Se l’architrave del nostro turismo inizia a cedere…

Se l’architrave del nostro turismo inizia a cedere…

Se il sistema alberghiero si incrina ancora di più può mettere in pericolo, oltre a molte delle sue imprese e a migliaia di posti di lavoro, l'idea stessa di una città la cui grande specializzazione e vocazione è il turismo, ovvero l'accoglienza, l'ospitalità nei confronti di una popolazione che non abita soltanto nelle zone limitrofe. Il caso San Giuliano, due storie concrete. E la necessità di guardare in faccia i mutamenti rilevanti.

Non sono più i tempi di una volta… sono i tempi di una svolta. Di mutamenti rilevanti, che avranno luogo comunque. Inevitabili in Italia, nella nostra Rimini, nel nostro Turismo: che coinvolgeranno tutti, seppure in misura diversa. E in quale direzione?
A questo proposito bisognerebbe avere il coraggio di indire un referendum. Una cosa alla buona però. Una sorta di sondaggio sbrigativo, via internet, per chiedere ai riminesi a quale città vorrebbero approdare dopo la burrascosa crisi che si profila imminente. Una perturbazione che colpirà in pieno la sua industria dell’ospitalità.
Semplificando, occorrerebbe avanzare questo dilemma provocatorio (è inutile stare a cincischiare): volete che Rimini torni ad essere la Capitale europea del turismo di qualche decennio fa, o preferite una città più tranquilla, da godercela in primo luogo tra di noi, senza quell’affollamento del passato?
La prima ipotesi vede una città dedicata primariamente all’ospitalità di tanti italiani e stranieri, da cui ricavare non solo un benessere (ben distribuito, tra l’altro), ma anche una ricchezza culturale politica umana di prim’ordine: una “capitale delle vacanze e degli incontri” destinata ad offrire anche un suo un contributo alla soluzione dei problemi globali, mondiali (come modello di convivenza civile, come modello ambientale, come opportunità per congressi, meeting grandi e piccoli dedicati a temi fondamentali)…
L’alternativa a tutto ciò – l’altra opzione – è una Rimini in cui il turismo risulti meno “invasivo”, una città più a misura dei propri cittadini, riequilibrata…
Questa seconda ipotesi, che passa attraverso un pesante “ridimensionamento” dell’offerta alberghiera, sembra far parte – oltretutto – dell’evoluzione naturale delle cose, soprattutto nell’epoca del coronavirus.
Ma vediamo in quale contesto, generale e locale, si profila la prossima fase di declino economico.

Si dice: con questa débâcle economica – che sta per abbattersi sull’Italia – vedrai che il Paese saprà metter mano a quelle riforme vere, invocate da sempre, mai messe neppure in cantiere. Ma sugli aspetti critici non bisogna generalizzare. Dentro questa crisi ognuno ha la sua storia. Quella del Turismo riminese è una crisi che… aveva preso la rincorsa. Che avanzava da anni e che ha colpito al cuore il nostro sistema, provocandogli un malessere che ora, aggravandosi, richiede una diagnosi molto più delicata, accurata. Ed è inutile girarci attorno, il centro motore – il cuore – del nostro apparato turistico si chiama: sistema alberghiero. In 40 anni abbiamo perso più di 600 tra hotel e pensioni, nel solo territorio del comune di Rimini. Con un’evoluzione solo in parte positiva (oggi ci sono 300 alberghi ad apertura annuale, rinnovati, adeguati più che dignitosamente) ma nei restanti 700, stagionali, la situazione è contraddittoria e pesante. C’è chi se la cava. E chi invece soffre, con un piede già fuori dell’albergo.
In generale tutto il tessuto – alberghiero e non – è costituito da migliaia e migliaia di piccole imprese che navigano, in molti casi, sul filo dei debiti, che se gli capita un intoppo (come quello che si profila all’orizzonte) chiudono e basta. Non riuscendo a pagare né l’affitto, né i fornitori, né le bollette, tasse e quant’altro; con il direttore di filiale della propria banca che chiama tutte le mattine, tranne che nella tregua del sabato e della domenica.
Il tutto legato ad una fatica stagionale sempre più difficile: un esame che si ripete ogni dodici mesi, una “fatica di Sisifo” che si rinnova continuamente e che richiede uno sforzo che a molti appare sempre più pesante. I dati statistici, ufficiali e non, sembrano insufficienti per capire la situazione; oltretutto emanano il cattivo profumo della propaganda, all’insegna “tutto va bene, Madama la Marchesa!”. E questo anche se molti alberghi chiudono i battenti definitivamente, dopo il tentativo inutile di metterli in vendita. E proprio qualche mese fa ho assistito ad un dialogo che la dice lunga su come sta andando il turismo riminese, al di là di tutti i bilanci provvisori, sempre consolatori. Due famiglie si incontrano sul Corso d’Augusto. Non si vedevano da tempo. Si salutano cordialmente, e si fermano per aggiornarsi reciprocamente. La signora che ha superato gli ottant’anni ha lasciato proprio l’anno scorso il suo lavoro: ha gestito un albergo per circa sessant’anni, con tanta clientela e tante soddisfazioni, e con un solo rammarico: “L’ho gestito sempre in affitto, perché i proprietari non hanno mai voluto vendermelo. Peccato!”
Ma il suo interlocutore – uno pratico del settore immobiliare – prontamente la rassicura: “Signora, non se ne faccia un cruccio: è stata la sua fortuna! Se a suo tempo l’avesse comprato, oggi avrebbe compromesso i risultati del lavoro di una vita! Attualmente valgono molto molto meno che in passato, oltretutto avrebbe avuto scarsissime possibilità di venderlo…” Cosa, quest’ultima, necessaria visto che la figlia aveva deciso di fare l’insegnante e di non seguire le orme (e i clienti) della madre.

La situazione alla luce del “microcosmo” di San Giuliano a Mare. Come fosse un campione sufficientemente rappresentativo dell’intero tessuto riminese composto, appunto, da tante frazioni turistiche

Ora faccio un passo indietro, al 1967, quando andai ad abitare a San Giuliano a Mare, in un palazzone non distante dalla spiaggia. Tutto intorno a quel condominio – unico del genere, quasi fosse un corpo estraneo – pullulava il mondo del turismo, il mondo delle vacanze: un grande campeggio, tanti alberghi, per lo più piccoli, locande, negozi di ogni tipo (soprattutto rivolti agli ospiti, in gran parte stranieri belgi, francesi, tedeschi, olandesi…), dancing, ristoranti… Oggi la situazione si è rovesciata completamente, nonostante la presenza di significative attrazioni, come la Darsena e come un arenile gestito con una moderna formula consortile. Oggi, con la chiusura di più della metà degli esercizi alberghieri e di gran parte dei negozi sul lungomare, è diventata più che una località turistica un quartiere residenziale, a ridosso di alberghi abbandonati, già nella spirale del degrado. Una realtà simile ad altre aree del nostro comune. Ed è da questa situazione che parte la mia piccola ricognizione. Iniziando da un albergo che l’anno scorso aveva deciso improvvisamente di porre fine alla propria attività. Una costruzione non fatiscente, anzi tenuta bene, pur nella sua semplicità. In una via tranquilla, ora completamente residenziale.

Sono andato lì, ho suonato più volte il campanello. Senza avere nessuna risposta. Nel frattempo sentivo crescere dentro di me un certo imbarazzo… una piccola crisi d’identità: del tipo “chi sono e cosa vado cercando” Quando un dirimpettaio affacciandosi dal terrazzo mi viene in aiuto: “I proprietari non abitano qui. Hanno una casa più a monte in Via… L’albergo è chiuso, e ora ci vengono raramente”. Lo ringrazio e mi sposto in una zona residenziale più vicina al Borgo San Giuliano, all’indirizzo che il vicino mi ha indicato: e lì trovo una villetta a due piani, moderna, di discreta eleganza, ben curata. Suono il campanello. Sale il mio imbarazzo. Qui non mi trovo davanti ad un pubblico esercizio… si tratta dell’abitazione privata, di una famiglia che non conosco. Che accoglienza potrò avere? Mi faranno entrare, si fideranno di me?
Mi viene ad aprire una signora (solo dopo, tra l’altro, capirò che era sola in quella casa di due piani). Spiego, alla meglio, lo scopo della mia visita. Mi fa accomodare subito in un salone a pian terreno. Sistemati intorno ad un tavolo, tiro fuori il mio quaderno degli appunti. Sono lì, spiego, perché vorrei capire il perché di quella chiusura definitiva. L’ultima di una serie che affligge San Giuliano a Mare.
“Il suo, purtroppo, non è il solo che ha chiuso i battenti in questi ultimi anni”.
La signora, che non mi conosceva, con tutta calma e sicurezza mi racconta la storia della sua famiglia e le ragioni che li hanno portati a quella decisione. E parla con impegno, quasi considerasse – prima o poi – doverosa una spiegazione… Lei ora è lì, sola – vive con la famiglia della sorella, che in quel momento è fuori – nel silenzio di quella casa bella ma appartata. E il tutto contrasta con la vita piena di gente, e di amicizie, che l’attendeva ogni anno, e a cui era abituata fin dai primi giorni di Giugno. Ed ancor più ricca di contatti negli altri mesi estivi. Ma ora quella storia è finita, complice anche una serie di difficoltà che hanno avvolto San Giuliano a Mare, che lei mi elenca subito, prima di giungere alla vicenda familiare. Una località mal collegata al resto della città turistica. Senza mezzi pubblici adeguati ma soprattutto senza quell’agognato ponte che doveva connetterla a Marina Centro, di cui non si sa più nulla. “Dopo la costruzione della Darsena si pensava che la città avesse puntato decisamente sulla nostra località, invece è accaduto il contrario… con la chiusura di tanti negozi e di tanti alberghi”.
“La nostra struttura era piccola, solo 23 camere. Ed iniziò a lavorare nel 1967. L’aveva fatta costruire mio padre, dopo che aveva gestito in affitto, dal 1955, piccoli alberghi a Marina Centro e a Bellariva. Anch’io e mia sorella davamo una mano. La clientela era esclusivamente italiana, una parte la perdemmo quando ci spostammo a San Giuliano, ma la maggioranza ci seguì rimanendo con noi per decenni e decenni.”
“L’altra sera mi è venuta a trovare una signora che aveva soggiornato nei nostri alberghi per sessant’anni! Abbiamo trascorso una serata insieme, in una gelateria della passeggiata, passando in rassegna i ricordi legati a tante stagioni”
“Abbiamo sempre lavorato dal 1° giugno al 15 settembre, con una clientela, potremmo dire tradizionale. Non abbiamo mai fatto promozione, ma il passaparola dei clienti soddisfatti ci ha permesso di mantenere il buon andamento delle presenze. Con famiglie che, logicamente, invecchiavano progressivamente, mentre noi, anno dopo anno accumulavano stanchezza: mia sorella in cucina ed io a far fronte ai rapporti con gli ospiti e agli aspetti contabili, gestionali, dalla mattina alla sera, dalle sette all’una di notte con il personale strettamente necessario, dovendo mantenere bassi i prezzi, così come imponeva la località… e se pratichi prezzi superiori sei subito fuori mercato. Le entrate erano sempre le stesse, mentre i guadagni calavano continuamente, a causa anche delle spese dovute ad una serie di adeguamenti imposti… E così abbiamo deciso di chiudere. Di chiudere una storia fatta di tanti rapporti amichevoli con i nostri ospiti!
“L’albergo però non l’abbiamo voluto affittare, ed ora in base alle nuove norme non possiamo neppure trasformarlo in qualcos’altro, come in precedenza erano riusciti a fare altri albergatori vicino a noi (l’attuale ipotesi del condhotel ora non ci interessa, forse in passato…). Neppure la soluzione Bed and Breakfast, fatta propria da altri gestori di San Giuliano, stanchi del lavoro in cucina, a noi interessava: non poteva piacere alla nostra clientela…”
La signora, nel raccontare le sue vicende alterna alle valutazioni economiche l’aspetto umano del suo lavoro
“Era un bellissimo lavoro, incentrato sul rapporto con la gente, con la quale si diventava amici… e siamo rimasti amici… ospiti anche da trenta, quaranta anni! Con un periodo di ferie che oscillava fra il mese, i quindici giorni, la settimana…”
“Ma poi, pian piano, tutto è peggiorato a San Giuliano: i giovani presenti negli anni ’70 e ’80 ci lasciarono definitivamente; iniziarono a chiudere gli alberghi, i negozi e i locali (chi non ricorda la Capannina o la Lucciola?), si ridussero le manifestazioni (‘ma a San Giuliano non si fa più niente!?’ chiedevano i miei ospiti nelle ultime stagioni).”
“Forse chi ci governa e ci amministra non si rende conto delle nostre difficoltà, che l’attività dei piccoli alberghi non è più remunerativa e che gli oneri, pesantissimi, non possono essere uguali a quelli di strutture più grandi.”
“Il lavoro con i clienti non è stato mai faticoso, era pesante la burocrazia, erano pesanti gli obblighi dovuti alla miriade di norme…”
Al termine della conversazione, la signora mi consegna un’immagine, ricavata dalla sua storia, che chiarisce ancor meglio la situazione: “Quando ero bambina ricordo che l’arrivo dei nostri ospiti era come una grande festa! Ora la città non mi sembra più così entusiasta…

L’incontro successivo, recentissimo, di questi giorni contrassegnati dal coronavirus, è con un albergatore di ultima generazione. Lui porta avanti la gestione dell’hotel costruito dai nonni, proprio in prima fila, sul lungomare di San Giuliano. L’albergo è stato rinnovato ed aggiornato continuamente. Ma la sua diagnosi è ugualmente impietosa: da cinque anni a questa parte il lavoro è calato costantemente, con una flessione ogni anno del 10%; il costo del lavoro è triplicato, pur non essendo qualificato, e il personale arriva dalla Romania o dall’Ucraina, di riminesi non v’è traccia… Ed ora di fronte ad una stagione quasi impossibile, aspetta un protocollo sanitario che non arriva… Di cosa avrebbe bisogno? Avrebbe bisogno, come tutti, di un aiuto, magari anche limitato, ma a fondo perduto, oltre a provvedimenti di detassazione. E non ci sono, all’orizzonte, acquirenti per chi volesse vendere; c’è solo la possibilità di cederlo in affitto come hanno fatto alcuni suoi colleghi, e chi subentra deve pagare un affitto di 70/80.000 euro… ma come farà?
L’albergatore, accompagnandomi fuori dal suo albergo, sostando con me sul lungomare, mi accenna alla spiaggia lì di fronte: “Vedi, quest’estate andremo tutti male. Ma gli albergatori saranno quelli che andranno peggio; a differenza dei bagnini, dei ristoratori o dei locali pubblici, noi non possiamo contare sulla clientela locale, sugli escursionisti provenienti da località vicine; la vedi questa spiaggia di fronte a me, i suoi stabilimenti hanno una clientela che all’80% è composta da residenti, che in buona parte non mancheranno all’appello!
La situazione è proprio questa. Andremo tutti male, ma fra tutte le categorie quella che subirà di più è la nostra: senza clienti e con una serie di costi fissi, tra l’altro, molto più alta delle restanti attività”.
Senonché è proprio su questo settore che grava la maggiore responsabilità e l’onere di mantenere in piedi il nostro impero (piccolo o grande?) turistico; una componente da sempre impegnata, per sua natura, ad allacciare rapporti con gli ospiti attuali e potenziali, in Italia e possibilmente in Europa e nel Mondo. Quindi il settore più penalizzato è quello che può considerarsi come l’architrave del nostro sistema: che se si incrina ancora di più può mettere in pericolo, oltre a molte delle sue imprese e a migliaia di posti di lavoro, l’idea stessa di una città la cui grande specializzazione e vocazione è il Turismo, ovvero l’accoglienza, l’ospitalità nei confronti di una popolazione che non abita soltanto nelle zone limitrofe.

Immagine: archivio fotografico Apt Servizi Emilia Romagna

COMMENTI

DISQUS: 0