Sia lode ora a un grande giornale (con la speranza che lo torni ad essere)

Sia lode ora a un grande giornale (con la speranza che lo torni ad essere)

La Voce ha rappresentato, fino a quando ci sono state le risorse e le competenze necessarie a sostenere il lavoro di alcuni suoi coraggiosi giornalisti, una vera voce alternativa nel panorama romagnolo. In alcuni resta il rimorso di aver commesso un crimine terribile. In altri, resta la speranza che un giorno, ci auguriamo molto presto, La Voce riappaia in edicola.

Per la prima volta, dal 10 ottobre 1998, La Voce non è più in edicola. Ho aspettato qualche giorno per vedere una reazione. Nulla. Due articoletti nello spazio che di solito si dedica ai furti notturni. Qualche segnalazione sul web. Come i ladri della notte, appunto.
Questa è la conseguenza degli ultimi anni travagliati e di una gestione scriteriata. Inutile qui insistere sulle responsabilità di chi ha portato alla chiusura di una delle più interessanti esperienze del panorama editoriale italiano. La magistratura si è già occupata e si occuperà ancora di questi aspetti, tanto basta.
Resta comunque una fitta al cuore, per chi a quel giornale ha dedicato una stagione importante della propria vita, anche se ormai lontana nel tempo, nel dover assistere a questa fine ingloriosa.
La Voce ha rappresentato, fino a quando ci sono state le risorse e le competenze necessarie a sostenere il lavoro di alcuni suoi coraggiosi giornalisti, una vera voce alternativa nel panorama romagnolo. Nessuna critica agli altri giornali, ognuno sceglie il posizionamento di mercato che ritiene profittevole e il pubblico a cui rivolgersi.
La Voce era nata per rappresentare chi, appunto, era senza voce in un panorama politico e culturale conformista. Il che rappresentava, e rappresenta ancora, una bella porzione di pubblico, decisamente profittevole.
Molti dicono che La Voce era un giornale schierato politicamente. Niente di più falso, anzi gli unici problemi sul versante politico vennero dai “presunti amici”. La vera sfida che La Voce ha proposto al pubblico romagnolo è stata culturale.
Una sfida declinata in tanti modi:
il pensare che ai problemi potessero essere date altre soluzioni rispetto alla “vulgata” diffusa da chi deteneva il potere da decenni;
il fare le pulci ad amministrazioni che avevano sempre vissuto senza contraddittorio;
il proporre i valori della tradizione che non possono essere espulsi dalla nostra affascinante contemporaneità;
il coraggio dello sberleffo, del pezzo irriverente, del titolo fulminante;
l’audacia di innovazioni grafiche d’avanguardia, regolarmente saccheggiate da altri:
la necessità di dare valore ad un territorio diviso in troppi campanili, bellissimi ma inefficaci per un’azione comune in uno scenario di grandi numeri.
Inutile ripercorrere la storia de La Voce, qualcuno lo farà nei tempi e nei modi dovuti. E sarà fatto perché quella vicenda rappresenta una storia paradigmatica del mondo editoriale italiano, con le sue glorie e le sue miserie. Si potrebbe anche dire che La Voce ha rappresentato un paradigma rovesciato. Il giornale è nato quando già si sentivano gli scricchiolii del mondo editoriale e ha conosciuto un successo senza paragoni proprio negli anni in cui tutti accusavano cali di lettori.
I motivi della sua chiusura non sono imputabili alla sua formula, ma ad una gestione scriteriata, alla svendita del sogno iniziale e all’espulsione di coloro che erano riusciti a dare forma a questo sogno. Cioè proprio quei giornalisti e collaboratori che avevano il terribile difetto di ritenere giusto essere pagati per il loro lavoro. Colpa orribile per i “prenditori” della nostra società, che teorizzano il lavoro gratuito.
Ciò non toglie nulla a quanto di positivo a è stato fatto negli anni gloriosi: La Voce è stata per almeno un decennio protagonista del dibattito locale e nazionale; artefice di celebri casi, che hanno fatto parlare di questo “giornale di provincia” anche all’estero; è stata la palestra in cui tanti giovani giornalisti hanno appreso un “mestiere” che continuano ad esercitare, e di solidi professionisti che qui si sono affinati; è stato il banco di prova di talenti che adesso ricoprono incarichi di responsabilità in altre realtà; è stata la vetrina per opinionisti straordinari che rendevano quel giornale molto più di un “quotidiano locale”.
Soprattutto, per chi scrive, La Voce è stata una famiglia, una comunità dove per anni un nutrito gruppo di persone ha vissuto assieme, con tutto il bagaglio umano che questo comporta: condivisione di gioie e dolori, speranze e delusioni, professionalità ed errori.
Di tutto questo adesso non sembra sopravvivere nulla. Ma non è così.
In alcuni resta il rimorso di aver commesso un crimine terribile: quello di aver distrutto i sogni di decine di persone, delle loro famiglie, di migliaia di lettori. Speriamo che vengano resi inoffensivi e non siamo in grado di produrre nuovi danni. In altri, quelli non coinvolti nei recenti disastri, resta la speranza che un giorno, ci auguriamo molto presto, La Voce riappaia in edicola per tornare ad essere ciò che è già stata nei suoi giorni gloriosi: il più bel giornale del mondo.

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