Quando la capitale del turismo di massa celebrò i 150 anni dalla nascita del primo stabilimento balneare con la tavolata chilometrica da guinness, Zavoli scrisse su Epoca una delicata ma bruciante stroncatura. La Rimini che ha avuto nel cuore ha i contorni di "Romanza" e l'immaginario di Fellini.
“Sergio Zavoli mostra un rispetto verso gli altri (possibili avversari inclusi) di cui non possediamo una grande tradizione”. La definizione è di Furio Colombo e risale al 1977, quando la utilizzò su La Stampa per recensire I giorni tascabili uscito da Minerva Italica, in un pezzo dal titolo “Perché Sergio Zavoli ha tanto successo?”.
Curzio Maltese nel 1991 scrisse di Zavoli che “mentre metà dei giornalisti televisivi s’arrangia con le traduzioni da Cnn, e altri partecipano a pensose (penose) tavole rotonde sulla “filosofia dell’informazione”, c’è ancora qualcuno che prende una telecamera e la punta sulla gente”. Un “panda della vecchia televisione”, “ravennate di nascita, riminese d’adozione, amico d’infanzia di Fellini, cattosocialista”, “definito a seconda dei gusti ‘principe del giornalismo televisivo (Montanelli) oppure ‘il commosso viaggiatore’, mezzo giornalista di genio e mezzo mandarino di palazzo”.
In queste ore si leggono infiniti ritratti di Sergio Zavoli, fra loro molto simili (l’unica eccezione l’ha vergata Davide Brullo su Pangea.news). Per cercare accenti diversi bisogna andare indietro negli anni. Si scopre così anche qualcosa di importante del rapporto di Zavoli con Rimini. E’ il giugno 1993 e la città con sindaco Giuseppe Chicchi celebra come può i 150 anni dalla inaugurazione dello Stabilimento dei bagni: una massa di commensali in spiaggia a banchettare. A Zavoli, che è già cittadino onorario dal 1972, le cronache sull’evento appaiono come un girone infernale e scrive su Epoca un commento ostile sulla “tavolata chilometrica”, “innaturale anche se stupefacente invenzione”. All’inseguimento del guinness dei primati da sempre (con la differenza che un tempo Rimini e la Riviera si riempivano davvero, per la gioia di albergatori e ristoratori, e non c’era bisogno delle stime statistiche per rincuorare gli scarsi guadagni degli imprenditori), è nel Dna della Rimini turistica il gigantismo, che toccherà in seguito il suo massimo splendore con la Notte rosa, quest’anno di una settimana, alla faccia dello stato di emergenza prorogato dal governo dal 31 luglio al 15 ottobre prossimo.
Zavoli se ne sta alla larga dalla cena pantagruelica e intinge la penna nella critica, delicata ma pungente, mettendo in croce un “modo di concepire il turismo e l’industria economica che lo sfrutta, un turismo di massa poco qualificante”, come annota qualche giornalista che commenta la vicenda sulla stampa nazionale.
La città reagisce. L’allora assessore alla cultura Massimiliano Filippini abbozza: “E’ un peccato e, tuttavia, è un peccato veniale considerato tutto quello che Zavoli ha fatto per noi”. Piero Meldini, ai tempi direttore della Gambalunga, non ci va per il sottile: “Zavoli parla di cose che non ci sono più e che lui non conosce più. La sua è la Rimini della memoria il che lo porta a colorare di negativo tutto ciò che è moderno. Ma insomma…bisogna pur dirlo: indietro non si torna ed è impensabile riproporre il passato come migliore dei mondi possibili” (La Stampa, Zavoli: hanno tradito la mia Rimini, 2 luglio 1993).
Lo utilizzerà un’altra volta l’aggettivo “innaturale” e fu in occasione della orazione funebre che Zavoli tenne in piazza Cavour in morte di Federico Fellini: “La tua scomparsa ha qualcosa di innaturale, come se un’estate, di colpo, smettessero di farsi udire i grilli, il mare, gli uccelli. Come se le lucciole, che nella Voce della luna appaiono in un punto sempre diverso del buio, non palpitassero più nel grano”.
Zavoli in questo era perfettamente sintonizzato con Fellini, innamorato di una Rimini ricostruita a Cinecittà e popolata di personaggi orami vivi solo nella memoria. Di certo cancellati dall’industria della vacanza. Amici fraterni ma non sempre in linea, i due. Quando Zavoli per il gran finale del “Viaggio intorno all’uomo” su Raiuno, invita Fellini a partecipare al dibattito su Ginger e Fred, per tutta risposta ottiene un rifiuto, nonostante “la grande amicizia che c’è da sempre con il mio antico compagno di scuola Sergio Zavoli”. Perché “quello che volevo dire sull’argomento mi sembra di averlo già detto nel film, tutte le risposte che potevo dare, tutte le domande che mi si possono porre stanno nel film, che mi rappresenta nel bene e nel male”. In uno studio televisivo a parlarsi addosso proprio no, nemmeno se a condurre c’è il vecchio amico, perché “con la tv ci pare d’aver aperto una finestra sul mondo, invece l’abbiamo chiusa. La realtà può essere percepita soltanto attraverso le emozioni personali, il video è invece un invasore al quale ci si abbandona inerti, la tv è un imbuto che ci risucchia, un sonno torbido da cui non riusciamo a svegliarci”.
Fellini si schiererà invece a totale sostegno della nomina di Zavoli alla direzione della Mostra del cinema di Venezia, dopo l’alzata di scudi del sindacato nazionale dei critici cinematografici e di alcuni intellettuali, anche se non fu sufficiente perché alla fine Zavoli decise di rinunciare. Gianluigi Rondi rivelò che la candidatura di Zavoli fu proposta proprio da Fellini “al momento in cui non ha ritenuto di poterla accettare egli stesso”. Interessante però la difesa del Maestro: “Lo conosco come uomo indipendente nei giudizi, non acquiescente passivamente a direttive di partito, tanto meno il suo. Quanto a intendersene o meno di cinema, mi sembra che tutti gli autori cinematografici italiani, nessuno escluso, possano testimoniare che Sergio Zavoli ama il buon cinema. Oltre tutto è di Rimini ed è mio amico da sempre“.
“Rimini è la sua patria. Lo è stata in vita per affetti, lavoro, amicizie, passioni. Lo sarà ancor più da ora in avanti. Questa mattina, con parole delicate e precise, la famiglia mi ha trasmesso il desiderio di Sergio di «essere riportato a Rimini e riposare accanto a Federico»”, fa sapere il sindaco Andrea Gnassi. Per capire in che senso Rimini sia stata la sua patria bisogna leggere Romanza. Ancora una volta un tuffo all’indietro: “Siamo a Rimini e, come accade in quegli anni nella gran provincia italiana, tutto prende senso da una corale, stradaiola amicizia. La dice lunga sul destino e sulla fedeltà di una generazione lo spettacolo di quei ragazzi che si appostano strategicamente su un tratto della via Emilia per vedere passare il Giro, la carovana dei ciclisti pervasa da una luce di paesana leggenda”, scrive Lorenzo Mondo presentando il libro nel 1987. “O lo stesso aggirarsi tra i capanni della spiaggia, all’aprirsi della stagione, per curiosare con divertito stupore, nell’odore di legno fresco, tra gli usi dei radi borghesi in vacanza e gli onesti diporti delle ragazze di vita”. La sua Romagna più intima l’ha condivisa con le pagine di Dino Campana, Oriani, Panzini e Renato Serra (sui quali ha scritto il suo primo saggio nel 1959). Non con i miti e i riti della capitale del divertimentificio.
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