Sul verde pubblico la nuova giunta comincia male: addio a sei nobili pini in via Brighenti

Sul verde pubblico la nuova giunta comincia male: addio a sei nobili pini in via Brighenti

Alti e maestosi sorgevano davanti al liceo classico "Giulio Cesare". Ne hanno tirati giù sei. Erano pericolosi per gli studenti. Ma, guarda caso, la strada in questione è una delle sedici del centro storico interessate da progetti di "riqualificazione". Intanto l'amministrazione comunale annuncia 12 ettari di nuove piantumazioni. Ma di verde a Rimini ne mancano 200 di ettari.

“E quelle nobili piante si lasciavano vestire dal capriccio del sole, così come una bella donna sul palcoscenico lascia cadere su le candide nudità le tinte varie del proiettore”. (Alfredo Panzini, La lanterna di Diogene)

Il 25 gennaio 2021, unica testata giornalistica a farlo, Rimini 2.0 lancia la seguente notizia: Arpae (Agenzia prevenzione ambiente energia Emilia Romagna) nell’esprimersi sulla valutazione di sostenibilità ambientale e territoriale relativa alla variante al Regolamento urbanistico edilizio adottato dal Comune di Rimini, ha formalizzato un «deficit di verde di circa 200 ettari allo stato attuale». Tutto questo accadeva a distanza di un mese dall’annuncio del “triennio verde” trillato dall’assessore all’Ambiente Anna Montini che, come riportava un giornale locale in chiusura di articolo, dichiarava che «quello verde si dimostra, a pieno titolo, come uno degli ambiti che stanno cambiando, da protagonista, la qualità della vita e la carta d’identità ambientale di Rimini e del suo territorio». Che l’ambito verde possa cambiare la qualità della vita mi trova d’accordo. Che nella nostra città il “verde” sia un protagonista, avanzo qualche dubbio. Infatti, stando ai calcoli di Arpae, i circa 12 ettari di piantumazioni previste nei trentasei mesi, se il pallottoliere non mi smentisce, rappresentano appena il 6% di quei 200 ettari di “verde” valutato come strumento indispensabile per migliorare la qualità dell’aria. Del resto, buoni propositi e dichiarazioni di intenti a parte, segnali d’amore per il mondo vegetale, a Rimini se ne vedono pochini. E vorrei evitare, ogni volta che si ritorna sull’argomento, di rammentare le vicende che ci hanno visto a fianco delle associazioni ambientaliste per denunciare la disinvoltura della pubblica amministrazione locale riguardo al tema in oggetto. Sfilo a caso una carta dal nutrito mazzo di proteste per significare la disarmonìa delle parti riguardo al mondo vegetale.
Riporto un breve stralcio della lettera aperta inviata nel 2018 dalle associazioni di cui sopra al sindaco Gnassi allo scopo di diminuire il numero degli abbattimenti di alberi nei parchi attraversati dal “gigante buono che protegge il mare di Rimini”, come definito da Hera, vale a dire il PSBO (Piano di Salvaguardia della Balneazione Ottimizzato). Questa la tirata d’orecchie al ‛divo’ Andrea: «Lei, Sig. Sindaco, ci ha abituati in certi casi a “volare alto”, a pensare in modo innovativo nel governo dei problemi della città, ma questo non pare valere per il verde negli spazi urbani, verde che serve ora per i cittadini e per la qualità dell’offerta turistica. Non possiamo aspettare decenni che crescano gli alberelli piantati ora o quelli che verranno con il Parco del Mare. E allora come ambientalisti ci chiediamo se in nessuno degli interventi di questi anni non fosse davvero possibile progettare in modo diverso, ricercando soluzioni che tenessero conto maggiormente del verde esistente e del “valore” ambientale, paesaggistico e culturale, ma anche economico che gli alberi rappresentavano per la città e per il benessere di cittadini e turisti». Seguono le firme di dieci associazioni ambientaliste che inoltre chiesero ripetutamente al “primo cittadino” di essere ricevute per consegnargli le innumerevoli firme raccolte. Sono ancora in attesa. Chissà, forse i nipoti…
Ecco dunque la misura di quanto sia concentrato l’occhio dell’amministrazione riminese sui problemi del verde. E se è vero che l’ex sindaco in persona ha nominato il proprio successore che a sua volta ha riconfermato un terzo della vecchia giunta, compreso il comparto “Ambiente”, se fossi una radice, starei in ansia.

D’altra parte è sufficiente girare per le strade della città per osservare che gli alberi sono tenuti in ben scarsa considerazione. In primis dagli abitanti. E questo, sebbene a malincuore, va sottolineato. Se ti fai sorprendere nel giardino con un secchio e una cazzuola in mano, dopo due minuti qualcuno avvisa la Polizia Locale, ma se organizzi un concerto di seghe e accette, nessuno se ne cura. L’albero è utile in estate quando fa ombra, poi diventa fastidioso in inverno quando sottrae luce alle finestre e toglie visuale, crea frescura in estate poi però in autunno sporca con le foglie, per non parlare delle radici che fanno inciampare e poi il polline e i ricci e la resina… e… accidenti, ci fanno pure respirare! Fate un bel giro per le strade del vostro quartiere. Andate a controllare quanti cipressi, quanti pini, quanti cedri maestosi sono stati segati per metà della loro altezza. Io l’ho fatto molto recentemente, ma questa volta per documentare fotograficamente ciò che noto tutte le volte che esco a passeggiare. L’esito degli scatti, per nausea, non lo voglio nemmeno commentare. Lascio parlare i moncherini.

A differenza delle prime foto, i cui esiti in qualche caso si devono a diversi anni addietro, quelle fatte nei pressi di via della Fiera si riferiscono a meno di quindici giorni fa. Le opere che vedete hanno il coraggio di chiamarle potature, ma un agronomo (specifico che non essendo di Rimini è “super partes”) concorda con me sul termine “amputazioni”, anziché potature. E commenta così. «Una parola solo: vergogna! Tagliando in questo modo sconsiderato hanno condannato a morte tutte quelle povere piante… purtroppo è solo una questione di tempo. Tra qualche anno saranno invase da funghi e carie… ». Questa è l’opinione di un professionista che si occupa di consulenze tecniche, non è un profano (malfidato) come me. Un altro esperto a cui ho chiesto lumi mi scrive: «sono i soliti poveri aceri americani (Acer negundo) che sono stati potati così negli ultimi decenni lungo le strade, in genere ultimamente un po’ meglio di cosi. Ma non si capisce perché in un parco si debba continuare a farlo, senza neppure lasciare, a quanto rimane, nemmeno una parvenza di impalcatura naturale». Fine dei commenti. Di quelli pubblicabili, intendo. E le eventuali sanzioni? Consultate il “Regolamento del verde pubblico e privato” a cura del comune di Rimini. Così, per sfizio, e andate a leggere l’art. 23 (sanzioni) al capitolo VI° – sanzioni e norme finanziarie – e se avete commesso qualche irregolarità preparate biglietti da centomila, ma non spaventatevi. Non si parla di euro: l’entità delle sanzioni pecuniarie sono ancora espresse in lire. Il motivo è semplice. State consultando un “Piano del verde” di venti anni fa. I nostri amministratori sono talmente impegnati dalla materia trattata che non lo aggiornano dal 2001; a differenza, per esempio, di Ravenna che vi ha messo mano nel 2019, così come ha fatto Forlì, mentre Cesena lo ha adeguato nel 2021. Tranquilli. Siamo rimasti un po’ indietro, ma li riprenderemo.

Un “picchetto d’onore” di nobili pini davanti al liceo classico “G. Cesare” in via Brighenti. Questa era la situazione fino a poco tempo fa.

Nel frattempo, in via Brighenti sei dei tredici fastidiosissimi pini che per decenni e decenni hanno abbellito e gratificato strada e polmoni, sono stati abbattuti. Da un giornale online locale leggo che «in quest’aera è emerso che 6 pini hanno determinato profondi e pericolosi dissesti della pavimentazione in asfalto e hanno subito nel tempo sofferenze nel loro apparato radicale, esposto superficialmente a urti e schiacciamenti. La verifica fitostatica – affidata ad un agronomo – ha evidenziato con specifiche prove di trazione, che si dovrà procedere all’abbattimento, soprattutto in considerazione del fatto che l’area è frequentata da centinaia di studenti che quotidianamente transitano al di sotto di queste alberature. I 6 esemplari di pini saranno sostituiti con la messa a dimora di altrettanti tigli, alberi di pari classe e grandezza».

Sfoltimento. Oggi si presenta così via Brighenti.

Sulla verifica fitostatica dell’agronomo non oso profferir parola e tantomeno mi permetto di avanzare dubbi. E qualora qualcuno che ne abbia titolo lo facesse, sarebbe un intervento tardivo. Oramai i giochi sono fatti. Tuttavia mi permetto di dubitare dell’ultima affermazione circa “pari classe e grandezza”. Potranno piantare alberi assai più giovani e ridotti di dimensione che avranno lo stesso potere benefico dei quelli sostituiti solo tra qualche decennio.

Come li rimpiazzeranno i pini uccisi? Con “alberi di pari classe e grandezza”… Non vediamo l’ora di fotografare i sostituti.

E ci si torna a domandare, per l’ennesima volta, se non fosse possibile curare la presunta (spesso provocata) pericolosità delle piante anziché tagliarle. Per togliermi qualche dubbio ho recuperato un’intervista che ho letto lo scorso anno a cura dell’Organizzazione no-profit “Coordinamento Nazionale Alberi e Paesaggio onlus” di Pescara che in campo botanico vanta un comitato scientifico di assoluto prestigio. Ho selezionato una piccolissima, ma illuminante parte dell’intervista all’agronomo naturalista Giovanni Morelli, tra i massimi esperti di pini in Europa. La potete leggere nel box a seguire. Prima però, scorrete un paio di righe prese da una pagina del comune di Rimini del 3 novembre scorso: «Le assessore Montini e Mattei: Lavoriamo per centrare l’obiettivo indicato dal G20 ed aumentare la nostra dote di alberi del 30% nel giro di pochi anni».
“Sorbole!”, direbbero i cugini bolognesi. Ma gli arretrati, quando?

Pini killer? Colpa delle sevizie ricevute
Come si può combattere l’“alberofobia” dilagante contro questi alberi? (l’argomento è incentrato sulla presunta pericolosità dei pini; ndr). E quali sono le azioni giuste da seguire?
Quando, seguendo la suggestione delle cronache, si parla di Pini killer, si trascurano due aspetti fondamentali. Innanzitutto molti episodi drammatici che hanno per protagonisti i Pini si verificano in contesti nei quali queste specie sono assolutamente prevalenti in termini di composizione arborea del patrimonio vegetale. Se si verificano episodi di particolare violenza, dunque, il coinvolgimento di un Pino risulta più come evidenza statistica che come espressione di una presunta fragilità della specie. In secondo luogo, i Pini caduti hanno generalmente subito decenni di disturbi, intromissioni e sevizie dirette o indirette: attività vivaistiche inadeguate, scarsa cura alle caratteristiche del substrato all’impianto, disturbi idrologici, calpestio, fresature delle pavimentazioni, scavi, potature sconsiderate… Insomma, più del cedimento in sé, dovrebbe stupire quanto i Pini possano sopportare prima di cedere. In questo contesto le azioni per scongiurare una “alberofobia” potrebbero limitarsi a tre: conoscere, informare e prevenire. Conoscere significa studiare i Pini e la storia “clinica” individuale degli esemplari che cedono, per relativizzare il cedimento stesso al contesto nel quale si è verificato. Informare significa combattere i luoghi comuni che impediscono un giudizio limpido e realistico sulla propensione al cedimento di questi alberi. Prevenire, infine, significa evitare tutti i disturbi che possono erodere le potenzialità di auto sostentamento dei Pini.

Per concludere, a un Comune o a un privato cittadino possiamo ancora consigliare di piantare pini mediterranei in un parco, in un giardino o lungo le vie cittadine?
A mio parere, non solo possiamo, ma dobbiamo consigliarli. I Pini sono alberi affascinanti, complessi, versatili e affidabili. Possono vivere in suoli nei quali altre specie non potrebbero mai sopravvivere. Non richiedono potature o altri interventi arboricolturali, sono anzi maestri dell’autodeterminazione. Dobbiamo solo lasciarli fare.

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