Dopo che i due contendenti, Jamil Sadegholvaad ed Emma Petitti, erano stati mandati negli spogliatoi e addirittura i capi di Bologna avevano assicurato la «terza soluzione condivisa», ora sul campo di gioco ritorna il fedelissimo di Gnassi. Non è che tutto è stato manovrato, a partire dal no alle primarie, per arrivare a questo risultato?
Risultava chiaro fin dall’inizio che puntare i piedi e rinunciare alle primarie per selezionare il candidato sindaco del centrosinistra a Rimini nascondeva una scelta già fatta per imporre una persona gradita ad Andrea Gnassi e ai bolognesi (Calvano e Bonaccini).
A differenza di Bologna, però, dove l’entrata in scena di Isabella Conti ha sparigliato i giochi e costretto l’ortodossia del Pd a misurarsi con una diversa visione di città e di stile amministrativo, a Rimini tutto è stato pilotato per la famosa “continuità”. Senza dare quanto meno ai militanti del partito e alla coalizione la possibilità di scegliere. E coi civici che, paradossalmente oppure no, si sono battuti a testa bassa per evitare il confronto-primarie e optare per il monocandidato, imprimendo una rotta davvero poco civica e partecipata. E oggi dicono: il candidato dev’essere Jamil altrimenti lasciamo la coalizione. Viva la democrazia.
Ma continuità con cosa? Principalmente con la logica di una amministrazione che in questi dieci anni ha manovrato all’interno di una “zona franca” come ha ben spiegato Lino Gobbi (in chiave però tutta positiva) nella intervista a Icaro Tv: «Con Gnassi facemmo una scelta strategica che lui attuò e a cui io diedi copertura politica: la sua giunta non doveva rispondere alle logiche dei partiti ma era frutto della libera scelta del sindaco. Con Gnassi cambia quindi il meccanismo amministrativo». Cioè Gnassi non ha reso conto al Pd. Così come alle civiche a sostegno, che hanno fatto la parte della truppa buona solo per alzare la manina al momento del voto, perché diversamente, ogni volta che qualcuno ha inteso anche solo domandare conto di certe scelte, è stato zittito o costretto ad allontanarsi.
Ma in un sistema in cui i partiti sono comunque ancora l’architrave della nostra democrazia, è una conquista quella che Gobbi spaccia come tale? E il metodo Gnassi non ha avuto anche il grande demerito di accentrare tutto nelle proprie mani, evitando il confronto sui progetti più importanti realizzati, in corso d’opera o già messi in agenda? Il lungomare senza parcheggi e ancora sottosopra a stagione aperta, il centro storico “fellinizzato”, piazza Malatesta ridotta in quel modo e il castello col suo fossato (la sua valorizzazione era prevista dagli strumenti urbanistici pregressi e dal piano strategico) derubricato a contenitore del Museo Fellini nonostante i parei contrari di tante personalità della cultura, più i tanti cambi di rotta (in primis nuova Questura, Novarese e piscina comunale), non sono figli di una amministrazione a guida unica e in balìa delle decisioni di un sindaco “sganciato” da chi l’ha sostenuto e avrebbe dovuto condividere con lui l’azione amministrativa?
Cosa c’è da elogiare in una amministrazione che in dieci anni ha fatto qualcosa di significativo laddove si è mossa su progetti ereditati, mentre muovendosi in proprio ha sollevato ampi margini di critica?
Sorvoliamo sulla magra figura fatta dal segretario regionale del Pd Paolo Calvano e dal presidente della Regione Emilia Romagna, Stefano Bonaccini, i quali hanno lavorato senza successo per la famosa «terza soluzione condivisa» che non sono stati in grado di trovare o che non hanno voluto concretizzare per rimettere in campo Jamil Sadegholvaad.
Il centrosinistra avrebbe potuto contare su candidati di ben altro spessore rispetto a chi – a meno di colpi di scena legati anche a resistenze interne al Pd (leggasi Melucci ed altri) – sembra essere il predestinato. Come Maresi e Maurizio Focchi. Ma entrambi, e soprattutto il secondo, avrebbero portato a palazzo Garampi un loro autonomo imprinting, e questo pare essere stato il problema.
I registi della operazione “continuità” hanno voluto evitare proprio questo: che in Comune potesse insediarsi un sindaco “indipendente” dal decennio che si chiude. Che non significa in rottura, ma altro. Perché di altro Rimini ha bisogno per diventare una città solida anzitutto dal punto di vista economico. Non è vero che un centro storico musealizzato sarà in grado di reggere l’urto della pandemia e riportare quel turismo di qualità di cui c’è bisogno. Non è vero che un parco del mare senza parcheggi potrà rilanciare il turismo. E’ vero invece che alcuni dei progetti strombazzati come il nuovo rinascimento di Rimini saranno una zavorra dal punto di vista finanziario per le prossime amministrazioni.
Non solo. Si è detto “no alle primarie perché dividono”. Forse che il modo in cui si sta concludendo la commedia per la scelta del candidato sindaco non lascia sul campo fratture che peseranno e parecchio nel risultato finale?
Una volta accantonati Maresi e Focchi, le primarie fra Jamil Sadegholvaad ed Emma Petitti avrebbero dovuto essere l’unica strada per misurare il loro gradimento e individuare il successore di Gnassi. Così non è stato e adesso qualcuno dice che non è più possibile farlo perché non ci sono i tempi. Ma i tempi chi li ha allungati inutilmente con meline di varia natura?
Tutto ormai sembra spingere in direzione dell’assessore incoronato, anziché dalle primarie, da Andrea Gnassi. Se così andranno le cose le elezioni saranno una lotta al centro. Anche nel centrodestra le figure di cui si parla “pescheranno” principalmente al centro. Ma questo è un altro tema.
Una parentesi su Melucci. Nelle ultime ore gli vengono mossi attacchi diretti prendendo spunto dal ricorso che Melucci avrebbe presentato agli organismi di garanzia del Pd contro la conformazione attuale della direzione comunale del partito. Affari del Pd. Ma è un fatto che i fedelissimi di Gnassi non vedano di buon occhio l’ex vicesindaco e assessore regionale. E quest’ultimo nel corso degli anni non ha mancato di sottolineare tutto ciò che non ha condiviso della amministrazione Gnassi. Ma se il capogruppo del Pd in consiglio comunale, Enrico Piccari, lo definisce il «grande manovratore», che sarebbe mosso da non ben precisati interessi (ha scritto di «suoi piani personal-correntizi»), allora potrebbe essere venuto il momento per chi lo dipinge come una sorta di anima nera, di spiegare alla città perché un leader storico del partito a Rimini, che ha ricoperto tanti e decisivi ruoli, sia improvvisamente diventato un nemico da additare come uno che rimesta nel torbido. Questi potrebbero essere affari di tutti, non solo del Pd.
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