Ma a me mi piace…

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Apologia di Paolo Cevoli...

Paolo Cevoli è nato a Riccione, ma non è di Riccione. Paolo Cevoli è dell’Alba, non di Spontricciolo, e neppure di San Lorenzo; è proprio dell’Alba, la spiaggia di Coriano beach.
Il bambino, viale Ceccarini non sapeva neanche cosa fosse, giocava fra via Tasso e Mameli senza allontanarsi troppo perché quella volta usavano i tozzoni. Ragazzino, viale Dante era già una conquista, la Messa un obbligo, e l’Abissinia Africa Orientale e non confine con Misano Brasile. Cevoli, che in dialetto ha un altro significato, è l’archetipo, il prototipo, il modello, l’opera prima della pataccagine che è arte vera, sublime, eccelsa. Concepito, nato, allevato, cresciuto nella Pensione Cinzia, correva l’anno 1958, è stato”scodellato” in mezzo ai turisti in piena stagione fra un tagliatella e una lasagna. A 12 anni conquistava sul campo, anzi in sala la prestigiosa qualifica di cameriere, ma la sua vena, il suo crescere lo deve al babbo e alla generazione che ha conosciuto
la fame, la guerra, la miseria, l’immigrazione, il sudore, il lavoro e la capacità di sorridere, di essere felici con niente, di prendersi per il culo, di cantare per strada, di ironizzare sull’inevitabile morte, di parlare senza finire il discorso, di ammiccare e gesticolare come i napoletani. Battuta fulminante con la quale chiudo questa apologia: del maiale non si butta via niente, della maiala si conserva anche il numero di telefono.
Rurali sempre.

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