porto insicuro per la navigazione. “Chi andava per mare sia per lavoro che per divertimento all’epoca fece notare i rischi ai quali si andava incontro, ottenendo però la solita risposta rassicurante: “Voi non volete la darsena”, cercando così di mistificare la verità mettendo l’uno contro l’altro”. La darsena fu ultimata ma la sicurezza del Porto diventò un’emergenza da fronteggiare ed anche in fretta. “In determinate condizioni meteo marine il Porto di Rimini era off limits e le imbarcazioni dovevano optare per Ravenna o Ancona. Si era di fatto stravolta una caratteristica storica fondamentale del nostro Porto, quella di essere un “Porto rifugio” accessibile sempre e comunque”. Sulla sicurezza, Santolini ci tiene a fare una precisazione, che fa ben capire anche l’ottica con la quale lui e la Consulta guardano al “bene Porto” che vogliono a tutti i costi tutelare: “La sicurezza in mare e del Porto significa sicurezza delle persone e delle barche perché ogni peschereccio, piccolo o grande che sia, è un’azienda che dà lavoro a molte persone. Se va a fondo, oltre alla tragedia che si potrebbe abbattere sull’equipaggio, è come se venisse distrutto un capannone industriale con tutto ciò che contiene. Si capisce bene, allora, come il Porto sia un bene socio-economico che va tutelato”.
Questa prioritaria preoccupazione di tutela e difesa del tesoro legato al Porto e al suo indotto, sono stati alla base del sorgere della Consulta: “Non un comitato del no (perché ce ne sono già troppi a Rimini e in Italia e non producono nulla di buono) ma del fare, per trovare soluzioni concrete”.

La svolta del “fare” nella litigiosa Rimini
Nella litigiosa Rimini, seppellire l’ascia di guerra e mettersi a lavorare in un “comitato del fare” è già una svolta. Parte così l’attività della Consulta, che ben presto diventa l’interlocutore ineludibile di tutti gli “attori” che interagiscono sulla scena del Porto. E nascono tutti gli interventi ben noti, pensati, progettati e realizzati per rimettere in sicurezza il Porto. “Dopo il primo e il secondo stralcio è in via di studio il terzo, che dovrebbe venire licenziato in tempi non troppo lunghi e che potrà forse aprire la strada anche alla migliore soluzione per il collegamento con San Giuliano: un ponte levatoio o altro si vedrà. Sull’argomento abbiamo aperto già da tempo un tavolo con l’amministrazione comunale”, chiosa Santolini.
Per le grandi e piccole cose, un luogo di confronto che coinvolge tutti i soggetti facilita non poco la soluzione dei problemi. C’è da organizzare il “mercato del Porto” nel ponte del primo maggio, o la ben più complessa Molo Street Parade? “Ci riuniamo, esaminiamo il tutto e diamo il nostro parere facendo ognuno di noi un piccolo sacrificio o rinuncia, ma nell’interesse del pubblico utilizzo del bene pubblico e per lo sviluppo del nostro territorio”, dice Santolini non senza un pizzico di orgoglio perché, come ama ripetere, “la Consulta funziona, semplifica la vita e mette un intero settore economico ed un ambito territoriale nelle condizioni di poter lavorare al meglio”.

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