Il sociologo: «a colpi di lockdown e coprifuoco si creano solo soggetti fragili, la disfatta sociale ed economica»

Il sociologo: «a colpi di lockdown e coprifuoco si creano solo soggetti fragili, la disfatta sociale ed economica»

«Va assolutamente cambiata strategia» dice Maurizio Lazzarini. Perché a causa di un problema di inadeguatezza del sistema sanitario e in particolare delle terapie intensive, si stanno creando disastri che coinvolgono milioni di italiani. «È scientificamente provato che il sistema psicologico influisce sulle difese immunitarie. E se sei fragile, impaurito, imbelle e vulnerabile, nella voragine della malattia ci cadi dentro in pieno».

Il dottor Maurizio Lazzarini si occupa da quarant’anni di sociologia relazionale. Come da definizione, lavora sulle relazioni umane che non sono altro (come mi ha spiegato) che connessioni emotive. In base a tale concetto, egli cerca di costruire un filo sulle emozioni che si vivono. Tutto questo, in maniera tale da aiutare le persone a campare meglio e risolvere i propri problemi. Ho conosciuto e intervistato per la prima volta Maurizio Lazzarini qualche giorno prima del 15 di agosto scorso, giusto in tempo per accatastare qualche fascina sulla pira delle polemiche che talvolta infuocano il Borgo San Giuliano. Infatti, la generosa calura di quei giorni e le dichiarazioni del “Doc” hanno certamente favorito l’innesco: sui canali sociali, il dibattito è divampato immediatamente, incendiando anche qualche animo. E buon ferragosto a tutti. Acqua passata.
Il noto sociologo “borghigiano”, per ribadire, se mai ce ne fosse bisogno, la propria estraneità ai tentennamenti del famoso asino di Buridano, questa volta sgancia da par suo un bel macigno nell’oceano della SARS-CoV-2. Come e perché, ve lo racconto con questa intervista, avvenuta nel suo studio del Borgo San Giuliano. Senza fiammiferi.

Maurizio Lazzarini: «alla gente bisogna dare sicurezza, più fiducia e meno paura».

Dottor Lazzarini, si va sempre controcorrente come i salmoni?
«Non so se capiti anche a loro, ma per quanto mi riguarda, sono estremamente preoccupato per questa scabrosa situazione sociale determinata dalla nota pandemia. Vorrei dire la mia opinione perché la cosa mi riguarda in prima persona. Figuro tra i soggetti ad alto rischio. Sono uno dei cosiddetti “fragili”. Ho settantuno anni e soffro di tre patologie che, mio malgrado, mi incasellano d’ufficio nell’indigesto reparto delle persone a rischio. A causa di questo, credo di avere titoli per parlare in maniera aperta e apparentemente provocatoria, che tuttavia ritengo giusta. Perché la sento tale».

In realtà, a differenza di un ventenne che ha tutto il diritto (anche sbagliando) di sentirsi invincibile e inattaccabile, la visione prospettica è vagamente diversa.
«Sì, io parto da tutt’altra situazione. Ma il dato generale qual è? Oramai è assodato che il 94/96%, a seconda dell’interpretazione che ne danno i medici, di chi è infetto risulta essere asintomatico o paucisintomatico cioè ha un quadro clinico povero di sintomi. La parte restante è rappresentata da soggetti che vengono ricoverati. Una piccola frazione di questi ultimi finisce poi in terapia intensiva».

D’accordo. Quindi?
«Quindi, dove sta il problema specifico di questa pandemia? Dobbiamo partire da questo punto. Nel febbraio scorso, mentre si ragionava dell’argomento, la mia compagna dice: “ma questo è un problema di terapie intensive!”. La cosa accade nel mese di febbraio, quando in Italia ancora non c’era niente. Guardando i telegiornali e osservando la situazione cinese è giunta a quella considerazione. Inquadriamo la questione: il focus sta nelle terapie intensive. Solo che nel momento dell’emergenza sono state occupate in maniera devastante, esorbitante e questo ha messo in totale crisi il sistema sanitario»

Tutta l’Italia è stata presa in contropiede…
«Ok, non eravamo preparati, non avevamo capito, siamo stati imprudenti: non lo so. Però è un fatto che le misure di confinamento o se preferisce, il “lockdown”, è nato per le terapie intensive e per i decessi conseguenti, ma soprattutto perché il sistema sanitario nazionale stava per scoppiare. Il Governo ha preso paura, ha temuto che l’epidemia si spostasse al sud, quindi ha imposto il “lockdown” e tutto ciò che ne è conseguito. Ma tutto, sempre per le terapie intensive. Il problema è solo quello. E il 96% se ne frega.
Una mia amica più o meno della mia età, quindi un soggetto a rischio, ha avuto il Covid-19. Ha trascorso a casa il periodo della malattia. È guarita. Al marito, coetaneo e convivente, naturalmente hanno fatto il tampone. Negativo. Il problema è squisitamente sanitario».

Ma anche sociale, parrebbe.
«No, non è sociale. Sociale, lo hanno fatto diventare. Forse perché la situazione è sfuggita di mano? O per altri motivi? Non sta a me dirlo, ma ribadisco che il fenomeno è esclusivamente sanitario e interessa solo una fetta di popolazione, fra cui il sottoscritto, in quota parte come individuo fragile».

Non è peraltro l’unico, ad essere fragile. L’Italia non è una nazione giovane.
«Sono d’accordo. Allora, considerando la questione in modo ortodosso, sostengo che non sia giusto che la nazione si fermi per un rischio che corro io o quelli come me. Perché stiamo vivendo situazioni paradossali e di grande difficoltà, a cominciare dalla crisi economica. La Caritas ha detto a chiare lettere che il numero dei poveri è raddoppiato. Che vita fanno questi nuovi poveri? Cosa pensano? Che tipo di angosce soffrono, queste persone che stanno scivolando verso la miseria nera, verso la fame? Ce ne vogliamo rendere conto oppure no? Quante sono? E dobbiamo chiederci che fetta di popolazione rappresentino. Perché non credo che siano equivalenti allo stesso numero di persone che sono in terapia intensiva. Sono convinto che siano molti di più. Penso proprio che ci sia molta più gente che a causa del “lockdown” e di questa incertezza sta soffrendo e soffrirà, se continua così».

Quale sarebbe la soluzione, ammesso che ce ne sia una?
«Personalmente, come principio generale, non ho soluzioni in tasca e nemmeno mi interessa averne. Non faccio politica, ma dico ugualmente che questo tipo di atteggiamento nazionale di difendere strenuamente gente come me, non mi sembra giusto. E badi bene che lo dico da persona fragile, non da giovane prestante e magari anche un tantino egoista».

E dunque il “fragile”, come dice lei, cosa può fare? Gettarsi nel “lago di Loque”, il Lago della Gioventù, in Croazia e sperare di riaffiorare ventenne?
«Certo che no. Ma si può difendere. Nel momento in cui si sa che il “debole” è a rischio, le strutture sanitarie, quelle addette alla comunicazione e gli enti pubblici, dovrebbero creare una sorta di scudo nei confronti del soggetto e lui stesso adottare le precauzioni, quelle oramai arcinote a tutti, per tutelare la propria salute».

A parte il sistema istituzionale, sta pure nei comuni cittadini, anche quelli giovani, a volte meno attenti al problema, che devono avere attenzioni riguardo a coloro che sono più esposti. O no?
«La risposta è no. Sono convinto che io non possa limitare la tua libertà a causa della mia debolezza. Sono io che mi devo riguardare. Se ti avvicini, io mi sposto. Oppure non esco. Spetta me mettere in atto comportamenti che definirei auto-difensivi».

Forse non è così semplice applicare certi protocolli solo a se stessi.
«Non dico che sia facile, ma le soluzioni che stanno mettendo in atto coloro che sono al governo, crea altri soggetti fragili. È scientificamente provato che il sistema psicologico influisce sulle difese immunitarie. E se quelle saltano, non permettono all’organismo di reagire al virus. Quindi se sei fragile, impaurito, imbelle e vulnerabile, lo diventi ancora di più. Se invece sei al limite delle forze, nella voragine della malattia ci cadi dentro in pieno. Capisce? E a rincarare, e di molto, gli aspetti negativi, c’è la “débâcle” sociale cui segue l’inevitabile frantumazione dell’economia e viceversa. Le implicazioni complessive gliele lascio immaginare. Non accetto assolutamente che la disperazione generalizzata strangoli l’efficacia reattiva della Nazione».

Che tipo di contraerea metterebbe in campo contro i bombardamenti della SARS-CoV-2?
«In tutto questo bailamme, nessuno ha mai spezzato una lancia a favore delle difese immunitarie, l’artiglieria pesante naturale che abbiamo in corpo fin dalla nascita. Credo che esistano dei farmaci, degli integratori alimentari, delle tecniche che possono rafforzare il sistema immunitario. Perché non fare una campagna in questo senso, proponendo prodotti o medicinali e magari probiotici che a quanto mi risulta sono assai efficaci come sostegno immunitario? Lo Stato avrebbe tutto l’interesse e dovrebbe aiutare i cittadini a rinforzare le loro difese. Quello è il vero argine, la corazza contro l’epidemia. Quando arriverà, ci sarà sì il vaccino, con tutti i distinguo del caso, ma nel frattempo si deve aiutare la gente a pensare positivo e a trovare risorse e forze endogene. Tanto è vero che il virus ha vita facile con le persone immunodepresse. Noi possiamo essere la medicina di noi stessi. Questo principio è universale. Funziona oggi e funzionerà anche domani».

Il sociologo: «che tipo di angosce soffrono queste persone che stanno scivolando verso la miseria nera, verso la fame? Ce ne vogliamo rendere conto oppure no? E dobbiamo chiederci che fetta di popolazione rappresentino. Perché non credo che siano equivalenti allo stesso numero di persone che sono in terapia intensiva».

In questa conversazione, da navigato sociologo preparato e abituato a frequentare persone di tutte le età, ha diretto il mirino verso i soggetti più maturi e vulnerabili. Ha un consiglio da dare ai giovani?
«Non sono un medico, ma mi permetto di suggerire che devono prendersi cura del loro sistema immunitario. Devono puntare su quello perché è la difesa primaria che ha ogni essere umano. Questa è la grossa battaglia di oggi, ma soprattutto di domani. Però serve un progetto serio, a lungo raggio e una visione grandangolare del problema».

Finora, il governo ha sparacchiato progetti che a fatica hanno percorso la lunghezza della canna per poi cadere a un centimetro dalla bocca del cannone.
«Sono d’accordo. Va cambiata strategia. Alla gente, bisogna dare sicurezza, più fiducia e meno paura».

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