La storia della statua di Cesare, che dopo 74 anni potrebbe tornare in piazza Tre Martiri

La storia della statua di Cesare, che dopo 74 anni potrebbe tornare in piazza Tre Martiri

L'Associazione Aries ha condotto uno studio "storico giuridico" per venire a capo delle vicende che hanno portato la statua bronzea di Giulio Cesare da piazza Tre Martiri alla Caserma nella quale si trova attualmente. Un vexata quaestio che si trascina da oltre 70 anni. Non senza qualche giallo. Ma sicuramente con abbondante disinteresse delle istituzioni locali negli ultimi trent'anni. Ora però potrebbe arrivare la svolta.

Dubbi non ce ne sono: “la statua di Giulio Cesare è del Comune e della intera cittadinanza riminese, ed è giusto che venga alla cittadinanza restituita, quanto meno all’atto della dismissione della Caserma”. E’ la conclusione alla quale giunge la lunga e documentata ricerca svolta dall’Associazione riminese Aries. Per meglio dire, si tratta di uno “studio storico-giuridico”, che è stato consegnato anche all’amministrazione comunale e che è alla base della proposta, rivolta al sindaco e all’assessore alla cultura, di rinnovare all’Amministrazione Militare la richiesta di restituzione della statua bronzea del condottiero che da anni si trova all’interno della Caserma Giulio Cesare (nella foto). Ora che per la Caserma si parla di una definitiva chiusura entro l’anno in corso, riuscire a rientrare in possesso della statua è diventato un imperativo. Ma davvero si riuscirà a venirne a capo, dopo oltre settant’anni di incredibili traversie, molti dei quali trascorsi nel disinteresse generale, accontentandosi della copia (ora col piedistallo “scocciato” addossata ad un muro di piazza Tre Martiri)?

Anzitutto, Aries (Associazione Ricerche Iconografiche e Storiche) dà atto alla Caserma “delle premurose cure che nel passare degli anni ha dedicato al prezioso cimelio difendendolo e proteggendolo da possibili indebite attenzioni pregiudizievoli alla sua conservazione”. Ma chiarito questo importante aspetto, lo studio sgombera il campo da una tesi infondata: la statua sarebbe finita nel luogo in cui si trova per un “legittimo dono del Comune”. Viene invece dimostrato, “per documenti, che così non fu e che la statua, all’atto della dismissione della Caserma (o anche prima, occorrendo) dovrà quindi rientrare a far parte del patrimonio della città, cui è legata per ragioni storico culturali che risalgono al 49 A.C. e che quindi devono intendersi del tutto avulse da ragioni ideologiche che alcuno ha nel passato ritenuto di attribuirle, penalizzandola ingiustamente”.

La storia, in sintesi
Citiamo dal documento di Aries. “Nel 49 AC Giulio Cesare, di ritorno dalle Gallie, si accampa con una unica Legione – la XIII – al di là del fiume Rubicone che segnava il confine fra la Gallia celtica cisalpina ed il territorio di Roma; limite che non era consentito, per un generale romano, passare in armi. Pompeo, geloso della fama e della gloria che il grande condottiero si era acquistata nelle guerre galliche e preoccupato di ciò che sarebbe potuto avvenire se Cesare fosse giunto a Roma, invia emissari per trattare, tentando di evitare uno scontro armato e lo scatenarsi probabile di una guerra civile.
Le trattative vengono però respinte da Cesare, che nella notte fra l’11 ed il 12 gennaio passa il Rubicone ed all’alba occupa Ariminum, la nostra città.
Secondo la tradizione, arringa i legionari avvertendoli che il passaggio comporta implicitamente lo scatenarsi di una guerra. Ma non si può tornare indietro. “Si getti il dado!” (come riporta Svetonio); frase poi passata alla storia come: “Il dado è tratto!”
Al di là del racconto o della tradizione, quel giorno segnò e cambiò la storia di Roma e dell’intero mondo antico occidentale.
Rimini, l’antica Ariminum, è quindi strettamente legata a quell’episodio divenuto immortale e per tale motivo nel 1933 fu chiesto al Capo del Governo dell’epoca, Benito Mussolini, di voler donare alla città un simulacro bronzeo raffigurante Cesare, a sottolineare il profondo legame della Città con la Storia di Roma.
L’origine del dono, che una volta finito il secondo conflitto mondiale ne ha poi indebitamente pregiudicato per anni la sorte, rappresenta invece un degno omaggio alla storia della città.
L’Associazione Aries, da anni impegnata sul territorio per iniziative di collettivo interesse, preso purtroppo atto della notizia della dismissione ormai certa della Caserma Giulio Cesare, con la quale ha spesso collaborato in sintonia d’intenti, ha ritenuto quindi di doversi attivare per riavviare, in ogni opportuna sede, il percorso teso a promuoverne la restituzione“.

Sull’origine del dono della statua alla città, vengono riportati una serie di documenti di Umberto Bartolani: il racconto di don Domenico Garattoni sul colloquio con il Duce, avvenuto presumibilmente nel marzo del 1933, il telegramma del podestà Palloni al Duce del 13 aprile dello stesso anno, la risposta di Mussolini (due giorni dopo) e quella del podestà. L’inaugurazione della statua nell’attuale piazza Tre Martiri risale al 10 settembre 1933. Si salva dai bombardamenti del periodo bellico ma sparisce ben presto dalla piazza da dove viene rimossa nel giugno del 1945. Dal 1948 comincia l’inseguimento del Giulio Cesare originale affinché possa tornare in un luogo pubblico della città. Il primo ad attivarsi è il sindaco Bianchini che scrive all’ingegnere capo del Comune, al bibliotecario prof. Lucchesi e all’ispettore onorario ai monumenti prof. Gino Ravaioli, affinché possa essere ricollocata “in una delle aiuole a tergo dell’Arco di Augusto”. Lo stesso Lucchesi si muove nel 1950 nella stessa direzione. Addirittura circola nel marzo del 1951 anche un preventivo comunale con i costi per ricollocare la statua. La giunta lo approva il 10 aprile 1951: 190mila lire, che il prefetto autorizza. Poi il primo intoppo. E’ tutto pronto ma non accade nulla, tanto che don Garattoni sollecita il sindaco, che nel frattempo è diventato Ceccaroni, affinché si prenda una decisione sulla ricollocazione della statua e la scelta è fra l’Arco d’Augusto e piazza Tre Martiri.

Ma la statua viene fatta sparire una seconda volta (la prima nel 1945 quando viene sotterrata nella cosiddetta “Fossa dei Tubi”) e risepolta nel greto del fiume Marecchia, “dove viene però del tutto casualmente ritrovata, nel giugno del 1953, da un sergente del 35° Reggimento Artiglieria, inviato a recuperarvi sabbia”.
Qui si colloca un vero e proprio giallo. Risale al 9 ottobre 1953 una lettera del sindaco Ceccaroni al Comandante il 35° Rgt Artiglieria da Campagna, Colonnello Giovanni D’Avossa, “con la quale, riferendosi ad una “decisione” asseritamente presa “nel corso di “adunanza di Giunta del 6 ottobre u.s.”, si pregia “comunicarle che la Giunta” avrebbe deliberato il mero “collocamento del simulacro in bronzo raffigurante Giulio Cesare nel cortile della caserma del reggimento ai suoi ordini”. Fa notare la ricerca di Aries che questa ipotetica delibera sarebbe in totale e immotivato contrasto con quanto deliberato dalla giunta con una precedente delibera del 10 aprile del 1951 e con quanto già attivato dal sindaco Bianchini addirittura fino dal giugno 1948, in merito al posizionamento del busto. “Dalle ricerche effettuate dal Comm. Bartolani e verificate di persona dal sottoscritto, risulta peraltro che in nessuna delle ben ventotto delibere prese dalla Giunta nella seduta del 6 ottobre 1953 esiste, fra i tanti temi trattati (come dimostra anche la semplice lettura dell’indice dei relativi argomenti) alcun riferimento alla “cessione” o eventuale ancorché impossibile “donazione” della statua di Cesare all’Amministrazione militare; e, per la verità, non vi si parla neppure dell’asserita decisione in merito al “collocamento” nel cortile della Caserma (che neppure risulta richiesto da chicchessia!) del simulacro in bronzo raffigurante Giulio Cesare”. Così si legge nello studio dell’Aries, che porta la firma dell’avvocato Gaetano Domenico Rossi, segretario dell’Associazione.

Il giallo s’infittisce perché, puntualizza ancora Aries, “nell’archivio comunale e nell’Archivio di Stato non v’è alcuna traccia neppure di tale fantomatica lettera del Sindaco, e neppure il Comando della Caserma, presunto destinatario di tanto importante missiva, ne dispone di copia (tanto meno copia ufficialmente/formalmente protocollata), a quanto è stato riferito. Per cui tale lettera è, allo stato, solo richiamata da alcuni Autori ma non vi è prova documentale che esista o di quanto effettivamente vi fosse stato scritto. E comunque anche se fosse esistita o esistesse o venisse trovata, sarebbe totalmente irrilevante, essendo il Sindaco assolutamente privo di autonomi poteri decisori su questione di tal genere”.

Seguono una serie di ulteriori sollecitazioni al Comune a ricollocare la statua in luogo “maggiormente idoneo”: da parte del Soprintendente ai Monumenti per l’Emilia Romagna (novembre 1953); Luigi Pasquini sulla stampa parla di una situazione di stallo, e nel 1959 sul Carlino Bartolani afferma di avere interpellato l’allora Comandante della Caserma di artiglieria di Rimini (Colonnello Umberto Berio) e di avere ricevuto rassicurazioni: “Nessun ostacolo e nessuna difficoltà” si sarebbero opposti al trasferimento, dicendosi certo delle superiori autorizzazioni in tal senso. Ma ancora un nulla di fatto e per un po’ il tema va in letargo.

Nel 1968 è una interpellanza in consiglio comunale a risvegliare il can che dorme. Ceccaroni torna alla carica del Comando della Caserma Giulio Cesare e chiede la restituzione della statua alla città, ai fini della collocazione “nel piazzale dell’Arco d’Augusto”. Scrive: “Quest’Amministrazione, sensibile alle istanze in tal senso rivoltele da più parti e che riflettono un diffuso senso di altrettanta sensibilità civica per quello che può definirsi il più grande avvenimento della storia riminese – l’occupazione della città da parte di Giulio Cesare – avrebbe programmato di collocare la statua bronzea del celeberrimo condottiero nel piazzale dell’Arco d’Augusto, presumendo che l’accostamento al superbo arco lapideo romano e l’importanza che urbanisticamente riveste la zona, ben si addicano a tale progetto ed alle aspirazioni della cittadinanza, intese a valorizzare il patrimonio monumentale ed artistico-storico della città”. La lettera si conclude con la preghiera “di voler restituire alla città, per la realizzazione quanto più prossima possibile, dell’auspicato progetto suaccennato”.

Nel 1969 “il Generale di Divisione Pio Savioli Mariani del Comando Art. dell’Esercito (con sede in Brescia), risponde invece in senso negativo al Sindaco, richiamandosi alla pretesa “cessione” (che interpreta come “donazione”) avvenuta, a suo dire, “a seguito di “regolare” (???) delibera del 6 ottobre 1953” rifiutando la restituzione (senza peraltro averne il potere né il titolo, visto per di più che una delibera di tale argomento non esiste)”, annota lo studio di Aries.

Si arriva al 1985. La questione approda in parlamento. L’onorevole Berselli si rivolge al ministro della Difesa Giovanni Spadolini, il quale si dice “favorevole alla restituzione”. Ma nemmeno questo autorevole lasciapassare riesce a far tornare il Giulio Cesare nel centro storico di Rimini. Secondo l’avvocato Gaetano Domenico Rossi, “un bene costituente “patrimonio indisponibile/inalienabile” (come definito dallo stesso sindaco Ceccaroni nelle richieste di restituzione databili al 1968 e 1969) non avrebbe neppure sotto il profilo giuridico potuto esser oggetto di “cessione”, quand’anche quella delibera fosse esistita; se una eventuale delibera l’avesse disposta, si sarebbe infatti trattato – e si tratterebbe – di considerarla quale “cessione” irrimediabilmente nulla in radice (la nullità è sempre rilevabile) e certo inefficace, se intesa, come alcuno può pensare di pretendere, sine die”. Se poi la si intendesse, prosegue il segretario dell’Associazione Aries, “o fosse intesa o si pretendesse di intenderla come “donazione”, anche a voler prescindere dalla cronistoria documentata di cui sopra, che evidentemente smentisce tale tesi senza alcuna possibilità di dubbi in contrario senso, ne sarebbe addirittura mancata qualsiasi ulteriore indispensabile formalità legale, con la conseguenza che non si sarebbe mai perfezionata essendo mancata sia la forma pubblica di partenza (atto formale e collegiale di Giunta, ratificato dal Consiglio Comunale), sia, nel successivo decennio (1953-1963) l’eventuale altrettanto formale accettazione. Accettazione che avrebbe dovuto essere espressa non tanto dal comandante della caserma locale o da un suo qualsivoglia superiore (che sarebbe infatti stato privo di poteri e facoltà, sul punto), ma del “vertice” dell’Amministrazione Militare, ossia del ministro della Difesa. Ministro della Difesa che invece, anni dopo (1985), si ebbe ad esprimere ufficialmente in perfetto contrario senso”.

Ora però spetta all’Amministrazione comunale aprire un canale di dialogo per ottenere il risultato. Anche perché Giulio Cesare almeno si trova esposto e deve solo (si fa per dire) tornare nell’antico Foro. Ma l’amministrazione comunale nel 1996 insieme alla copia di Cesare (collocata nell’angolo fra piazza Tre Martiri e il corso d’Augusto), ebbe da Valfarma in dono anche altre due statue bronzee: Tiberio e Augusto. Dove sono? Nascoste nei magazzini insieme a chissà quanto altro materiale inutilizzato. E Aries auspica che l’amministrazione comunale “voglia riportarle alla luce e posizionarle degnamente, recuperandole all’ammirazione della cittadinanza e delle centinaia di migliaia di turisti che visitano ogni anno la nostra città”. Speriamo entro il 2100.

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