Spostare il Ceis e valorizzare l’Anfiteatro: se il Comune è sordo, c’è chi si rivolge al prefetto

Spostare il Ceis e valorizzare l’Anfiteatro: se il Comune è sordo, c’è chi si rivolge al prefetto

L'Associazione Rimini Città d'Arte "Renata Tebaldi" nel giorno della Festa della Repubblica ha scritto al rappresentante dello Stato in ambito locale, estendendo l'appello anche ai prefetti romagnoli e a breve saranno raggiunti anche i parlamentari romagnoli. «Denunciamo la svalorizzazione dell'unico Anfiteatro romano sopravvissuto in Romagna, occupato dalle baracche del Ceis, e l'uso di ignorare i Decreti ministeriali per mettere un asilo d'infanzia dentro l’Anfiteatro romano e un Museo di Fellini dentro un Castello di Filippo Brunelleschi». Allegando anche un approfondimento storico sulle principali vicende che hanno interessato il sito ma pure sugli interventi più discussi che hanno investito il patrimonio monumentale della città.

Al Prefetto di Rimini
E ai Prefetti della Romagna rappresentanti dello Stato italiano, tutori delle leggi nazionali e custodi del nostro patrimonio di beni culturali fondamento dell’identità nazionale e umana

Denunciamo la svalorizzazione dell’unico Anfiteatro romano sopravvissuto in Romagna, occupato dalle baracche del Ceis, l’asilo svizzero che dal dopoguerra occupa in condizioni legali proibitive l’Anfiteatro romano, malgrado i tentativi da 70 anni condotti da diversi Sovrintendenti archeologici e da diverse associazioni culturali per far spostare le baracche “dell’asilo svizzero” Ceis dall’Anfiteatro in un altro sito e per procedere ad una valorizzazione archeologica e turistica del grande monumento.

Recentemente il nuovo sindaco Jamil Sadegholvaad, ha affermato: “il Ceis vale un Anfiteatro”. Meno male che non ha detto che i bambini valgono più di un Anfiteatro. E’ una comparazione assurda che svia l’attenzione dal vero problema: si tratta di spostare una benemerita istituzione in un altro luogo perché l’Anfiteatro possa riprendere la sua funzione e identità culturale.

Ma più in generale denunciamo l’anomia perenne delle amministrazioni comunali postbelliche di Rimini nei confronti delle leggi che proteggono il patrimonio culturale cittadino che ha delle eccellenze che appartengono alla Romagna, all’Italia, all’Europa, al mondo intero e non sono proprietà dei sindaci di Rimini.

Denunciamo l’uso di ignorare i Decreti ministeriali per mettere un asilo d’infanzia dentro l’Anfiteatro romano e un Museo di Fellini dentro un Castello di Filippo Brunelleschi.

Denunciamo la mancanza di democrazia, la mancanza di dialogo nei monologhi di sindaci despoti, e di usare metodi terroristici per ‘punire’ le associazioni e i cittadini che dissentono.

Associazione Renata Tebaldi Rimini Città d’Arte

Prof. Attilio Giovagnoli
Arch. Roberto Mancini
Prof. Giovanni Rimondini
(a nome dell’associazione)

E numerosi cittadini di Rimini

Rimini, 2 giugno 2022
Festa della Repubblica Italiana

L’ANFITEATRO DI RIMINI DAL III SECOLO AL 1946

Costruito probabilmente nel II secolo dopo Cristo, metà dentro le mura del III secolo avanti Cristo, che sono ancora in piedi con una torre romana – e ci sono le tracce di un’altra – nel tratto tra l’Anfiteatro e l’uscita della fossa Patara, e metà fori le mura sulla spiaggia del mare. Quando iniziò il pericolo delle invasioni barbariche nel III secolo dopo Cristo e fu costruito il tratto di mura a mare mancante, l’Anfiteatro venne trasformato in fortezza, tamponando le arcate aperte verso il mare con le pietre che formavano i sedili dell’arena, come si vede nella parte scavata. Nei secoli venne ulteriormente demolito e interrato e se ne perse quasi il ricordo.
Negli anni ’40 dell’800 Luigi Tonini lo valorizzò e ne iniziò gli scavi ricostruendo la pianta intera.

1910-1930 L’ANFITEATRO DONATO AL COMUNE DALLA SOCIETÀ CASE POPOLARI

Ma nel 1910 l’area dell’Anfiteatro finì come terreno edificabile in un piano regolatore privato della Società per la Costruzione delle Case Popolari.
Gli ispettori onorari ai beni culturali Cesare Fagnani e Alessandro Tosi – quest’ultimo validamente spalleggiato dal dottor Vittorio Belli, il fondatore di Igea Marina che salvò dopo il terremoto del 1917 gli affreschi di S. Agostino – fecero intervenire il Sovrintendente di Ravenna, il trentino Giuseppe Gerola, che proibì le previste costruzioni di villini e in data 18 agosto 1913 ottenne dal Ministero della Pubblica Istruzione un decreto che “determinava una zona di rispetto intorno al sito dell’Anfiteatro romano di Rimini destinato ad assicurare la prospettiva e ad impedire il sorgere di costruzioni vicine” . Tuttavia il conflitto con la società di costruzione durò fino al 1930, al tempo del podestà Pietro Palloni, quando il presidente della società edificatrice Francesco Ravegnani regalò al Comune l’Anfiteatro.
Il Comune trasformò la grande area ovale in giardino e ne continuò gli scavi iniziati dal Tonini. Fu allora che venne scoperto un grande condotto praticabile che girava intorno all’arena, ripieno d’acqua, come se le condutture che dagli acquedotti romani del Covignano alimentavano l’Anfiteatro fossero ancora in funzione. Il progetto comunale prevedeva di decidere di anno in anno il programma degli scavi a seconda delle disponibilità finanziarie, intanto venivano impiantate delle aiuole. L’Anfiteatro non venne scavato tutto, falsità che ha assunto un carattere di formalità, come vedremo.

LE DISTRUZIONI DELLA GUERRA E LE DISTRUZIONI POSTBELLICHE DAL 1945 AL 1948

La guerra infierì su Rimini distruggendo l’80% del tessuto urbano del centro storico, tuttavia i monumenti più importanti si erano salvati, l’Arco, il Ponte di Augusto e Tiberio, minato dalle truppe di occupazione germaniche fortunatamente non venne distrutto, l’Anfiteatro, Castel Sismondo opera nel regesto ufficiale di Filippo Brunelleschi, la chiesa di S. Agostino con i cicli di affreschi della Scuola Riminese del Trecento, alcuni palazzi patrizi erano rimasti intatti e vennero distrutti per fare condomini. E il Kursaal, grande stabilimento dei bagni in stile palladiano del 1873 di Gaetano Urbani allievo dell’ultimo grande architetto pontificio Luigi Poletti, miracolosamente sfuggito alle cannonate navali e alle bombe, venne distrutto senza il parere della Sovrintendenza nel 1948, con le sue mani dal giovane sindaco comunista Cesare Bianchini.

Parzialmente demoliti il palazzo malatestiano del Cimiero, il palazzo Maschi Lettimi tuttora ridotto a rudere, il Tempio Malatestiano che Cesare Bianchini e il vescovo pro tempore, certamente intimidito, volevano demolire, come testimonia Bernard Berenson venuto a Rimini coi dollari della Fondazione Kress per il restauro del Tempio; il Teatro Vittorio Emanuele II parzialmente distrutto nel tetto della sala e del palco, demolito poi in tutta questa parte e trasformato in palestra. FATO ARIMINI, la sfortuna di Rimini si manifestava in una demenziale politica delle amministrazioni comunali che continuavano le distruzioni belliche. La ricostruzione portò alla cementificazione selvaggia del “ventennio d’oro” che fece coniare in ambito nazionale il nuovo lemma denigratorio “riminizzazione”.

L’ANFITEATRO ROMANO DAL 1946 AD OGGI

Il 21 settembre 1944 gli Alleati entrano in Rimini e il 7 ottobre, su indicazione del C.L.N., nominano una giunta comunale. Sindaco era Arturo Clari, ultimo sindaco socialista di Rimini, e con lui alcuni assessori Gomberto Bordoni, Vittorio Belli e Mario Macina, i comunisti Arnaldo Zangheri, Nicola Meluzzi, Isaia Paglierani – che cercò di salvare il Kursaal -, per i Democratici Cristiani l’ex-popolare Giuseppe Babbi, Armando Gobbi, e il giovane ingegnere Alberto Marvelli, e altri. Vennero poi accolti due ventenni, figure emergenti del Pci riminese, Cesare Bianchini, che sarà il primo sindaco eletto e Walter Ceccaroni che sarà il secondo sindaco. Il primo, fortemente osteggiato dalla federazione comunista di Forlì, verrà espulso dal partito comunista e fuggirà in Argentina, il secondo durò a lungo.

La giunta del 1944-1946, venne subito tutt’intera catturata da un capitalista romano, tale Elio Alessandroni, residente a San Marino, che propose un grandioso piano di totale unificazione dell’economia riminese, il progetto “La Nuova Rimini” – 15 II 1945 -, giovandosi dell’opera dell’ingegnere Plinio Marconi e dell’architetto Ernesto La Padula. Il piano unificava tutte le attività urbane e di spiaggia di Rimini in una sorta di Disneyland amministrata dall’Alessandroni e dal Comune. La convenzione con la Nuova Rimini venne firmata il 9 II 1946, malgrado il 16 ottobre 1945 l’Alessandroni fosse stato arrestato con l’accusa di collaborazionismo.
Questa vicenda è molto interessante per l’inizio della vita comunale democratica di Rimini, un misto di progettazione finanziaria ed economica che non era solo una trappola per amministratori ingenui, che aspetta, adesso che i documenti dell’Alessandroni sono stati desecretati, uno o più storici di Rimini per fare chiarezza anche nei dettagli.

1946 IL CENTRO EDUCATIVO ITALO SVIZZERO OCCUPA L’ANFITEATRO CON L’IMPEGNO DI NON FARE DANNI ALLE STRUTTURE ARCHEOLOGICHE SOTTO TERRA

Il 1 maggio 1946 apriva le sue dieci baracche di legno l’Asilo Svizzero – poi centro Educazione Italo Svizzero, agli ordini di Margherita Zoebeli, un personaggio storico e educativo di tutto rilievo. Con i soldi del Comune e del Genio Civile e col permesso del Ministero, le baracche, fondate con cemento, con tubature dell’acqua e scarichi delle acque bianche e nere, con l’impianto elettrico. Il progetto era il frutto di un intervento di aiuti del Soccorso Operaio Svizzero che aveva risposto ad un appello internazionale del sindaco Clari nel 194. Il SOS aveva spedito i legni per la costruzione di una decina di baracche allestito nell’area dell’Anfiteatro dal Comune col denaro per i danni di guerra del Genio Civile – Carlo Lucchesi calcolò la non indifferente cifra di 2 milioni di lire -. Il 26 gennaio 1946 scriveva l’ingegnere comunale in una relazione sul “Progetto di sistemazione di un asilo con baracche donate dal Soccorso Svizzero al Sindaco”:
“L’area scelta per la sistemazione del nuovo asilo baraccato è parte di quella dell’Anfiteatro Romano, e precisamente quella non scavata e nella quale gli assaggi ripetutamente eseguiti non hanno dato luogo a rinvenimenti di ruderi.”

LA GRANDE MENZOGNA DI CHI DICE CHE SOTTO IL CEIS NON C’È NIENTE

Fate caso alla parte “non scavata” che contraddice la menzogna poi ripetuta da bugiardi e boccaloni che l’anfiteatro sia stato tutto scavato e riempito delle macerie di guerra; e anche ad un’altra menzogna, quella degli “assaggi ripetutamente eseguiti”. Mai eseguiti invece, come si scopre leggendo le lettere dell’ispettore onorario, il bibliotecario gambalunghiano Carlo Lucchesi che aveva salvato la Biblioteca Gambalunga dalla guerra e che non era stato avvisato dalla Sovrintendenza. In una lettera alla Sovrintendenza del 24 gennaio 1946 scrive:

“Mi giunge notizia che nell’area centrale dell’Anfiteatro Romano sta per essere sistemato un Asilo baraccato, donato dalla Confederazione Svizzera al Comune di Rimini. Si tratta di una costruzione a carattere provvisorio, che richiederà però opere di scavo, soprattutto per quando riguarda la scolatura delle acque.”

Subito gli risponde da Ravenna il Sovrintendente Giulio Iacopi:

“La installazione delle baracche dell’Asilo infantile nell’area dell’Anfiteatro è stata permessa dal superiore ministero da me informato a patto che i lavori di scavo per la canalizzazione non vengano approfonditi tanto da recare danno alle vestigia tuttora inesplorate.”

Seguiva l’ironico involontario invito a “vigilare.”
Avete notato come vengano rilevate altre due menzogne: non ci sono stati “assaggi ripetutamente eseguiti” e che il permesso era vincolato a non distruggere “vestigia tuttora inesplorate”. Altra botta ai bugiardi e ai boccaloni che ripetono le menzogne formulate dal Comune nel 1946.

2017 IL SOVRINTENDENTE GIORGIO COZZOLINO RIPRENDE LA MENZOGNA DELL’ANFITEATRO “INTEGRALMENTE SCAVATO”

La menzogna dell’Anfiteatro interamente scavato è ripesa dall’architetto Giorgio Cozzolino Sovrintendente della nuova Sovrintendenza Archeologica, alle Belle Arti e al Paesaggio – che per malaugurata decisione del primo ministro Renzi ha sostituito la sovrintendenza archeologica – in un intervento ambiguo del 22 marzo 2017:

“Dal punto di vista della conoscenza, che sta alla base di ogni attività di tutela … si segnala come il monumento sia già stato integralmente scavato, recuperandone tutti i dati relativi alla conformazione planimetrica, alla tecnica costruttiva, alla datazione.”

E’ vero che la pianta del monumento venne pubblicata dal Tonini nel 1848, dopo avere scavato un angolo dell’ovale dell’Anfiteatro e ripetendo per altre tre volte simmetricamente quanto aveva trovato. Cozzolino, che è solo un architetto, si limita a ripetere la menzogna comunale del 1946 e scambia la pianta del Tonini con una pianta realmente e interamente scavata.
Queste menzogne e altre, perché quando si comincia a mentire non si finisce più, circolano ancora come s’è detto.
Ora non si vuole denigrare il Ceis per la sua semplice collocazione illegale e anticulturale; sarà certamente stata un’opera utile, almeno per i 150 bambini che all’inizio voleva prendere in carico, e anche dopo, se critiche si possono fare non sarà sul piano pedagogico ma su quello della sua sistemazione dentro l’Anfiteatro.
Questa critica va fatta alle amministrazioni comunali che quasi sempre sono state e sono composte di persone senza cultura storica e archeologica, a volte con atteggiamenti anticulturali, senza sensibilità per l’arte anche somma che la nostra città dovrebbe custodire, e che si sono mostrate rozze e arroganti e senza il pudore di sospendere i loro giudizi manipolatori e distruttivi. Anzi alcuni di questi rozzoni sono convinti di abbellire con le loro cementate ‘nuove’ la città. Cementate, sì a Rimini continua a signoreggiare il cemento, ancora negli anni ’70 quando nelle città civili i migliori architetti l’avevano se non bandito almeno ridotto nell’uso.

L’IMPEGNO FISSO DEI SOVRINTENDENTI ARCHEOLOGICI

Trattandosi del terzo grande monumento romano di Rimini “per la sua rilevantissima importanza archeologica…da ritenersi vincolato”, così si esprimeva la Sovrintendente Giovanna Bermond Montanari nel 1986, i Sovrintendenti archeologici – prima che Pinocchio Renzi distruggesse le Sovrintendenze archeologiche – si sono sempre espressi per lo spostamento del Ceis, e gli amministratori comunali hanno sempre preso l’impegno di spostarlo, ma poi o per incapacità, o per incomprensione, o per malafede, o per incapacità, incomprensione e malafede…
Dagli anni ’50 agli anni ’90 il grande santarcangiolese Guido Achille Mansuelli, Sgubini, Maccaferri, Guzzo, Calvani.

LE RECENTI VERIFICHE EFFETTUATE DAL COMUNE DI RIMINI

Nel 2018 l’Amministrazione comunale di Rimini si decide – a seguito di numerose interrogazioni presentate in Comune, Regione e Parlamento, ed anche di una seduta della 2° Commissione consiliare “ad hoc” che si tiene il 2 luglio 2018 – ad effettuare verifiche “sul campo” per fare il punto su “cosa è legittimo e cosa è abusivo”, come dichiarò in Commissione il dirigente allo Sportello edilizia. A seguito del sopralluogo gli Uffici comunali hanno redatto un rapporto che evidenzia la “assenza di titolo” edilizio per la maggior parte delle strutture presenti nel Ceis ed edificate sull’area dell’Anfiteatro romano. Nonostante questa “fotografia” dello stato di fatto, sono trascorsi ulteriori 4 anni senza alcuna decisione, né da parte dell’Amministrazione comunale, né della Sovrintendenza.

ATTENTATI E CEMENTIFICAZIONI AL PONTE DI AUGUSTO E TIBERIO ANNI ’70, DELL’ULTIMA AMINISTRAZIONE GNASSI E PRIMIZIA DELL’AMMINISTRAZIONE SADEGHOLWAAD, COME SE IL PONTE DI AUGUSTO E TIBERIO FOSSE A DISPOSIZIONE DI GNASSI E SADEGHOLVAAD

Negli anni ’70 del secolo passato, messa fuori gioco la Sovrintendenza archeologica di Bologna, come se il ponte fosse cosa del Comune di Rimini, l’amministrazione comunale di Rimini affidò a un “brutalista”, un progettista in cemento armato, la ‘sistemazione’ – nel senso di “adesso ti sistemo per le feste” – del porto romano e medievale di Rimini. Il “brutalista” era Vittoriano Viganò (1919-1986) che cementò il cementabile e di più, abbattè una torre malatestiana per sostituirla con una scala di cemento, fece delle banchine di cemento, una banchina addossata ai muri ben squadrati romani della sponda sinistra vicino al Borgo che non si vede perché è sempre sott’acqua, le altre soggette al nuovo fenomeno dell’acqua alta. Ma la peggior sorte toccò al ponte romano, che il “brutalista” definì “un rudere”, sottratta la ghiaia per 4 metri di profondità intorno le pile, il ponte tirò qualche crepa di assestamento, e subito si diffuse il panico nei manipolatori di un imminente crollo e la ghiaia venne sostituita da… “piastre intirantate”, blocchi enormi di cemento, che nel prossimo terremoto, muovendosi lo faranno cadere a pezzi.
Vedemmo per la prima volta dai tempi dei romani, la parte bassa del ponte, formata da un bugnato naturale dalle vivaci luci e ombre, quale solo il Bernini aveva reinventato a Roma nel ‘600, poi tutto fu sepolto nel cemento.

Il sindaco solista Andrea Gnassi, cominciò i suoi interventi di “abbellimento” urbano, apprezzati da tutti quelli che credono che il bello sia il nuovo, creando una passerella sulla destra del muro che dal ponte romano va verso il Borgo di Marina, bucando un muro che è un palinsesto di diverse epoche visibili, dall’epoca romana a quella malatestiana al ‘700 e ‘800, operazione di parziali demolizioni per le quali sono a processo alcuni dei suoi tecnici ma non lui.

Infine è di pochi giorni l’operazione che ha cementificato la rampa del ponte verso la città, un ‘pezzo’ importante del ponte di Augusto e Tiberio, formato da blocchi enormi e squadrati di pietra d’Istria, sulla quale insisteva la porta trecentesca. C’è da dire che le rampe del ponte, che sono ancora visibili e hanno lasciato tracce importanti nel tempo, ben stranamente non sono state conosciute dagli ‘archeologi’ che hanno allestito il museo e che hanno esposto un modellino del ponte senza rampe, com’è oggi con la platea del ponte quasi al livello della strada urbana; e lo stesso grave errore ha dipinto l’inventore della pianta di Ariminum che viene esposta pubblicamente coi suoi errori – ponte senza rampe; sepolcri romani in ordine sparso, erano collocati lungo la via; porto romano secondo il falso di Cesare Clementini; dimensioni ridotte della forma urbis – ; la colpa però non è del pittore ma di chi lo ha istruito.
Così abbiamo visto cementare la rampa urbana, come cattivo presagio per il governo culturale amministrativo di Jamil Sadegholvaad, che già aveva riservato a sé la cultura che sarebbe spettata per la professione culturale di livello universitario a Chiara Bellini. La cultura Jamil, uno non se la può inventare, deve essersela conquistata con lunghi studi, mica con sogni d’accatto e di narcisistica autoreferenza.

RICOSTRUZIONE DEL TEATRO SCONFITTA PARZIALE DELL’AMMINISTRAZIONE COMUNALE

Dopo avere speso miliardi in un progetto di ricostruzione moderna del teatro comunale progettato e costruito da Luigi Poletti tra il 1842 e il 1857, colpito nel tetto sulla sala durante la guerra e demolito nel dopoguerra, l’intervento del sottosegretario Vittorio Sgarbi affidava al Sovrintende Regionale Luigi Garzillo, che a sua volta incaricava l’architetto Pier Luigi Cervellati di redigere un piano di ricostruzione filologica.
Il progetto esemplare di Pier Luigi Cervellati purtroppo venne affidato all’Ufficio Tecnico Comunale, sprovvisto di elementare cultura classica – un primo progetto alternativo faceva un buco in fondo alla sala reggendo archi e colonne con quattro pilastroni di cemento incredibile dictu -, che ha ridotto un progetto da studiare nelle università a una gabbia…di cemento armato. Il teatro è stato ricostruito grosso modo come l’aveva ideato il grande Poletti, ma vedendolo si ha l’impressione di ascoltare una raffinata sinfonia di Mozart eseguita dalla banda del paese.
A gestire la protesta popolare contro i numerosi disegni di ricostruzione moderna, curati nei freddi dettagli come le opere di Albert Speer, l’associazione Rimini Città d’Arte poi Renata Tebaldi Rimini Città d’arte, che nel 2000 portò in piazza 1000 persone per l’abbraccio al teatro.

LA CEMENTATA DI PIAZZA MAATESTA, L’AREA DEL CASTELLO PROVVISTA DI UN FOSSATINO ACQUEO E IL CASTELLO RUDERE RIDOTTO A CONTENITORE DEL FELLINI MUSEUM

Non sono passati più di due anni. Avevamo visto dei tesori archeologici emergere a pochi centimetri dalla superficie della piazza Malatesta, le fondamenta di due grandi palazzi con butti pieni di meravigliose ceramiche malatestiane, una piccola costruzione termale tardoromana – forse le terme dei canonici a ridosso delle absidi orientali della cattedrale di Santa Colomba -. Tutto questo ben di Dio culturale, malgrado le proteste delle associazioni culturali l’ipsedixit cessato si è affrettato a cementare.

Ma poi ha fatto di peggio. Malgrado l’esistenza di due Decreti Ministeriali che proteggono, uno del 1915, l’area di rispetto di Castel Sismondo e uno il sottosuolo archeologico romano e rinascimentale dell’area intorno alla rocca, che il Sovrintendente Giorgio Cozzolino ha bellamente ignorato nel concedere il permesso al sopracitato ‘decidotuttoio’ di calare nell’area del fossato, dove sono i resti della cattedrale di Santa Colomba, un enorme serbatoio di cemento armato per l’acqua del riciclo di fontane che producono…la nebbia di Amarcord perché “l’iosonioevoinonsieteunc…” stava fellinizzando il centro storico di Rimini, e stava anche per cementificare la superficie del fossato, ma con una vaschetta dei pesci rossi – così definita da Vittorio Sgarbi prima versione -, con l’acqua di riciclo in piena epidemia, dove madri boccalone avrebbero lasciato immergersi i loro figlioletti innocenti, costata già la vita a un anziano ciclista che vi era precipitato dentro. Il cessato sindaco felliniano ha definito “un rudere” Castel Sismondo – come Viganò, in questi termini lui capisce la storia -, che è opera certa di Filippo Brunelleschi, l’inventore del Rinascimento, autore e fenomeno culturale che forse né lui né l’attuale Jamil sanno chi sia stato – perché se lo sapessero, l’uno non avrebbe umiliato il castello a Fellini Museum – Gnassi conosce il latino, bè qualche parola – “contenitore” di costosissimi aggeggi tecnologici già obsoleti mentre li montavano, per mostraci la faccia umiliata di Mastroianni, o i culoni e le tettone delle donne mostro di Federico Fellini, la Gradisca, la Saraghina, la Volpina, e il nuovo sindaco con il carico della cultura cercherebbe di rimediare alle gaffe culturali del suo predecessore. Italia Nostra ha denunciato la disinvolta disattenzione del Sovrintendente Cozzolino nei confronti dei Decreti suddetti.

[Associazione Rimini città d’arte Renata Tebaldi]
Rimini, 2 giugno 2022, Festa della Repubblica Italiana

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